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10 Dicembre 2025 - 18:34
Carceri, 74 suicidi nel 2025: protesta oggi a Roma per chiedere interventi immediati
È mezzogiorno passato in Piazza Montecitorio e il sole di dicembre incide ombre nette sul selciato freddo. Davanti al Parlamento, settantaquattro silhouette di cartone occupano lo spazio come presenze mute, a grandezza naturale, senza volto: ciascuna rappresenta una persona che, dall’inizio dell’anno, si è tolta la vita in un carcere italiano. Dietro, lo striscione “Un Natale di clemenza per le carceri”. È la scena che apre l’undicesima edizione del Memorial Stefano Cucchi, nel giorno della Giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre 2025. In piazza ci sono Ilaria Cucchi, Nicola Fratoianni, attivisti, familiari: voci che chiedono di fermare una strage silenziosa che molti attribuiscono a una sola parola diventata struttura, non emergenza: sovraffollamento.
Nel suo intervento, la senatrice Ilaria Cucchi descrive le sagome come storie, non simboli: vite di cui restano solo un numero di matricola e una causa della morte. Al suo fianco, il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni insiste su scelte politiche “coraggiose” per ridurre la pressione sul sistema: depenalizzazioni, misure alternative, persino indulto e amnistia come concetti che diventano dicibili quando il dolore supera l’indifferenza. È lo stesso linguaggio degli attivisti del Memorial: una “strage continua” che mette in questione responsabilità istituzionali e mostra quanto fragile sia la contabilità quotidiana dei suicidi, oscillante tra 72 e 74 casi nelle sole ore precedenti alla manifestazione. Un’oscillazione minima che però racconta molto: la difficoltà di un monitoraggio uniforme e l’evidenza che, anche senza raffinamenti statistici, i suicidi in carcere restano su livelli che numerosi osservatori definiscono “record” o “prossimi a un nuovo record”.
I dati ufficiali restituiscono un quadro altrettanto netto. Al 30 novembre 2025, secondo il Ministero della Giustizia – DAP, nelle carceri italiane erano presenti 63.868 detenuti per una capienza regolamentare di 51.275 posti. Le sezioni inagibili rendono il differenziale ancora più gravoso, con un indice reale di affollamento che in molte rilevazioni dell’anno supera stabilmente il 130%. Le analisi dell’Associazione Antigone confermano questa tendenza: al 30 aprile 2025 stimava 62.445 detenuti e un tasso vicino al 133% una volta sottratti i circa 4.500 posti inutilizzabili. Con punte oltre il 200% in istituti come Milano San Vittore, Foggia, Lucca, Brescia, Regina Coeli. Dei 189 istituti italiani solo 36 non risultano sovraffollati; 58 superano il 150%. Non sono variazioni giornaliere: sono linee di fondo.
Sul fronte delle morti, il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti ha registrato per tutto il 2025 un andamento crescente, che già a fine estate superava la soglia simbolica dei 50 suicidi, dopo il record del 2024 (oltre 90 casi). Nella sua Relazione dell’11 agosto 2025, il Garante nazionale segnalava 46 suicidi al 31 luglio, in leggero calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma dentro un totale di 146 decessi nei primi sette mesi. Gli aggiornamenti successivi hanno continuato a incrementare la cifra, fino alle 74 sagome esposte a Montecitorio. È in questo solco che il Memorial ha scelto di posare i suoi cartelli.
Il nodo centrale resta la relazione tra sovraffollamento e suicidi. Per chi anima la piazza, la connessione è evidente: più celle stipate significano meno accesso alla cura, più stress psichico, più vulnerabilità. Una ricostruzione pubblicata su “Sistema Penale” indica che nel 2024 ben 51 dei 54 istituti in cui si verificarono suicidi erano oltre il 100% di affollamento. Gli organismi internazionali – dal CPT del Consiglio d’Europa all’OMS – richiamano i paesi a ridurre l’affollamento, l’isolamento e le camerate, potenziando i servizi di salute mentale e il monitoraggio del rischio. Sul fronte opposto, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha più volte sostenuto che sovraffollamento e suicidi sono “due problemi gravi, ma non connessi”, e che semmai la presenza di più persone in cella può prevenire gesti estremi, mentre la solitudine è il fattore più pericoloso. Una posizione ribadita tra dicembre 2024 e l’estate 2025, contestata da molte associazioni e definita da un fact-checking pubblicato a luglio 2025 come “difficile da stabilire” in termini causali, pur ricordando le correlazioni note. La disputa semantica non toglie però peso alla sofferenza strutturale di un sistema nel quale servizi psicologici e psichiatrici restano spesso sottodimensionati.
La discussione non nasce oggi. L’8 gennaio 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò l’Italia nel caso Torreggiani per violazione dell’articolo 3 CEDU, assegnando un anno per introdurre rimedi preventivi e compensativi. Dodici anni dopo, quella pronuncia resta un macigno. Le recenti denunce del CPT nel 2024 e 2025 ribadiscono l’urgenza di riformare le politiche penali, ridurre l’affollamento, investire sui servizi e sulla probation, perché il congestionamento mina la funzione del carcere e espone a trattamenti potenzialmente inumani.
Tra le cause della pressione crescente c’è il combinato di ingressi e tipologia dei reati. Negli ultimi anni è aumentata la quota di detenuti per violazioni della legge sugli stupefacenti: al 31 dicembre 2024 oltre 13.000 persone erano ristrette per il solo art. 73 DPR 309/1990. La presenza di individui con dipendenze nei percorsi penali è elevata; l’Italia supera la media europea per la quota di reati di droga; e il ricorso esteso alla custodia cautelare continua a gonfiare le presenze. In parallelo, i numeri dell’esecuzione penale esterna mostrano un potenziale non sfruttato: a metà ottobre 2025 gli UEPE avevano in carico circa 142.000 persone, con 33.499 affidamenti in prova e 13.849 detenzioni domiciliari. Segno che, se adeguatamente potenziate, le misure alternative possono ridurre la pressione senza pregiudicare la sicurezza pubblica.

Dentro le celle, il sovraffollamento assume la forma concreta di metri quadrati che diminuiscono. Nel 2025 le ispezioni di Antigone hanno rilevato, in 30 istituti su 95 visitati, celle con meno di 3 m² disponibili per detenuto; in 12 strutture l’assenza di riscaldamento; in 43 l’assenza di acqua calda. Fotogrammi che d’inverno diventano condizioni estreme. Nel rapporto “Senza respiro”, Antigone parla di un sistema “al limite dell’implosione”, dove l’edilizia non basta se non cambia la politica penale.
Alle critiche, le istituzioni rispondono con piani e precisazioni. Il Garante nazionale, a luglio, ha invitato a evitare allarmismi sul numero dei suicidi, pur riconoscendo la gravità dell’insieme; il Ministero della Giustizia ha indicato come linee di intervento il rafforzamento del supporto psicologico, la liberazione anticipata speciale e percorsi comunitari per tossicodipendenti. Ma la discussione pubblica resta impigliata nel rapporto tra suicidi e affollamento, un terreno dove narrativa politica ed evidenze empiriche continuano a non sovrapporsi.
Se si abbandonano gli elenchi, resta una mappa chiara delle priorità operative che molti chiedono da anni: potenziare in ogni istituto un vero percorso di valutazione del rischio suicidario, con screening clinici all’ingresso e periodici, protocolli dinamici e équipe integrate tra sanità, penitenziaria e area esterna; ridurre drasticamente l’uso dell’isolamento e intervenire sugli ambienti promiscui che amplificano stress e violenze; mettere a terra un piano straordinario di misure alternative con nuove risorse agli UEPE; rivedere la politica sulle droghe distinguendo tra consumo, micro-spaccio e traffico, spostando la gestione delle dipendenze da un binario penale a uno sanitario; rendere finalmente effettivi gli standard europei su metri quadrati, acqua calda, riscaldamento, cura; pubblicare dati tempestivi e unificati su suicidi, tentati suicidi, eventi critici e coperture sanitarie; investire in modo mirato sulla salute mentale dentro e fuori il carcere, soprattutto nella fase di liberazione, considerata una delle più delicate per il rischio di ricadute o disconnessione dai servizi.
La piazza di oggi pronuncia parole pesanti: indulto, amnistia. Chi le propone le considera strumenti emergenziali; chi le respinge teme un segnale di impunità. In mezzo c’è un territorio più ampio fatto di pene sostitutive, messa alla prova, detenzione domiciliare, affidamento in prova, liberazione anticipata speciale. Non si tratta di svuotare le carceri, ma di ripensare la pena secondo criteri di proporzionalità e rischio, indirizzando verso la comunità ciò che può essere trattato meglio fuori. Le stesse statistiche dell’amministrazione penitenziaria indicano che, laddove le misure alternative sono applicate con continuità e risorse adeguate, il carico delle celle si riduce senza effetti negativi sulla sicurezza urbana.
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