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Nepal, l’accordo che cambia tutto: governo e Generazione Z firmano dopo 76 morti e migliaia di feriti

Dopo mesi di proteste e una repressione durissima, la prima ministra ad interim Sushila Karki sigla un patto in dieci punti con i rappresentanti dei giovani: anti-corruzione, riforme elettorali, giustizia per le vittime e nuove regole sull’uso della forza

Nepal, l’accordo che cambia tutto: governo e Generazione Z firmano dopo 76 morti e migliaia di feriti

Nella sala lucida di Singha Durbar, le luci al neon scivolano sui caschi appoggiati a terra. Non sono della polizia, ma dei ragazzi che li hanno portati come simbolo di ciò che è accaduto nei mesi precedenti. A Kathmandu, la sera del 10 dicembre 2025, la prima ministra ad interim Sushila Karki firma con un gruppo di rappresentanti della Generazione Z un accordo in dieci punti che nasce dalle macerie delle proteste di inizio settembre. Accanto alla firma di Karkicompare quella di Bhoj Bikram Thapa, che sottoscrive a nome dei feriti e delle famiglie delle vittime. Il documento promette per loro lo status di martiri, compensazioni economiche e un percorso giudiziario definito, riconoscendo che quanto accaduto non è stato un semplice disordine di piazza ma un passaggio politico carico di conseguenze istituzionali.

Il testo siglato è il risultato di settimane di negoziati che più volte hanno rischiato di bloccarsi. Dentro ci sono impegni immediati e obiettivi di medio periodo. Il governo si vincola al rafforzamento degli strumenti di contrasto alla corruzione, alla riduzione dell’influenza dei partiti nelle nomine e all’avvio di indagini rapide su arricchimenti illeciti. Sul terreno elettorale entrano misure che finora erano rimaste ai margini del dibattito: l’introduzione dell’opzione None of the Above (NOTA) sulla scheda, l’obbligo di primarie interne ai partiti e l’abbassamento dell’età minima per candidarsi a 21 anni. Dal fronte costituzionale, una commissione incaricata di proporre correttivi sulla rappresentanza e sulla partecipazione giovanile dovrà muoversi nel rispetto dei pilastri della repubblica federale. Al centro della trattativa resta la giustizia per le vittime, con riconoscimenti formali, risarcimenti, cure gratuite e il rafforzamento della commissione d’inchiesta sugli abusi, oltre alla creazione di una fondazione dedicata alla memoria dei caduti.

Le radici dell’accordo affondano nella crisi esplosa il giorno in cui il governo annunciò il divieto, poi ritirato, di 26 piattaforme social, sostenendo che non rispettavano nuove regole di registrazione. Quella decisione ha incrociato un malessere già ampio legato a corruzione, nepotismo e mancanza di prospettive. L’8 e il 9 settembre le piazze si sono riempite di studenti, neolaureati, rider, giovani professionisti. La polizia è intervenuta con proiettili veri, munizioni di gomma e gas lacrimogeni, gli scontri sono arrivati fino al tentativo di assalto al Parlamento e le cifre sulle vittime sono cresciute di ora in ora. Le prime stime parlavano di 19 morti e oltre un centinaio di feriti; ricostruzioni successive hanno portato il totale a 76 decessi e più di 2.000 feriti. La pressione ha costretto l’esecutivo a rivedere la linea, a ritirare il blocco dei social e infine alle dimissioni del premier K.P. Sharma Oli, sostituito dal governo ad interim guidato da Karki, con elezioni fissate per il 5 marzo 2026.

Il percorso verso la firma non è stato lineare. A novembre il governo aveva annunciato che l’intesa era imminente, ma gli ostacoli burocratici e i dissensi sulle formulazioni hanno rallentato tutto. La prima ministra Karki ha chiesto di accelerare, mentre i giovani negoziatori, tra cui Amit Khanal Urja, Ojaswi Bhattarai/Thapa e Monika Niraula, denunciavano ritardi e chiedevano garanzie. L’accordo arriva quindi al termine di un processo segnato da pressioni contrapposte, con la mediazione del presidente Ramchandra Paudel e il contributo di giuristi e accademici che hanno seguito i passaggi più delicati.

Il patto siglato ridisegna il perimetro della politica del Nepal. Il movimento dell’8 e 9 settembre viene riconosciuto come fatto politico e non come problema di ordine pubblico. È previsto un programma di educazione civica per i giovani e l’istituzione di un Gen Z Day. Sul versante della giustizia, lo status di martiri per i caduti e il sostegno economico e sanitario ai feriti e ai familiari accompagnano l’istituzione di una Fondazione dei Martiri. La commissione d’inchiesta, già attiva sulle violenze, ottiene maggiori poteri, tempi certi e un meccanismo di supervisione che include rappresentanti delle famiglie. Le misure anti-corruzione prevedono una revisione della Commission for the Investigation of Abuse of Authority (CIAA) e la creazione di una task force con presenza giovanile, con l’obiettivo di intervenire rapidamente su ricchezze non giustificate di politici e funzionari. La riforma elettorale introduce il voto NOTA, primarie obbligatorie nei partiti e programmi dedicati alla registrazione dei nuovi elettori. Il progetto di una commissione costituzionale punta invece a proporre aggiustamenti su proporzionalità e controllo dell’integrità del processo democratico, senza modificare i principi di repubblica, multipartitismo, federalismo e secolarismo. Sul terreno operativo, l’accordo promette una revisione dei protocolli di gestione dell’ordine pubblico, con standard internazionali sull’uso della forza, formazione specifica e pubblicazione dei protocolli. Un nuovo Consiglio Gen Z fungerà da organo consultivo del governo e una road map con scadenze verificabili guiderà i primi cento giorni di attuazione.

Il conflitto di settembre ha messo in evidenza una frattura generazionale profonda. Il bando dei social è stato solo il detonatore di anni di crescita lenta, emigrazione giovanile e percezione diffusa di blocco sociale. Le agenzie internazionali come Reuters, Associated Press e Al Jazeera hanno documentato l’escalation e la successiva retromarcia dell’esecutivo. Nel frattempo, stime più dettagliate sulla repressione hanno chiarito la portata dell’uso della forza: briefing di Amnesty International Nepal parlano di 76 morti e oltre 2.000 feriti, mentre dati interni della Nepal Police indicano migliaia di colpi sparati, tra cui 2.642 munizioni letali in 48 ore. La nuova commissione d’inchiesta dovrà verificare queste ricostruzioni e stabilire responsabilità politiche e operative.

In questa fase di transizione la figura di Karki, ex presidente della Corte Suprema, è considerata una garanzia di legalità. Ha dichiarato che un governo ad interim non può ricostruire l’architettura dello Stato, ma può aprire cantieri istituzionali, avviare riforme e garantire elezioni credibili. Le urne di marzo dovranno confermare o ribaltare l’impostazione attuale. L’accordo arriva in un contesto in cui la percezione della corruzione è altissima e alcuni scandali, come quello sui costi gonfiati di un aeroporto, hanno alimentato la richiesta di interventi strutturali. Gli esperti sostengono che la chiave sarà la capacità di proteggere i segnalanti, rendere indipendenti gli organi di controllo e interrompere le logiche clientelari che hanno permeato la burocrazia.

Le riforme elettorali proposte potrebbero modificare in modo significativo il rapporto tra cittadini e istituzioni. L’opzione NOTA offrirebbe un indicatore immediato della fiducia pubblica; le primarie obbligatorie aprirebbero spazi di partecipazione più trasparente; il possibile voto ai 16 anni resta invece un dossier aperto che richiederà tempi tecnici e consenso parlamentare. La registrazione straordinaria degli under 30 alle liste elettorali sarà uno dei primi test dell’attuazione concreta del patto.

La parte dedicata alla giustizia per le vittime prova a trasformare i riconoscimenti in strumenti operativi. Lo status di martiri, le compensazioni economiche, le cure gratuite e le borse di studio saranno gestiti da una fondazione pubblico-privata incaricata di coordinare gli interventi. Il coinvolgimento diretto delle famiglie nel monitoraggio della commissione d’inchiesta rappresenta un cambiamento importante in termini di fiducia istituzionale.

Una parte rilevante dell’accordo riguarda le regole dell’ordine pubblico. L’impegno ad allinearsi agli standard internazionali implica uso graduato della forza, tracciabilità di armi e munizioni e formazione obbligatoria. Amnesty International ritiene che la prova della credibilità del governo passerà da qui. La promessa di rendere pubblici i report periodici sulle operazioni di piazza segna un cambiamento culturale atteso da anni.

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Le reazioni alla firma mostrano una cauta approvazione. Le organizzazioni per i diritti umani chiedono inchieste indipendenti. I movimenti giovanili parlano di un passo avanti, ma mantengono una posizione di vigilanza, ricordando le promesse non mantenute in passato. Dentro l’apparato statale, alcuni funzionari temono che le nuove misure anti-corruzione possano alterare equilibri consolidati. La reale efficacia dell’accordo dipenderà dalla qualità degli atti amministrativi che seguiranno.

Tre fattori determineranno il passo della transizione: la capacità dell’amministrazione di rispettare scadenze e riforme a pochi mesi dalle elezioni, la gestione dell’ordine pubblico durante la campagna e l’uso politico dell’accordo da parte dei partiti divisi tra sostegno e diffidenza. Le verifiche trimestrali e il ruolo del Consiglio Gen Z potrebbero aiutare a mantenere la rotta, ma i primi novanta giorni saranno decisivi per capire se la promessa di cambiamento reggerà.

Il caso nepalese assume un valore regionale. In un’Asia meridionale dove restrizioni digitali e proteste generazionali emergono ciclicamente, la scelta di trasformare una rivolta in un processo negoziale con i giovani introduce un precedente inatteso. La firma del 10 dicembre non garantisce risultati, ma definisce un metodo fatto di riconoscimento del dissenso, tentativi di riparazione e riforme verificabili. La solidità del percorso dipenderà dai decreti attuativi, dai bilanci e dalle elezioni del marzo 2026. Se gli impegni saranno rispettati, il 10 dicembre 2025 potrebbe essere ricordato come il giorno in cui un governo e una generazione, dopo mesi di tensioni, hanno accettato di misurarsi su regole comuni invece che su barricate contrapposte.


Fonti utilizzate: Reuters; Associated Press; Al Jazeera; Amnesty International Nepal; Nepal Police report; dichiarazioni istituzionali governo Nepal.

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