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10 Dicembre 2025 - 21:23
Itamar Ben-Gvir
Una ruspa apre un varco tra olivi secolari all’alba, la terra scivola come sabbia bagnata. Nel giro di poche ore, pali bianchi segnano un tracciato che i tecnici definiscono come una futura strada di collegamento. Ai margini restano tre famiglie palestinesi, i sacchi delle olive raccolte la sera prima e una pattuglia della Polizia di Frontiera. Non è un episodio isolato, ma uno dei fotogrammi attraverso cui si può leggere il progetto politico che il governo guidato da Benyamin Netanyahu ha affidato alla componente religiosa e nazionalista della coalizione: consolidare la presa israeliana sulla Cisgiordania occupata e ridurre al minimo la possibilità che un futuro Stato palestinese possa essere praticabile. Un progetto ideato prima del 7 ottobre 2023 e divenuto, dopo l’inizio della guerra a Gaza, il cardine di un’offensiva amministrativa, urbanistica e di sicurezza senza precedenti.
Dal dicembre 2022, due figure centrali di questa strategia — Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir — hanno ottenuto leve di governo decisive. In base agli accordi siglati con il Likud, a Smotrich, leader del movimento Religious Zionism, ministro delle Finanze e ministro “aggiunto” alla Difesa, sono stati trasferiti poteri civili estesi sull’Area C: dalla pianificazione edilizia alle registrazioni fondiarie, fino alla dichiarazione di nuove “terre dello Stato”. Una riforma che ha istituito una nuova Amministrazione degli Insediamenti sotto la sua supervisione, con la facoltà di convocare il Comitato Superiore di Pianificazione, organo che autorizza piani e lotti nelle colonie. Il risultato è stato un indebolimento della tradizionale Amministrazione Civile militare e un’accelerazione sia dell’espansione degli insediamenti sia delle demolizioni delle costruzioni palestinesi considerate prive di autorizzazione.

In parallelo, Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, ha ottenuto un controllo senza precedenti sulla Polizia di Frontiera (Border Police), forza determinante nella gestione dell’ordine pubblico in Cisgiordania. Gli accordi di governo prevedevano la separazione della gendarmeria dal resto della polizia e la sua sottoposizione diretta al ministro. La Corte Suprema israeliana, negli ultimi due anni, ha posto limiti all’ingerenza politica nelle indagini, ma l’impianto complessivo ha ampliato l’influenza del ministro sulle linee operative nei territori più esposti alle tensioni.
La cornice ideologica di questa strategia è stata dichiarata con chiarezza dallo stesso Smotrich già nel 2017, quando teorizzava la “vittoria per colonizzazione”: rendere irreversibile la presenza israeliana in Cisgiordania per disinnescare l’aspettativa di uno Stato palestinese. Legalizzazioni retroattive di insediamenti, nuove strade, dichiarazioni di “terre dello Stato”, piani edilizi e infrastrutture dedicate formano il tessuto operativo di un progetto coltivato da anni e adottato come linea di governo già prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
I dati disponibili mostrano con evidenza la portata dell’accelerazione. Secondo un rapporto dell’Unione Europea, nel 2023 sono stati avanzati circa 30.682 tra piani e gare, mentre nel 2024 se ne contano 28.872, di cui quasi 19.000 nell’area di Gerusalemme Est. Numeri che rappresentano un incremento di circa il 250% rispetto alla media della fine degli anni 2010. Nel febbraio 2023 il governo ha autorizzato almeno nove outpost, insediamenti spontanei fino ad allora illegali, e tra il 2024 e il 2025 ne ha regolarizzati altri, scorporando quartieri e riconoscendo nuovi nuclei come insediamenti autonomi. Nel marzo 2025 la cabina di sicurezza ha approvato l’indipendenza amministrativa di tredici insediamenti, mentre il 29 maggio 2025 l’esecutivo ha annunciato la creazione o la regolarizzazione di ventidue nuove colonie, includendo aree evacuate nel 2005 come Homesh e Sa-Nur. Il 10 dicembre 2025 sono stati autorizzati altri 764 alloggi nelle colonie di Hashmonaim, Beitar Illit e Givat Ze’ev. Secondo Reuters e Associated Press, la coalizione insediata alla fine del 2022 ha superato complessivamente le 51.000 nuove unità abitative approvate.
La trasformazione del territorio non passa soltanto dagli edifici, ma dal sistema infrastrutturale che li connette. Le nuove arterie stradali, i bypass, le dichiarazioni di “terre dello Stato” e l’espansione delle riserve naturali in Area C disegnano un paesaggio frammentato, in cui la mobilità dei coloni è agevolata e la continuità territoriale palestinese risulta sempre più ridotta. Le competenze su espropri, registrazioni catastali e priorità di demolizione — ora in gran parte nelle mani del ministro civile — hanno ridimensionato il ruolo della catena di comando militare e aperto la strada a quella che giuristi israeliani e organizzazioni indipendenti definiscono una forma di “annessione di diritto”, oltre che di “annessione di fatto”.
Sul piano della sicurezza, la centralizzazione delle leve operative della Polizia di Frontiera sotto Ben-Gvir ha inciso sulla gestione delle manifestazioni, dei raid e dei controlli in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Il quadro normativo del 2022 e 2023 ha ampliato lo spazio d’azione politica sulla polizia, mentre la Corte Suprema ha cercato di preservare alcuni vincoli interni, senza annullare le nuove facoltà di indirizzo del ministro. È in questo contesto che si collocano molte delle tensioni degli ultimi due anni.
Parallelamente, la crescita degli insediamenti è proceduta insieme a un aumento della violenza dei coloni. L’OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, Nazioni Unite) registra il mese di ottobre 2025 come il più violento dall’inizio delle rilevazioni nel 2006: 264 episodi in trenta giorni, una media di otto al giorno. Nel 2025, fino a inizio dicembre, l’ONU censisce oltre 1.600 attacchi in più di 270 località, con decine di feriti e un’ampia quota di danni a proprietà, raccolti e alberi da frutto. La stagione della raccolta delle olive tra ottobre e novembre concentra storicamente una parte significativa delle aggressioni, che nel 2025 superano le 170. Dall’ottobre 2023 aumentano anche gli omicidi e le operazioni militari nei centri urbani palestinesi, mentre alcuni attacchi di coloni armati avvengono in presenza di pattuglie che non sempre intervengono. Il risultato è una serie documentata di morti, feriti e spostamenti forzati di comunità pastorali, come riportato nei dossier delle Nazioni Unite e di diverse organizzazioni israeliane e internazionali, che hanno alimentato reazioni diplomatiche inedite da parte dei principali partner di Israele.
Nel tentativo di frenare la violenza e segnalare un costo politico all’espansione insediativa, gli Stati Uniti hanno introdotto nel febbraio 2024 un regime di sanzioni mirate contro individui e outpost coinvolti in aggressioni e danneggiamenti. L’Ordine Esecutivo firmato dal presidente Joe Biden ha portato al congelamento dei beni dei soggetti designati e al divieto per i cittadini statunitensi di intrattenere rapporti economici con loro. La primavera 2024 ha visto il Dipartimento del Tesoro colpire anche l’organizzazione insediativa Amana e una sua controllata. In parallelo l’Unione Europea ha imposto misure contro singoli coloni responsabili di violazioni documentate dei diritti umani. Il quadro si è modificato con l’insediamento del presidente Donald Trump: il 20 gennaio 2025 la Casa Bianca ha revocato l’Ordine Esecutivo 14115 e il 24 gennaio 2025 l’OFAC (Office of Foreign Assets Control) ha rimosso persone ed entità dalla lista, sbloccando i beni congelati. In Europa alcuni governi hanno scelto di mantenere o irrigidire il proprio regime sanzionatorio, mentre altri hanno preferito un approccio più cauto.
Gli effetti sul terreno sono misurabili: oltre 51.000 nuove unità abitative autorizzate dalla fine del 2022 corrispondono a un aumento della popolazione dei coloni stimato tra le 600.000 e le 750.000 persone in Cisgiordania e Gerusalemme Est, distribuite in più di 250 insediamenti e outpost. Ogni nuovo lotto richiede collegamenti stradali, reti idriche ed elettriche, recinzioni e servitù, infrastrutture che segmentano ulteriormente i governatorati palestinesi. La continuità territoriale, condizione minima per la funzionalità di uno Stato, risulta così sempre più compromessa. Sul piano amministrativo, la doppia catena di comando in Area C — con poteri civili esercitati dal ministro politico e poteri di sicurezza affidati all’esercito — ha prodotto una struttura opaca e un’applicazione asimmetrica delle norme: demolizioni rapide per opere palestinesi considerate illegali, estrema cautela o vere e proprie sanatorie per gli outpost israeliani fino a ieri abusivi. Le autorità palestinesi parlano apertamente di “annessione amministrativa”, mentre giuristi e associazioni israeliane evidenziano come le misure assomiglino sempre più a un’“annessione di diritto”.
Il 2025 segna un salto qualitativo. L’annuncio di ventidue nuove colonie e il riconoscimento dell’indipendenza amministrativa di tredici insediamenti vanno oltre la contabilità e rappresentano la costruzione di una rete civile radicata in aree strategiche, capace di ridisegnare i bacini di servizi municipali e di rafforzare la massa demografica necessaria a un’eventuale estensione di sovranità. A ciò si aggiungono regolarizzazioni retroattive e nuove designazioni territoriali, con un lessico politico che ripete spesso l’obiettivo di “evitare la creazione di uno Stato palestinese”, espressione utilizzata da più ministri durante l’anno.
Resta aperta la questione degli effetti di lungo periodo. La crescita degli insediamenti non ha prodotto riduzioni delle tensioni, come mostrano i dati dell’ONU. La soluzione dei due Stati appare sempre più compromessa dalla progressiva erosione dei corridoi territoriali necessari alla continuità palestinese. E le leve della comunità internazionale, pur significative nel 2024, si sono indebolite dopo la revoca delle sanzioni da parte dell’amministrazione statunitense nel gennaio 2025. L’Unione Europea tenta di mantenere una linea stabile, ma la sua efficacia sul terreno resta incerta.
La sequenza degli atti amministrativi offre una chiave per comprendere l’indirizzo politico: gli accordi di coalizione del dicembre 2022 che trasferiscono poteri civili a un ministro politico, le formalizzazioni del febbraio 2023, i piani record del 2023 e 2024, le regolarizzazioni e la nascita amministrativa di nuove colonie nel 2025. All’interno di questa cronologia si legge non solo la volontà di “soffocare nell’uovo” — per usare le parole di Smotrich — la possibilità di uno Stato palestinese, ma anche di ridurne progressivamente l’infrastruttura territoriale. Una strategia che procede per atti concreti, più che per dichiarazioni pubbliche.
Fonti utilizzate: Unione Europea; OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, Nazioni Unite); Reuters; Associated Press; Corte Suprema israeliana; OFAC (Office of Foreign Assets Control); Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti; documenti ufficiali del governo israeliano.
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