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Il kayak Inuit restituito dopo cento anni: cosa c’è davvero dietro il rientro dal Vaticano al Canada

Un’imbarcazione del Western Arctic e altri 61 manufatti lasciano i Musei Vaticani per tornare alle comunità indigene: tra restituzione, potere, documenti mancanti e un secolo di domande ancora aperte

Il kayak Inuit restituito dopo cento anni: cosa c’è davvero dietro il rientro dal Vaticano al Canada

Hunters in kayaks on shore. (Library and Archives Canada)

All’aeroporto Montréal–Trudeau, il rumore metallico dei carrelli si è fermato davanti a una cassa lunga oltre quattro metri. Dentro, protetto da strati di imballaggi tecnici, un kayak inuit costruito con legno di deriva, cuciture in tendini e pelle di foca. Un manufatto nato per muoversi tra i ghiacci del Western Arctic canadese durante la caccia al beluga, non certo per la quiete di un’esposizione museale. Il 9 dicembre 2025, dopo un passaggio al Canadian Museum of History di Gatineau, quell’imbarcazione e altri 61 oggetti hanno iniziato il percorso per tornare nelle comunità di provenienza. Non un gesto cerimoniale, ma una prova concreta di come un’eredità segnata da rapporti di forza coloniali possa essere affrontata con atti verificabili e non solo con dichiarazioni di principio.

Il rientro era atteso da un secolo. Il pacchetto dei 62 manufatti è stato formalmente “donato” dal Vaticano alla Canadian Conference of Catholic Bishops (Canadian Conference of Catholic Bishops – CCCB) il 15 novembre 2025, con l’indicazione di trasferirli “il prima possibile” alle National Indigenous Organizations (National Indigenous Organizations – NIOs). Tra gli oggetti compaiono utensili domestici inuit come un mestolo, astucci per aghi, un ulu e, soprattutto, il kayak con una pagaia completa. Sono beni raccolti in vista della Mostra Missionaria Vaticana del 1925 e poi confluiti nell’Anima Mundi, il museo etnografico dei Musei Vaticani. La versione ufficiale parla di doni a Pio XI, ma storici e rappresentanti indigeni ricordano che negli anni Venti la sproporzione di potere tra missionari e comunità locali rende difficile considerare davvero “volontarie” queste consegne.

Per molti, dunque, questo rientro rappresenta un passaggio dovuto, oltre che simbolico. Il linguaggio conta, soprattutto quando definisce il perimetro politico e morale dell’operazione. Il termine “donazione”, preferito dalle autorità ecclesiastiche, si scontra con l’idea di “restituzione” usata a livello internazionale nei processi di ritorno dei beni culturali. Nel 2023 il Vaticano aveva consegnato alla Chiesa ortodossa di Grecia tre frammenti del Partenone, configurando un precedente che aveva già posto il tema della narrazione ufficiale del gesto. Con il Canada, la scelta di far transitare gli oggetti attraverso la CCCB, e non tramite enti statali, è stata presentata come un segno di dialogo e come un modo per rafforzare il percorso condiviso con i popoli indigeni. Ma la credibilità del processo non si gioca sulle parole, bensì sulla capacità di ricostruire l’origine dei pezzi fino alla loro comunità di riferimento.

Secondo Natan Obed, presidente di Inuit Tapiriit Kanatami (Inuit Tapiriit Kanatami – ITK), il kayak è un oggetto d’uso reale, costruito con materiali locali e destinato alla caccia. A oggi non esiste certezza sulle modalità con cui sia giunto a Roma negli anni Venti. Proprio per questo, né il kayak né gli altri oggetti saranno collocati immediatamente in esposizioni permanenti. Prima saranno condotti studi di provenienza coordinati da consulenti inuit, mentre i manufatti resteranno in un deposito climatizzato del Canadian Museum of History. Il 9 dicembre, il museo di Gatineau ha mostrato una selezione dei pezzi rientrati, offrendo al pubblico l’immagine iniziale di un percorso ancora lungo. Da questo momento comincia il lavoro più complesso: identificare l’esatta provenienza comunitaria dei singoli oggetti, verificare il loro valore culturale e stabilire, con le NIOs e con gli Elders, la loro destinazione finale. La scelta potrebbe portare a centri culturali locali, musei indigeni o, dove consentito, a un ritorno d’uso.

Per quasi un secolo, questi manufatti sono rimasti nelle sale dell’Anima Mundi, istituzione nata per illustrare la dimensione universale della missione cattolica. Oggi quello sguardo è cambiato: ciò che in passato veniva presentato come testimonianza “esotica” è ormai riconosciuto come parte integrante di patrimoni vivi e radicati nelle comunità. La restituzione alla CCCB è stata inserita dal Papa tra gli eventi del Giubileo della Speranza 2025 e viene presentata come continuità con le scuse rivolte nel 2022 in Canada a First Nations, Métis e Inuit, e con la ripudiazione nel 2023 della Doctrine of Discovery, il quadro giuridico e teologico che aveva giustificato per secoli la colonizzazione. L’arrivo a Montréal il 6 dicembre è stato accompagnato da cerimonie indigene e da una partecipazione intensa, sottolineata da figure come Cindy Woodhouse Nepinak, National Chief dell’Assembly of First Nations (Assembly of First Nations – AFN). Nel frattempo, da ambienti cattolici è arrivato il richiamo al concetto di “dono libero”, nel tentativo di evitare che la restituzione venga interpretata come risultato di pressioni esterne.

È una disputa semantica che però incide sulla percezione pubblica, influenzando i processi futuri. Le domande più tecniche riguardano l’inventario effettivo e le possibilità di ricerca. L’insieme dei 62 oggetti comprende manufatti d’uso quotidiano, un kayak completo e una pagaia, usciti dal Canada tra il 1923 e il 1925. Oggi si trovano nei depositi a clima controllato del Canadian Museum of History, in attesa dei passaggi successivi concordati da CCCB e NIOs, tra cui Inuit Tapiriit Kanatami, Inuvialuit Regional Corporation (Inuvialuit Regional Corporation – IRC), Assembly of First Nations e Métis National Council (Métis National Council – MNC). La complessità del rientro richiede di affrontare tre nuclei di lavoro che musei, vescovi e organizzazioni indigene stanno definendo: la ricerca di provenienza basata su archivi, fotografie, registri missionari e testimonianze orali, la consultazione comunitaria per attribuire significati culturali e spirituali a ciascun oggetto, e la decisione sulla destinazione finale, evitando che la restituzione resti un mero trasferimento di proprietà senza infrastrutture adeguate.

Nel dibattito emerge di continuo il contrasto fra “gift” e “give back”. Nei comunicati ufficiali, l’uso del primo termine mira a evitare riferimenti a spoliazioni. Ma la Truth and Reconciliation Commission ha definito le politiche coloniali canadesi come “genocidio culturale”; è inevitabile chiedersi quanto fossero realmente libere le cessioni effettuate negli anni Venti. Il fatto stesso che oggi si parli di restituzione deriva dal lavoro di lunga durata delle organizzazioni indigene, dalle scuse del 2022 e dalle prese di posizione del 2023.

Gli oggetti non cambiano, ma cambia l’orizzonte in cui vengono collocati. Restituirli non annulla oltre un secolo di assimilazione forzata, ma produce effetti immediati: restituisce alle comunità saperi tecnici e materiali, rafforza l’identità culturale delle nuove generazioni, obbliga istituzioni come il Vaticano e i musei nazionali a confrontarsi con standard più rigorosi di tracciamento e apre la strada ad altre azioni simili. All’interno del museo di Gatineau, davanti a una teca temporanea, Natan Obed ha osservato che non si conosce ancora il percorso che ha portato il kayak in Vaticano.

Accanto a lui, rappresentanti di AFN, MNC e IRC hanno ricordato che questi manufatti non sono oggetti neutri, ma presenze che appartengono a storie familiari e territoriali. Il paragone con i frammenti del Partenone consegnati nel 2023 rimane pertinente: anche allora la mediazione ecclesiastica aveva permesso di aggirare il modello “Stato a Stato”, raggiungendo comunque il risultato. Oggi resta da capire se questo schema possa essere applicato altrove o se funzioni solo dove la Chiesa mantiene un rapporto stabile con le comunità coinvolte. Tra gli elementi più discussi c’è la presenza della pagaia associata al kayak, elemento non scontato nelle collezioni storiche. La coppia imbarcazione–pagaia permette analisi più dettagliate su equilibrio, usura, riparazioni artigianali.

Ogni segno racconta un frammento di utilizzo che nessun comunicato può sostituire. Le date chiave sono il 15 novembre, quando i 62 oggetti sono stati consegnati alla CCCB in Vaticano, il 6 dicembre, con l’arrivo a Montréal, e il 9 dicembre, con la presentazione temporanea al Canadian Museum of History che ha segnato l’avvio delle ricerche di provenienza. Restano molte questioni aperte: quanti altri oggetti canadesi si trovano ancora nell’Anima Mundi, quale documentazione accompagni ogni pezzo, e come saranno finanziati i lavori necessari nelle comunità una volta completata la restituzione. Resta anche l’incognita sul destino del kayak: se possa tornare a un uso educativo o rituale oppure se rimarrà un testimone museale. Ciò che accadrà dipenderà dal coinvolgimento continuativo delle comunità indigene, non come portatori di interesse ma come proprietari culturali a pieno titolo.

La vicenda canadese si colloca in un contesto più ampio di ripensamento del ruolo custodiale dei musei e delle istituzioni religiose. La tendenza globale, dai Benin Bronzes alla Polinesia, va verso restituzioni e co-curatele. Il caso del kayak inuit dimostra che non basta spostare gli oggetti: occorre restituire i significati che portano con sé. In questa prospettiva, la collaborazione tra CCCB, NIOs e Canadian Museum of History diventa un modello che supera i confini nazionali.

Nei prossimi mesi, forse anni, conservatori ed Elders esamineranno fibre, cuciture, materiali, confrontando stili e toponimi. È un lavoro lento, ma necessario per trasformare un gesto annunciato in un processo completo. Nel frattempo, il kayak resterà in deposito, in attesa del viaggio successivo. Quando lascerà il museo, se il percorso sarà stato rispettato fino in fondo, non entrerà soltanto in un nuovo edificio: tornerà in un contesto di conoscenze vive, dove la parola “casa” ritroverà la consistenza del legno e il suono pieno di una pagaia sull’acqua.


Fonti utilizzate: Canadian Museum of History, Inuit Tapiriit Kanatami, Canadian Conference of Catholic Bishops, Musei Vaticani, Assembly of First Nations, Métis National Council, Inuvialuit Regional Corporation, comunicati ufficiali Vaticano, Truth and Reconciliation Commission of Canada.

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