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08 Dicembre 2025 - 12:36
Italia sotto mazzetta: il dossier di Libera fotografa un Paese che si scopre permeabile a favori, appalti truccati e clientele
L’Italia del 2025 si risveglia ancora una volta dentro lo stesso paradosso: mentre si celebra la giornata internazionale contro la corruzione, arriva puntuale il dossier di Libera, che mette in fila dati, indagini, nomi e territori. E il quadro che emerge è tutt’altro che rassicurante. Anzi, la fotografia scattata dall’associazione guidata da don Luigi Ciotti è una delle più nitide degli ultimi anni: 96 inchieste aperte tra il 1° gennaio e il 1° dicembre, una media di otto al mese, 49 procure coinvolte e soprattutto 1.028 indagati. Numeri di un Paese che conosce perfettamente la parola corruzione e continua a viverla come una malattia endemica, silenziosa, difficile da estirpare.
È un’Italia divisa geograficamente ma unita dalle storture. Le regioni del Sud e delle Isole guidano la classifica con 48 inchieste, seguite dal Centro con 25 e dal Nord con 23. La Campania, con 219 indagati, conquista la poco lusinghiera “maglia nera”, seguita dalla Calabria (141) e dalla Puglia (110). Ma anche al Nord i numeri raccontano un ecosistema vulnerabile: la Liguria, con 82 indagati, è la prima regione settentrionale, e subito dopo arriva il Piemonte, che registra 80 nominativi coinvolti. La corruzione, insomma, non è questione di latitudine, ma di abitudini, rapporti, scambi, complicità, opportunità.
Il dossier di Libera, significativamente intitolato “Italia sotto mazzetta”, non si limita a elencare cifre: entra nei dettagli, mostra la varietà dei fenomeni corruttivi, la loro capacità di insinuarsi nei settori più diversi. E ciò che colpisce è la normalità con cui si ripetono certe dinamiche. Esistono mazzette per ottenere false attestazioni di residenza, indispensabili per richiedere la cittadinanza italiana iure sanguinis, e mazzette per creare falsi certificati di morte utili a manipolare successioni e procedimenti amministrativi. Una creatività criminale che non stupisce più nessuno, perché quando la burocrazia è fitta, basta ungere l’ingranaggio per farlo girare nella direzione desiderata.

Ma non si tratta solo di micro-corruzione. C’è un universo ben più vasto che riguarda settori strategici. La sanità, ad esempio, continua a essere uno dei terreni più esposti: appalti pilotati, forniture concordate, servizi comprati come fossero merce sul banco di un mercato parallelo. Lo stesso vale per la gestione dei rifiuti, un campo storicamente appetibile per chi sa trasformare una gara pubblica in un affare privato. E ancora: opere pubbliche, licenze edilizie, refezione scolastica, settori in cui la posizione di potere diventa moneta da scambiare. La corruzione, qui, funziona come un moltiplicatore di costi: non solo economici, ma sociali. Ogni “favore” sottrae risorse, rallenta i processi, distorce la concorrenza e crea disuguaglianze.
Il dossier elenca anche casi di concorsi universitari manipolati, terreno fertile di quel sotto-sistema fatto di scambi di favore, posizioni garantite e logiche baronali che resistono da decenni. E poi le inchieste sul voto di scambio politico-elettorale: un classico della tradizione italiana, che dimostra come la ricerca del consenso, quando il mercato politico si restringe, finisca per spingersi sempre più verso zone grigie o apertamente illegali. In alcuni casi, come segnala Libera, la corruzione si intreccia con la presenza di clan mafiosi nelle grandi opere, creando una miscela che mette a rischio non solo la legalità ma anche la sicurezza di interi territori.
A rendere ancora più inquietante la fotografia è la dimensione sotterranea del fenomeno. Libera parla di un’avanzata “senza freni”: un’espansione invisibile, che procede per micro-relazioni, piccoli accordi, silenzi comprati, abitudini consolidate. È la banalità della corruzione: non il grande caso da prima pagina, ma il sistema quotidiano, ripetuto, interiorizzato. In tanti casi, più che indignazione, prevale una sorta di rassegnazione sociale. Un “si è sempre fatto così” che diventa il terreno su cui proliferano pratiche illegali, connivenze, complicità più o meno consapevoli.
Con oltre mille indagati in undici mesi, è evidente che la risposta giudiziaria, pur importante, da sola non basta. Il numero delle procure coinvolte — 49, quasi metà del totale nazionale — indica quanto il fenomeno sia radicato in modo capillare. Non c’è settore immune, non c’è area del Paese che non abbia visto almeno un’indagine. E non c’è livello istituzionale che si salvi completamente: funzionari, amministratori locali, dirigenti, imprenditori, professionisti. L’ecosistema corruttivo si alimenta di relazioni verticali e orizzontali, di scambi reciproci che difficilmente avvengono alla luce del sole.
L’analisi di Libera non punta a criminalizzare territori, categorie o istituzioni, ma a mostrare la realtà in modo oggettivo: la corruzione resta, ancora oggi, uno dei principali freni allo sviluppo del Paese. Non solo perché sottrae risorse pubbliche, ma perché mina la fiducia, elemento fondamentale per la coesione sociale e per il funzionamento delle democrazie moderne. Quando il cittadino percepisce che il merito può essere aggirato, che l’accesso ai servizi dipende da conoscenze, che un concorso può essere manipolato, allora l’intero sistema perde credibilità.
A fare impressione è la varietà dei settori coinvolti. La corruzione non riguarda più solo le grandi opere o le gare milionarie: si insinua nelle pratiche quotidiane, nel rilascio di certificati, nelle concessioni edilizie, nella gestione dei servizi scolastici. Ogni anello della catena amministrativa rischia di diventare un punto di pressione. E non è un caso che il dossier arrivi alla vigilia della giornata internazionale contro la corruzione: un invito a guardare oltre la superficie, oltre le statistiche, per comprendere che il fenomeno non è episodico ma sistemico.
Il fatto che la Campania sia la regione con più indagati non deve far pensare a un problema meridionale. La corruzione, come mostrano i dati, segue logiche trasversali. Al contrario, i numeri del Nord — Liguria e Piemonte in testa — smentiscono l’idea che esista un’Italia virtuosa contrapposta a una irrecuperabile. Le differenze, semmai, si trovano nella tipologia delle inchieste: al Sud spesso si intrecciano a dinamiche mafiose; al Nord prevale la corruzione nei servizi, negli appalti, nei rapporti tra pubblico e privato.
Il dossier di Libera diventa così un punto di partenza, non un punto d’arrivo. Ogni numero è una storia, ogni indagine è un pezzo di una realtà più ampia. La domanda finale resta la stessa: come si spezza un meccanismo che si autorigenera? La risposta, probabilmente, non può venire solo dalla magistratura. Servono controlli, prevenzione, trasparenza, cultura della legalità. E soprattutto servono cittadini che rifiutino le scorciatoie, gli accomodamenti, la complicità passiva.
La corruzione non è un fulmine: è un clima. E il 2025, secondo Libera, ci dice che questo clima continua a peggiorare. L’Italia potrà invertire la rotta solo quando smetterà di considerare la corruzione un rumore di fondo e inizierà a percepirla per ciò che è: un pericolo concreto, costante e capace di minare le fondamenta stesse della vita pubblica.
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