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10 Dicembre 2025 - 17:39
«Vai a casa a lavare i piatti»: offesa all’arbitra in Coppa Italia, i tifosi intervengono
La prima cosa che si sente non è un fischio né l’esultanza per il pareggio: è una frase che il calcio femminile vorrebbe archiviare da anni. «Vai a casa a lavare i piatti». Una voce isolata, catturata da un cellulare sugli spalti, rimbalza sulla rete e in poche ore diventa un caso nazionale. La seconda cosa che si sente è la smentita del presunto folklore da curva: «No!». Fischi, richiami, «vergognati». Accade durante Moncalieri–Pro Palazzolo, ottavi di Coppa Italia di Serie C femminile disputati domenica 7 dicembre 2025 nell’area torinese, finiti 4-3 per le padrone di casa. L’arbitra si chiama Arianna Quadro, 26 anni, sezione AIA Pinerolo. L’uomo che urla l’offesa — si scoprirà poco dopo — non è un tifoso qualsiasi ma un magazziniere tesserato della squadra maschile della Pro Palazzolo (Serie D), seduto in tribuna come semplice spettatore.
Secondo testimoni e cronache locali, l’episodio esplode al 28’ del primo tempo: il Moncalieri Women trova il pareggio e dagli spalti parte l’ingiuria diretta alla direttrice di gara. Nei video si sente distintamente l’insulto ripetuto due volte, seguito dalla reazione immediata del pubblico di entrambi i settori. Il match scivola poi verso una partita combattuta, sette gol, una qualificazione che dovrebbe occupare le cronache sportive ma che resta schiacciata dal contesto.
Il video, poche decine di secondi, viene rilanciato da giornali e tv: il dettaglio più potente non è l’offesa, ma la risposta corale che la interrompe. Un rigetto istantaneo dello stereotipo, un riflesso collettivo registrato con nitidezza. È questo a trasformare il frammento in un caso esemplare: mostra che la condanna sociale non ha più bisogno di orchestrazioni, che può nascere spontaneamente da una tribuna.
La reazione dei club arriva senza ambiguità. La Pro Palazzolo diffonde una nota di dissociazione totale dal comportamento del proprio tesserato, esprime solidarietà all’arbitra e ringrazia pubblico di casa e ospite per aver redarguito l’autore dell’insulto. Ricorda che simili atti «non rappresentano i valori» del club. Dall’altra parte, il Moncalieri Women definisce l’episodio «spiacevole e vergognoso», sottolinea che il linguaggio sessista mina la crescita dello sport femminile e valorizza un punto chiave: entrambe le tifoserie hanno isolato il responsabile. Nelle categorie minori, dove le distanze si accorciano e la comunità pesa più dei recinti, quel gesto vale quanto una sanzione.
Il volto al centro della vicenda è quello di Arianna Quadro, 26 anni, otto anni di esperienza sui campi piemontesi, impegno nella formazione dei giovani arbitri, un recente esordio in Promozione maschile e un lavoro da infermiera a Torino. Il suo profilo racconta una generazione di direttrici di gara che cresce dentro le comunità sportive, regge il doppio carico professionale ed eleva il livello tecnico dei campionati di base.
Sul luogo della gara resta un dettaglio logistico: si gioca nell’area torinese, con alcune cronache che indicano il campo di Orbassano come sede. Per club che utilizzano più impianti non è una rarità; qui la dinamica è comunque documentata da video e comunicati.
La novità emersa nelle ore successive dà un altro peso alla storia: l’autore dell’offesa non è un anonimo spettatore, ma un tesserato della squadra maschile della Pro Palazzolo. È una circostanza che cambia la cornice disciplinare e sposta il tema dalla maleducazione da spalti alla responsabilità dei membri di un’organizzazione sportiva, anche quando non sono in servizio.
Sul piano normativo, in presenza di insulti discriminatori rivolti a ufficiali di gara, i regolamenti italiani prevedono procedimenti disciplinari anche verso tesserati non coinvolti direttamente nella partita. Mancando, al momento, un comunicato del Giudice Sportivo o una nota della Procura Federale, ogni previsione resta ipotesi. Ma una certezza esiste già: la presa di distanza rapida e pubblica della Pro Palazzolo è un atto politico oltre che sportivo. Non è frequente nelle categorie dilettantistiche, dove spesso prevalgono silenzi e minimizzazioni. La trasparenza può pesare nelle valutazioni federali se si aprirà un fascicolo.
Il pubblico, intanto, diventa laboratorio di cultura sportiva. Se l’insulto è vecchio, la reazione collettiva non lo è. I video mostrano spalti che ammoniscono, fischiano, respingono. È un comportamento che vale più di molte campagne istituzionali: stabilisce un confine sociale e propone un modello replicabile. L’onda del «No!» che copre l’offesa è già parte della notizia.
L’espressione «vai a casa a lavare i piatti» non è uno sfottò: è un insulto sessista che mira a ricondurre una donna a un ruolo domestico, negandole autorevolezza e legittimazione. Colpire un arbitro, figura di equità e applicazione delle regole, significa attaccare un principio prima ancora che una persona. Ecco perché episodi simili sono considerati aggravanti nelle valutazioni sportive e perché il dibattito mediatico li tratta sempre meno come folklore.
La storia di Arianna Quadro è la storia di molte giovani arbitre: formazione continua, primi passi nelle categorie maschili, un lavoro civile affiancato al fischietto, una presenza costante nelle comunità sportive. Parallelamente, l’archivio delle cronache locali mostra che gli attacchi sessisti non sono scomparsi, ma stanno trovando meno tolleranza e più reazione pubblica. È un cambiamento graduale, ma reale.
La partita, da sola, avrebbe materiale per riempire le pagine sportive: sette gol, una rimonta, un finale acceso. Ma finisce risucchiata da un contesto più grande. Nel calcio del nuovo decennio è inevitabile: il significato degli eventi non nasce dal risultato ma da ciò che lo circonda. Qui si è consumata una collisione fra un vecchio machismo di riflesso e un nuovo anticorpo sociale che lo respinge.
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