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Lear, conto alla rovescia: senza accordo saltano ammortizzatori e posti di lavoro

Lo stabilimento di Grugliasco è sull’orlo del baratro: trattativa da chiudere entro fine mese o centinaia di lavoratori resteranno senza tutele. Il M5S: “Istituzioni svegliatevi, non c’è più tempo”.

Lear, conto alla rovescia: senza accordo saltano ammortizzatori e posti di lavoro

Lear, conto alla rovescia: senza accordo saltano ammortizzatori e posti di lavoro

Da anni allo stabilimento Lear di Grugliasco il tempo sembra essersi inceppato. I capannoni sono sempre gli stessi, le linee di montaggio anche, ma attorno a quei sedili che non si producono più come una volta è cambiato tutto: le commesse si sono assottigliate, gli operai sono finiti intrappolati in una cassa integrazione infinita e il futuro, quello vero, ha smesso di presentarsi. Una storia che non è solo industriale, ma profondamente umana. Perché mentre le multinazionali si ristrutturano, tagliano, accorpano, chiudono, c’è un pezzo d’Italia che continua a resistere appeso a un badge che forse, un giorno, potrebbe non aprire più nessun cancello.

Lear, colosso americano dell’automotive nato nel 1917 come American Metal Products, ha attraversato un secolo di trasformazioni, diventando un gigante mondiale nei sistemi di sedili e nei cablaggi per l’industria automobilistica. Una multinazionale da decine di migliaia di dipendenti, fabbriche in mezzo mondo, un ruolo strategico nel settore. Ma negli ultimi anni la globalizzazione, lo spostamento delle produzioni, la transizione elettrica e soprattutto il crollo delle commesse — in Italia pesano quelle di Stellantis — hanno scatenato uno tsunami interno: 30 mila licenziamenti globali, 18 stabilimenti chiusi o destinati alla chiusura.

E tra questi numeri disumani, sospesi nel linguaggio delle corporation, ci sono quelli che contano davvero: le vite di chi timbra, le famiglie che non reggono più l’attesa, le persone che si alzano ogni mattina senza sapere se avranno ancora un salario tra un mese.

Lear

A Grugliasco la situazione è diventata il simbolo di questo tempo sospeso. Oggi, nell’assemblea con Regione Piemonte, sindacati e imprese coinvolte nel passaggio di proprietà, i volti dei lavoratori raccontavano tutto: stanchezza, rabbia, incredulità. È qui che la capogruppo regionale del M5S Sarah Disabato ha scelto di esserci, non solo per ascoltare ma per ricordare che qualcuno, almeno in parte, continua a tenere acceso un riflettore su una vicenda che rischia di finire schiacciata sotto il rumore assordante delle grandi strategie aziendali.

Il Movimento 5 Stelle segue la storia Lear da anni, l’ha portata nelle aule di Palazzo Lascaris e in Parlamento attraverso la deputata Chiara Appendino. E il 16 dicembre Appendino sarà di nuovo accanto ai lavoratori nell’incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy: un appuntamento decisivo, forse l’ultimo davvero utile.

Perché la verità, nuda e cruda, è questa: se la trattativa tra la vecchia proprietà e la società FIPA non si chiude entro fine mese, gli ammortizzatori sociali finiscono. Stop. Punto. E centinaia di persone, padri e madri di famiglia, rimangono senza alcuna tutela, senza occasione, senza futuro immediato.

Da anni vivono in un limbo fatto di attese e promesse non mantenute. E ora, proprio ora, che il baratro è a un passo, l’idea di essere lasciati soli è semplicemente insopportabile.

Appendino e Disabato non lo nascondono: “Si tratta di un rischio che non ci possiamo permettere di correre. Chiediamo alle istituzioni di fare tutto il possibile per agevolare il rilancio dello stabilimento e dell'occupazione e tutelare il futuro di centinaia di lavoratori e lavoratrici stremati da anni di attesa, di incertezze e di cassa integrazione”.

E quelle parole, oggi, nell’assemblea, non erano solo dichiarazioni politiche: erano un grido tradotto in linguaggio istituzionale. Perché fuori dai comunicati ci sono famiglie che contano i giorni, genitori che non dormono, bollette che arrivano sempre puntuali mentre la sicurezza del lavoro no. C’è chi ha passato più tempo in cassa che sulla linea. C’è chi ha visto i figli crescere mentre il proprio stabilimento si svuotava.

Lear non è una storia astratta. È il racconto di ciò che accade quando un gigante globale, dopo un secolo di espansione, si ritrova a inseguire margini di profitto sempre più sottili spostando altrove ciò che un tempo produceva qui. Quando una filiera, quella piemontese dell’automotive, già fragilissima, perde un altro pezzo. Quando le politiche industriali regionali e nazionali sembrano inseguire le crisi invece di prevenirle.

Oggi a Grugliasco nessuno chiede miracoli. Chiedono solo che qualcuno intervenga prima che sia troppo tardi. Che la politica si ricordi che dietro ogni piano industriale ci sono persone vere. Che le istituzioni — tutte — si assumano la responsabilità di non lasciare andare a fondo chi da anni vive sospeso a un filo.

In fondo, la storia della Lear non è solo quella di una multinazionale. È la storia di un Paese intero che rischia di perdere pezzi di sé senza accorgersene. E di lavoratori che continuano a sperare, con dignità e tenacia, che qualcuno si accorga che il loro tempo è finito. Che hanno bisogno di risposte ora. Non domani. Non quando sarà troppo tardi.

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