Cerca

Attualità

D’Alema spara contro Israele e l’Europa: “Boicottateli. Gli studenti sono l’ultimo baluardo”

D’Alema e il boicottaggio: dal gesto di una signora al supermercato alla proposta di sospendere l’accordo UE-Israele, tra accuse di pulizia etnica, pronunce internazionali e tensioni nel centrosinistra

D’Alema spara contro Israele e l’Europa: “Boicottateli. Gli studenti sono l’ultimo baluardo”

D’Alema

Una signora, in un supermercato romano, prende una confezione di datteri e la rigira tra le mani. Vede l’origine, esita, poi la posa sullo scaffale. È un gesto minimo, quasi impercettibile, ma Massimo D’Alema lo trasforma in un segnale politico. E prima ancora di raccontarlo, scandisce una frase che attraversa l’intero dibattito come un monito: “È chiaro che bisogna boicottare Israele. Hanno ragione quei ragazzi che lo dicono, che protestano nelle università e che vengono aspramente rimproverati. Loro hanno ragione, perfettamente ragione. Sono l’ultimo baluardo della civiltà europea”.

È la dichiarazione che imprime la direzione del convegno “Piano Trump: una tregua senza pace?”, organizzato a Roma dai deputati del Partito Democratico, e che definisce l’impianto politico dell’intervento dell’ex presidente del Consiglio.

Oggi alla guida della Fondazione Italianieuropei, D’Alema parla senza freni. Denuncia “un elemento di inganno verso l’opinione pubblica”, perché ciò che accade non riguarda solo Gaza, ma l’attuazione progressiva di “un piano della destra israeliana che punta a una soluzione finale del conflitto”. La formula “due popoli, due Stati”, spiega, sopravvive come rito retorico, mentre sul terreno avanza “la costruzione della grande Israele, attraverso una politica di pulizia etnica che mira in parte a espellere i palestinesi, ridotti a condizioni simili a quelle dei nativi americani”.

Il boicottaggio, nella lettura dell’ex premier, non è solo un gesto etico: diventa strumento di pressione politica sulla Unione europea. E a sostegno della sua tesi cita gli studenti che occupano gli atenei, descritti come “ultimo baluardo della civiltà europea”. Il punto di approdo è l’Articolo 2 dell’Accordo di associazione UE-Israele, che lega il trattato al rispetto dei diritti umani. Se tali diritti vengono violati, sostiene, la sospensione dell’accordo non è una provocazione: è coerenza giuridica.

Sul piano internazionale, la Corte internazionale di giustizia (CIG) considera “plausibile” il rischio di genocidio e ordina a Israele misure immediate: prevenire atti vietati dalla Convenzione sul genocidio, punire l’incitamento all’odio, consentire gli aiuti umanitari. Ordinanze ribadite più volte nel 2024. E sul terreno, le agenzie delle Nazioni Unite documentano un tributo umano enorme nel 2024-2025: migliaia di civili uccisi, infrastrutture distrutte, blocchi agli aiuti, mentre nel Cisgiordania occupato si rafforza un’annessione di fatto tra violenze dei coloni e pressioni economiche sulla Autorità nazionale palestinese. La Relatrice speciale ONU Francesca Albanese parla apertamente di “serio rischio di pulizia etnica di massa”.

Quando D’Alema usa espressioni come “pulizia etnica” o “Grande Israele”, tocca il cuore del dibattito. La destra ultranazionalista israeliana – da Itamar Ben-Gvir a Bezalel Smotrich – ha sostenuto in più occasioni la “emigrazione volontaria” dei palestinesi e il ritorno degli insediamenti nella Striscia. Ricostruzioni giornalistiche attribuiscono allo stesso Benjamin Netanyahu aperture concettuali all’idea di “incoraggiare la migrazione”, pur senza formalizzarla. Nel 2022 Amnesty International ha definito il sistema di controllo sui palestinesi un “apartheid”: accusa respinta da Israele, ma ormai centrale nel dibattito internazionale.

Sul fronte europeo, la questione del boicottaggio è anche questione di diritto. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nel caso Baldassi e altri c. Francia (2020), ha dichiarato che condannare penalmente chi invita al boicottaggio viola la libertà di espressione. E dal 2019 la Corte di giustizia dell’UE (CGUE) obbliga a etichettare i prodotti degli insediamenti come tali: non “Made in Israel”, perché gli insediamenti sono illegali. Qui nasce la richiesta delle principali ONG – da Amnesty a Human Rights Watch – di sospendere almeno in parte l’Accordo UE-Israele.

Ma il discorso di D’Alema si allarga al sistema mediatico italiano: “L’informazione italiana è censurata, autocensurata, evita di raccontare le cose più terribili”. Aggiunge che leggere in tv un editoriale del Guardian o di Le Monde basterebbe per essere tacciati di antisemitismo. Per questo, sostiene, “bisogna dire all’opinione pubblica quello che accade”, senza attendere governi che non mostrano volontà di agire.

d'alema

Il giudizio sull’Europa è altrettanto severo: “Prima l’Unione Europea c’era, oggi non c’è più”. Richiama i tempi in cui Bruxelles consentì all’Italia di giocare un ruolo autonomo nei processi di pace. Oggi, dice, i governi europei sono “un’immagine penosa”. E cita il caso della Germania, che durante una tregua ha ripreso la fornitura di armi a Israele: “È difficile commentare cose di questo tipo”.

In Italia, intanto, il governo Meloni ha criticato alcune operazioni israeliane ma ha lasciato intatti gli accordi politici e militari. Per D’Alema, il paese ha smarrito la propria tradizione diplomatica: “Andreotti e Craxi oggi ci appaiono giganti. Non avrei mai pensato di passare la gioventù a combatterli e la vecchiaia a rimpiangerli”.

Pur mantenendo una distanza dal PD, riconosce a Elly Schlein e alla direzione dem il merito di aver “preso in mano la bandiera palestinese”. E avverte che Gaza è ormai un tema decisivo per le nuove generazioni, come dimostrerebbe il voto americano: “Trump non ha vinto perché ha conquistato voti: ha vinto perché i democratici ne hanno persi 9 milioni, soprattutto tra i giovani, in reazione al sostegno a Netanyahu”.

Il boicottaggio, allora, non è solo il gesto della signora al supermercato: diventa una pedagogia civile. “Mi sono complimentato con lei. Si fa così”, dice D’Alema. Ma insiste: non basta. Senza pressione politica, senza un’azione istituzionale europea, senza una forza internazionale di interposizione, “lo spazio per una soluzione tra le parti non c’è più”.

E avverte il centrosinistra: Gaza sarà una linea di frattura. “Forse è opportuno che il Pd faccia una discussione interna. Alcune sbavature sono dolorose e non servono neanche all’immagine del partito”.

Quel gesto da supermercato, alla fine, diventa la metafora di tutto: la politica estera non è un affare tecnico per addetti ai lavori, ma una responsabilità dei cittadini. E, come dice D’Alema, la scelta è semplice: continuare a guardare, oppure smettere di essere spettatori.

Ci voleva D'Alema, proprio lui...

Alla fine tocca a uno che non mi è stato mai granché simpatico, uno che per anni è stato l’incarnazione della sinistra professorale, del Partito Democratico ante litteram, del riformismo che sapeva sempre tutto e ascoltava poco. Alla fine tocca proprio a Massimo D’Alema, con tutto il bagaglio di antipatie storiche che si porta dietro, dire pubblicamente ciò che molti — moltissimi — pensano da mesi, ma che nessuno nello spazio politico italiano ha avuto il coraggio di pronunciare con tanta chiarezza.

È quasi paradossale: nel deserto morale della nostra discussione pubblica, dove governo, opposizioni, talk show e mezzi d’informazione girano da settimane intorno a Gaza come si gira intorno a un oggetto esplosivo, è un uomo che non ha mai incarnato il ruolo del tribuno popolare a rompere il silenzio. Non un giovane militante, non un intellettuale di rottura, non una nuova voce da social network.
No: un ex presidente del Consiglio, con la barba bianca e una dialettica chirurgica, che prende il microfono al convegno del PD e dice, senza giri di parole: “È chiaro che bisogna boicottare Israele... Hanno ragione quei ragazzi... Sono l’ultimo baluardo della civiltà europea”.

E il punto, se si vuole guardarlo senza ipocrisie, è che lo dice proprio lui: uno che non gode di simpatie di massa, che non costruisce consenso emotivo, che non deve compiacere nessuno.
E forse per questo le sue parole pesano il doppio.

Perché in un paese dove la prudenza è diventata complicità, dove l’informazione “evita di raccontare le cose più terribili”, dove la politica preferisce parlare di equilibri diplomatici invece che di bambini senza acqua, ci voleva qualcuno che non avesse più nulla da perdere per dire che la famosa “soluzione a due Stati” è diventata una formula liturgica buona per i comunicati stampa, mentre sul terreno si costruisce qualcos’altro. Ci voleva uno che potesse permettersi di usare parole come “pulizia etnica”, “bantustan”, “grande Israele”, senza tremare al pensiero del titolo del giorno dopo.

Che sia simpatico o no è del tutto irrilevante. Quello che conta è che, mentre gran parte del ceto politico vive nel terrore di ogni sfumatura, D’Alema si permette di nominare l’enorme elefante seduto nel centro della stanza: la sproporzione di violenza, il progetto politico della destra israeliana, l’impotenza — o la connivenza — dell’Europa, la timidezza colpevole del governo italiano.

E anche questo, ammettiamolo, è un paradosso tutto nostro: bisogna attendere che un uomo spesso detestato anche nel suo stesso partito dica all’opinione pubblica ciò che le istituzioni non osano articolare. Non perché lui sia più puro, ma perché non ha più interessi da proteggere.

Forse l’aspetto più rivelatore non è quello che D’Alema dice. È il silenzio che lo circonda.
Quel vuoto imbarazzato di chi, nei palazzi romani, sa benissimo che alcune sue accuse — la complicità europea, l’informazione censurata, le ambiguità del governo — non sono invenzioni di un nostalgico iracondo, ma dati di realtà che tutti conoscono e pochi hanno il coraggio di guardare.

E allora sì: alla fine tocca proprio a lui.
A uno che molti di noi non hanno mai amato, a uno che abbiamo criticato per decenni, a uno che non suscita empatie.
A uno che oggi, suo malgrado, diventa la voce che rompe l’incantesimo del silenzio.

E il fatto che sia proprio Massimo D’Alema a dirlo non è solo un dettaglio.
È il segno di quanto, in questo paese, la verità sia diventata un oggetto così pesante che solo chi non deve più compiacere nessuno riesce a sollevarla.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori