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09 Dicembre 2025 - 00:46
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La notte odora di gasolio e fumo lungo la strada rossa che collega Luvungi a Sange. Una colonna di famiglie avanza senza parlare, con i materassi legati a corde di fortuna e i bambini avvolti in coperte militari. Poco più a sud, al passaggio sul fiume Rusizi, uomini in uniforme consegnano i fucili ai gendarmi burundesi: sono militari e agenti congolesi che non hanno più reparti a cui fare ritorno. Intanto, più a nord, i combattenti dell’M23 – gruppo che Kinshasa e le Nazioni Unite (ONU) accusano da anni di ricevere sostegno dall’esercito del Rwanda – avanzano verso Uvira, punto strategico sul lago Tanganica e snodo diretto con Bujumbura. È la fotografia di un fronte che agli inizi di dicembre 2025 ha bruciato distanze e sicurezza, tra bombardamenti, colpi di mortaio ed esplosioni come quella che ha colpito Sange, provocando la morte di decine di civili.
La perdita di controllo su Luvungi, villaggio tra Kamanyola e Uvira, ha aperto una breccia evidente nello schieramento congolese, spingendo gli scontri verso Sange, dove un ordigno è esploso nel pieno della fuga della popolazione, causando oltre trenta morti e almeno venti feriti secondo i primi rapporti. Le ricostruzioni restano incerte: alcuni testimoni parlano di una granata, altri di un colpo di mortaio. Quel che appare chiaro è l’impatto sugli spostamenti della popolazione, che ha raggiunto in massa la frontiera con il Burundi, ingorgando i punti di attraversamento.
Da settimane, diverse fonti segnalavano la presenza di reparti burundesi a sostegno di Kinshasa sulla piana della Rusizi, con movimenti verso Luvungi e rinforzi inviati per proteggere l’asse che conduce a Uvira. Bujumbura ha respinto letture affrettate, sostenendo che il proprio dispiegamento in territorio congolese prosegue secondo i protocolli stabiliti con il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Il flusso di civili e militari in fuga si è intensificato tra il 14 e il 21 febbraio 2025, quando il Burundi ha registrato aumenti rapidi nelle presenze in arrivo dalla RDC, passando in pochi giorni da diecimila a una stima di venti-trentacinquemila persone. Le autorità hanno ordinato la separazione immediata fra civili e personale in uniforme nei centri di accoglienza di Gihanga (Bubanza) e Cibitoke. In quelle stesse ore, il ministro dell’Interno Martin Niteretseha confermato l’ingresso di “centinaia” di agenti congolesi, mentre media locali e testimoni riferivano di gruppi di militari delle FARDC (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo) recuperati sulle sponde del Rusizi, disarmati e trasferiti in strutture gestite dai reparti burundesi.
A Uvira, il precedente rientro di oltre mille agenti congolesi provenienti dal Burundi aveva già scatenato proteste: i rappresentanti civici accusavano chi avrebbe dovuto difendere la popolazione di averla abbandonata. Un episodio che ha inciso sulla credibilità dello Stato in un’area dove la sicurezza è gestita da un mosaico di attori armati, compresi i Wazalendo, spesso più presenti delle truppe regolari.
Sul piano della diplomazia, gli eventi degli ultimi giorni mostrano un netto contrasto tra dichiarazioni ufficiali e dinamiche militari. Il 4 dicembre 2025, a Washington, Stati Uniti e Qatar hanno presentato un nuovo capitolo del processo negoziale avviato tra Kinshasa e Kigali, con il presidente Félix Tshisekedi e il presidente Paul Kagameriuniti per formalizzare impegni già delineati negli accordi di giugno e nelle successive sessioni a Doha in luglio e novembre. Ma mentre le fotografie scorrevano sui tavoli della diplomazia, nel Kivu si combatteva. L’M23, non incluso nel trattato bilaterale, ha continuato le operazioni; Kinshasa ha accusato il Rwanda di sostenere la ribellione in violazione degli accordi; Kigali ha respinto ogni addebito.
L’esplosione di Sange, con almeno trenta vittime e venti feriti – tra cui bambini – resta uno degli episodi più gravi. I sopravvissuti parlano di un impatto violentissimo durante una fase di scontri tra reparti delle FARDC, milizie alleate e combattenti non meglio identificati. Negli stessi giorni, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha trasferito feriti verso l’ospedale di Uvira, includendo sette minori, in una rete di soccorsi resa complicata da strade interrotte e bombardamenti intermittenti. Le circostanze della deflagrazione restano da chiarire: nessuna perizia indipendente è stata condotta nelle ore immediatamente successive. Un vuoto che alimenta versioni contrapposte e segnala quanto la propaganda accompagni ormai ogni fase del conflitto.
Uvira è un crocevia essenziale. Dall’area di Kamalondo–Gatumba al porto sul Tanganica, collega Burundi e Tanzania, ed è una porta logistica per merci e spostamenti di personale. Per l’M23, conquistarla significherebbe consolidare il controllo sull’area meridionale dopo i successi ottenuti nel Nord Kivu e nel Sud Kivu. Per Kinshasa, difenderla è una priorità per evitare che la linea del lago diventi un nuovo corridoio di rifornimento per la ribellione. Le testimonianze raccolte negli ultimi mesi descrivono una città che vive in un clima di sospensione: evacuazioni improvvise, uffici spostati, voci persistenti – talvolta smentite – su arretramenti e tentativi di contrattacco.
Un cambio strutturale del contesto di sicurezza è legato al ritiro della MONUSCO (Missione dell’ONU per la Stabilizzazione nella RDC) dal Sud Kivu nel giugno 2024, con la chiusura del quartier generale di Bukavu e la dismissione delle basi di Sange e Rutemba. La provincia si è ritrovata senza il tradizionale cuscinetto di peacekeeping, lasciando alle autorità congolesi e agli alleati regionali il compito di contenere gruppi armati capaci di operare su più fronti.
La dimensione regionale pesa ancora di più se si considera quanto accaduto il 25 marzo 2025, quando il presidente del Burundi, Évariste Ndayishimiye, ha accusato il Rwanda di sostenere piani destabilizzanti legati anche al conflitto congolese. Kigali ha replicato chiedendo calma e dialogo. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha più volte sollecitato il Rwanda a interrompere ogni forma di supporto all’M23 e contemporaneamente chiesto alla RDC di neutralizzare le milizie FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda). Le risoluzioni non hanno però impedito all’M23 di consolidare un apparato amministrativo parallelo, con tassazione, giustizia propria e controllo di aree minerarie come Rubaya, una delle principali zone di estrazione di coltan del Paese.
Secondo un’inchiesta dell’agenzia Reuters, l’M23 avrebbe raggiunto una forza stimata di circa quattordicimila combattenti, con una struttura interna che unisce componente militare e componente amministrativa. Nelle aree controllate, il gruppo nomina responsabili locali, impone tasse e gestisce controversie. La disponibilità di risorse minerarie garantisce un flusso economico costante che rafforza la sua autonomia e gli consente operazioni coordinate su più direttrici, rendendo difficile contrastarlo con soli strumenti militari o con accordi che non ne prevedano un ruolo definito nel processo politico.
La distanza tra gli accordi firmati negli Stati Uniti e in Qatar e la realtà del campo è evidente: gli sviluppi militari hanno continuato a dettare l’agenda, mentre le FARDC affrontano sfide di organizzazione, comando e morale. L’8 dicembre 2025, Félix Tshisekedi ha accusato il Rwanda di non rispettare gli impegni presi, sottolineando la fragilità del percorso negoziale.
La popolazione civile è la più esposta: case e scuole sono state colpite durante gli scontri sulla piana, con quartieri evacuati in fretta e classi trasformate in rifugi estemporanei. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha segnalato difficoltà nell’evacuazione dei feriti nelle zone di Walungu, Mwenga e Fizi, mentre le agenzie dell’ONU hanno ricordato che gli attacchi contro strutture mediche, operatori sanitari e peacekeeper possono costituire crimini di guerra.
L’avanzata dell’M23 verso Uvira non è soltanto lo spostamento di un fronte: è il segno di una crisi che riguarda la sovranità dello Stato congolese e la stabilità dell’intera regione. Nonostante gli accordi firmati e le celebrazioni diplomatiche, il terreno continua a essere determinante. Tra convogli militari che precedono le famiglie in fuga, uniformi abbandonate, accuse incrociate e assenza di controlli indipendenti, resta aperta la domanda che accompagna la popolazione di Uvira: chi garantirà la sicurezza della città prima che il conflitto arrivi al Tanganica?
Fonti utilizzate:
Reuters, ONU, ICRC – Comitato Internazionale della Croce Rossa, dichiarazioni ufficiali di Félix Tshisekedi, dichiarazioni del governo del Burundi, dichiarazioni del governo del Rwanda, comunicazioni delle FARDC.
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