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07 Dicembre 2025 - 08:00
Vita notturna all’esterno del Bicerin, davanti alla chiesa della Consolata a Torino (foto Roberta Ronchetti).
«Quando io e mia sorella Maritè siamo andati a vedere quel posto in vendita siamo rimasti sconvolti: era un posto di derelitti!».
Queste sono le parole con cui Giuseppe Costa, detto Beppe, fratello di Maritè Costa, che è stata per più di trent’anni la proprietaria del locale Al Bicerin di Torino, ha iniziato la sua lunga chiacchierata in cui ha parlato della sorella, della loro infanzia e giovinezza a Caluso, del loro trasferimento a Torino e dell’idea di aprire insieme un locale, ma anche della storia della loro famiglia.

Maritè Costa.
In questa saga familiare il Canavese ha rivestito un posto di primo piano, non solo con Caluso, luogo di nascita di Maritè e Beppe, ma anche con Villareggia, località di origine di mamma Romana Gerardi. Romana abitava con i suoi genitori Giuseppe Gerardi e Teresa Santhià alla cascina La Maddalena, che era situata nella bassa campagna villareggese ed era di proprietà del demanio.
Si trattava di una stazione di controllo del livello delle acque del Naviglio, canale di irrigazione per le campagne che scorre parallelo alla Dora; le persone che ci vivevano non erano contadini, erano i controllori delle paratoie, salariati, era gente «che stava bene» e che non doveva lavorare la terra. I Gerardi avevano questa occupazione e Romana era nata lì nel 1926 e lì era vissuta.
Prima della guerra del 1940 successe il fatto che cambiò la vita della ragazza: arrivò alla Maddalena un drappello di carabinieri a cavallo per chiedere informazioni.
Sulla giovane questi prestanti carabinieri in divisa, che montavano possenti destrieri, devono aver fatto un effetto dirompente. In particolare Romana aveva notato uno di questi militari che portava al collo un braccio ingessato ed era proprio per lui che il drappello stava recandosi alla cascina Magnole, dove abitava una zia del carabiniere infortunato e dove intendevano lasciarlo alcuni mesi in convalescenza.
Tra il giovane carabiniere, Luigi Costa, originario di Sant’Orso, in provincia di Vicenza, e Romana, in quei mesi nacque l’amore. Scoppiata la guerra, Luigi fu coinvolto nelle vicende belliche e trascorse più di un anno in un campo di prigionia.
La lontananza non attenuò il loro sentimento e, a guerra finita, il 20 ottobre 1946 Luigi Costa, ventinovenne, si unì in matrimonio a Caluso con Romana Gerardi di anni venti.
Qui acquisteranno una casa: Luigi era di stanza nella locale caserma, Romana aveva trovato lavoro all’Afast, la fabbrica di calzature ubicata vicino alla stazione ferroviaria.
A Caluso nacquero Maria Teresa nel 1948 e nel 1956 Giuseppe.

Anno 1918. Gianni e Olga, figli della signora Cavalli, seduti davanti al Bicerin.
Beppe Costa racconta: «Il nome Maritè è nato da un suo fidanzatino di Torino; in casa la chiamavamo Mari, gli altri Maria Teresa e questo ragazzo ha detto “Mari è troppo corto, Maria Teresa è troppo lungo, ti chiamerò Maritè”; a lei è piaciuto e ha cominciato a farsi chiamare Maritè da tutti».
Il fratello racconta ancora: «Noi siamo sempre stati molto attaccati al Canavese. A Caluso Maritè ed io abbiamo frequentato l’asilo delle suore, situato sulla piazza della chiesa parrocchiale. Le scuole elementari erano divise in maschili e femminili. Ogni tanto da noi mancava un insegnante e ci mandavano nella scuola delle bambine.
Dopo le elementari io ho frequentato le scuole medie, Maritè l’avviamento e poi le scuole tecniche di stenografia e dattilografia. A noi piaceva molto, la domenica pomeriggio, andare in uno dei due cinema di Caluso, l’Oratorio ed il Sociale, a guardare un film, anche se non era mai molto recente!».
Curioso un episodio della sua infanzia raccontato da Beppe Costa: «Io da bambino avevo già l’animo dell’artista. Il mio esordio è stato a 4 anni alla festa dei bimbi di Caluso al parco Spurgazzi. In braccio a Nunzio Filogamo, celebre presentatore di quel periodo, ho cantato la canzone di Celentano 24 mila baci; mia sorella si è vergognata da morire!».
A Caluso la giovane Maritè aveva diverse amiche, ma quella a cui è stata più legata era Franca Gnavi, con cui ha condiviso la giovinezza e il resto della vita; Franca era stata la sua compagna di trasferta a Torino, nei pomeriggi domenicali, quando si recavano a ballare nelle sale da ballo che a quei tempi andavano per la maggiore: il Piper e il Mack 1 dove si esibivano dal vivo anche artisti di prestigio.
Poi Maritè si sposò con un ragazzo di Saluzzo, Osvaldo Fraire, presero residenza a Torino, il matrimonio fu allietato dalla nascita di una figlia ma, come succede a molte coppie, il loro sentimento si affievolì e nel 1983 ci fu il divorzio.
A quel punto entra in scena Al Bicerin di Torino.
«Maritè voleva acquistare un locale, ristorante o bar, per farne la propria attività. Un giorno mi ha telefonato per dirmi che era in vendita una piccola caffetteria davanti alla chiesa della Consolata. Io la conoscevo perché vi ero andato, anni prima, con i miei amici di Assemblea Teatro, che l’avevano definito il posto più nascosto e dimenticato di Torino. A me piacque da morire, perché io, che già mi interessavo di musica popolare, lo trovai un locale vecchio, trasandato ma con un’atmosfera particolare.
Ricordo ancora alcuni di quei vecchi locali dove talvolta andavo a suonare la ghironda come la trattoria Valenza e I Tre Scalini.
Quando io e mia sorella Maritè siamo andati a vedere quel posto in vendita siamo rimasti sconvolti: era un posto di derelitti! Essere davanti alla Consolata era ormai solo più tradizione e vecchi ricordi. In quel periodo i clienti erano quattro vecchiette e poca altra gente. Il locale era in uno stato di desolazione totale: il linoleum consumato, le sedie traballanti, le tazze sbreccate. Nonostante questo Al Bicerin aveva otto tavolini in marmo bianco e il rivestimento in legno scuro che potevano far ricordare l’antica dignità. Io e mia sorella decidemmo di acquistarlo. Avremmo dovuto gestirlo in due, poi un anno dopo mi proposero una buona opportunità di lavoro come attore e musicista ad Amsterdam, in Olanda, dove vivo e lavoro ancor oggi e lasciai la gestione del Bicerin a Maritè».
La chiave di volta che ha riportato Al Bicerin ai fasti antichi è stata madama Cavalli, la proprietaria del locale con la sua famiglia dal 1910 fino al 1975, che si è presentata ai fratelli portando una grande quantità di informazioni e fotografie e offrendo la propria collaborazione per ridare prestigio a quello che era stato uno dei più rinomati locali cittadini della Torino Sabauda, dove sostarono il conte Camillo Benso di Cavour, Giacomo Puccini, Alexandre Dumas, Edmondo De Amicis, Silvio Pellico e, in seguito, Guido Gozzano, Italo Calvino, Macario, Wanda Osiris, il re Umberto II e la regina Maria Josè che, si racconta, si fermarono al Bicerin prima di partire per l’esilio in Portogallo, dopo il referendum del 1946. Madama Cavalli ha anche confidato alla nuova proprietaria il segreto per preparare la bevanda omonima, il bicerin, amalgama sapientemente miscelata di cioccolata, caffè e panna.
Nella zona del quadrilatero romano, dove si trovano il santuario e la piazzetta della Consolata, dopo Maritè Costa, che è stata la pioniera in quel settore, altri gestori aprirono diversi locali, rivalorizzando e restituendo l’antica dignità a quel quartiere, rimasto per diverso tempo zona degradata e mal frequentata.
Nella vita di Maritè e nella gestione del locale è d’obbligo ricordare due persone che hanno ricoperto un ruolo fondamentale: la figlia Eleonora e il compagno Alberto Landi. Quando mamma acquistò la caffetteria, Eleonora era bambina e crebbe Al Bicerin tra cioccolata, caramelle e zabaglioni; fortunatamente non era golosa e sopravvisse a tutte quelle squisitezze o proprio perché circondata da tante golosità, queste per lei persero il senso della trasgressione! Aiutò per anni la mamma nella sua attività, poi scelse un’altra strada e un’altra carriera lavorativa. Alberto Landi era amico di Beppe Costa e, quando questi partì per l’Olanda, cominciò a frequentare assiduamente il locale della sorella del suo amico e, destino volle, che i due si innamorassero. Maritè e Alberto hanno costituito un sodalizio durato trent’anni, profondo e indivisibile e, come dice Beppe: «Lui era tutto quello di cui lei aveva bisogno, sul lavoro e nella vita!».
La fama di quell’antica caffetteria man mano crebbe e la clientela divenne numerosa, tanto che è diventato un vanto poter dire di aver fatto la coda per gustare l’originale bicerin nell’omonimo locale. Molti personaggi famosi sono stati clienti abituali o hanno sostato da Maritè: gli Agnelli, gli scrittori Fruttero e Lucentini, il comico Felice Andreasi, le attrici Valeria Golino e Susan Sarandon. Il calciatore della Juventus Lilian Thuram fu amico di Maritè e spesso le propose di aprire un altro Bicerin a Parigi, garantendole uno strepitoso successo. A parte Thuram, di cui diventò amica, Maritè mantenne sempre la propria signorilità evitando di fare foto ricordo con i clienti famosi e proibendo questa abitudine anche alle sue dipendenti.
Solo in un caso Maritè Costa contravvenne a questa sua linea comportamentale: un ventennio fa entrò Al Bicerin Pina Bausch, celebre ballerina e coreografa tedesca, a Torino per presentare un suo spettacolo. Maritè, appassionata del suo teatro, la riconobbe e le disse che era onorata di conoscerla personalmente. La Bausch rimase sbalordita di essere stata riconosciuta e le offrì due biglietti per assistere al suo spettacolo; Maritè rifiutò dicendo: «No, grazie, ho già i biglietti!».
Quando Al Bicerin ha cominciato a diventare un simbolo per la città di Torino, Maritè Costa ha pensato di allargare l’offerta di prodotti da proporre insieme alla caffetteria.
Ha aperto un negozio a fianco del suo locale, dove si vendevano e si vendono prodotti tipici del Canavese, che lei veniva a comprare direttamente sul nostro territorio: i nocciolini di Chivasso, i torcetti di San Giorgio, i canestrelli di Tonengo, le marmellate casalinghe, la farina fioretto al mulino di Candia, il miele e i vini erbaluce e passito di Caluso.
Lo zabaglione al passito di Caluso è diventato una delle bevande calde più apprezzate dai suoi clienti che, con l’inserimento della caffetteria nei «Locali Storici d’Italia», sono rappresentati anche dai tanti turisti giunti nel capoluogo piemontese da tutto il mondo.
Torino può vantare 13 di questi Locali Storici, tra cui ricordiamo Fiorio, Baratti, Platti, Mulassano, Bonfante, Stratta, il caffè San Carlo e il ristorante San Giors.
Il fratello Beppe confida: «Maritè si sentiva profondamente canavesana, invece i rapporti con alcuni compaesani non sempre li visse in maniera positiva». Nonostante questo, con Caluso, Maritè mantenne un rapporto preferenziale, sia con le sue amiche che con il tessuto sociale: portò più volte le sue specialità di caffetteria durante gli incontri della Credenza Vinicola Calusiese e la Pro Loco di Caluso fu invitata a presentare prodotti tipici in piazza della Consolata.
Un rapporto quello di Maritè Costa con il Canavese profondo, duraturo e proficuo per entrambi, fino a quando un’infezione batterica la colpì e la portò alla morte il 7 agosto 2015.
Maritè Costa, la «Madama del Bicerin», riposa nel cimitero di Villareggia insieme a tutta la sua famiglia di origine.

Torino può considerarsi la capitale della cioccolata in Italia già dal XVII secolo. Già alla corte dei Savoia l’«olio di cioccolata» veniva utilizzato come «medicamento» per la sua azione astringente.
Alcune missive degli ambasciatori di Spagna e Portogallo dei secoli XVII e XVIII testimoniano come i «semi di cacao» fossero doni preziosi che venivano offerti ai principi sabaudi: con essi si preparavano bevande dai sapori nuovi, apprezzati soprattutto dalle dame di Corte.
Fra il XVIII e il XIX secolo, complice l’attività dei cioccolatieri provenienti dal Canton Ticino, si aprirono botteghe nel centro della città e il cioccolato diventò alla portata dei borghesi e del popolo. Molti cioccolatieri, quali ad esempio Caffarel, Talmone, Moriondo e Gariglio, Prochet e Gay, trasformarono l’attività artigianale in industriale, facendo sì che l’industria cioccolatiera torinese diventasse un simbolo ed un fiore all’occhiello dell’economia.
In questo contesto storico si aprirono a Torino numerosi locali che servivano le bevande derivate da questi prodotti arrivati da lontano: la cioccolata, il caffè, il the. Nel lontano 1763 il commerciante Dentis aprì un piccolissimo acquacedratario, dove si vendevano cedrate, limonate e altre bibite, con tavoli e panche in legno, proprio di fronte all’ingresso del santuario della Consolata; per molto tempo questo locale non ebbe nemmeno un nome.
All’inizio dell’Ottocento il palazzo venne ristrutturato e nacque Al Bicerin così come lo conosciamo ancor oggi, con la cornice esterna in ferro, le colonnine e i capitelli in ghisa e, all’interno, le boiserie in legno decorate da specchi e gli otto tavolini in marmo bianco. Il successo del locale fu dovuto all’invenzione di una gustosa evoluzione della bavareisa, una bevanda allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri: era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo.
Il nuovo bicerin prevedeva che gli ingredienti fossero serviti separatamente; inizialmente erano presentate tre varianti: pur e fiur (l’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato) e ‘n poc ‘d tut (un po’ di tutto), con tutti e tre gli ingredienti miscelati.
Fu quest’ultima formula ad avere più successo e a prevalere sulle altre; la bevanda veniva servita in piccoli bicchieri senza manico, i bicerin.
La storia del Bicerin si intreccia saldamente con quella della «Consolà», amatissimo luogo di culto per i Torinesi. La nuova bevanda era il sostegno ideale per coloro che, avendo digiunato per prepararsi alla comunione, cercavano un sostentamento energetico.
Nel discorso religioso rientra una caratteristica del locale: il personale è sempre stato tutto femminile! Questo perché erano le donne a frequentare maggiormente la Consolata e, con la rigida morale dei secoli passati, sarebbe stato sconveniente che signorine e signore entrassero, da sole, in un locale in cui il personale fosse costituito da maschi.
Ancor oggi, chi desidera sedersi ad un tavolino di marmo e bersi la rinomata specialità torinese, sarà servito da una gentile cameriera.
E seduti su un divanetto non sarà difficile immaginare una scena ottocentesca: la madama e la sartina, il nobile e il cocchiere, lo scrittore e il ministro, tutti, uno accanto all’altro, a gustare le prelibatezze in quel piccolo ma inimitabile Caffè Al Bicerin.
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