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Italia divisa e impaurita: per il 63% gli immigrati vanno fermati, ma senza di loro molte città continuerebbero a svuotarsi

Per oltre metà degli italiani l’arrivo degli stranieri alimenta degrado e mette a rischio la cultura nazionale, mentre le città cambiano volto tra spopolamento e nuove attrattività

Italia divisa e impaurita

Italia divisa e impaurita: per il 63% gli immigrati vanno fermati, ma senza di loro molte città continuerebbero a svuotarsi

Il tema dell’immigrazione continua a rappresentare una delle linee di divisione più nette all’interno della società italiana. Il 59° Rapporto del Censis, presentato a Roma, rivela un’evidenza che suscita riflessione: il 63% degli italiani ritiene necessario limitare i flussi d’ingresso, una maggioranza che attraversa fasce d’età, livelli di istruzione e aree geografiche. Una percezione che non nasce dal vuoto, ma dall’intreccio tra dinamiche sociali, narrative mediatiche, insicurezza economica e trasformazioni urbane.

Il rapporto mostra come il sentimento diffuso non si limiti alla gestione dei flussi, ma tocchi in profondità il rapporto tra cittadini e presenze straniere nel tessuto quotidiano. Il 59% degli intervistati è convinto che un quartiere peggiori quando aumenta la presenza di immigrati, segnalando un legame diretto tra immigrazione e percezione del degrado urbano. Una convinzione che diventa ancora più radicale quando si parla di identità: il 54% percepisce gli immigrati come un pericolo per la cultura nazionale.

Non si tratta solo di opinioni su sicurezza o convivenza, ma di una visione culturale che tende a leggere la complessità dei fenomeni migratori come minaccia all’immagine tradizionale del Paese. Un’Italia che teme di perdere pezzi di sé mentre affronta, simultaneamente, un declino demografico tra i più gravi d’Europa.

Anche sul fronte dell’integrazione istituzionale emergono resistenze forti. Solo il 37% degli italiani si dichiara favorevole a consentire l’accesso ai concorsi pubblici a chi non possiede la cittadinanza, mentre appena il 38% aprirebbe il voto amministrativo agli stranieri residenti. Una diffidenza che conferma come l’ingresso degli immigrati nelle sfere di partecipazione e nelle funzioni pubbliche resti, per molti, una soglia invalicabile.

Il rapporto Censis non fotografa soltanto percezioni: incrocia questi dati con le trasformazioni demografiche degli ultimi dieci anni. E qui il quadro cambia prospettiva. Mentre una larga parte dell’opinione pubblica vive l’immigrazione come minaccia, molte città italiane hanno registrato un aumento della popolazione proprio grazie alla presenza straniera.

Tra il 2014 e il 2024 i residenti sono cresciuti soprattutto a Parma (+4,9%), Prato (+3,8%), Latina (+3,7%), Mantova (+3,6%) e Brescia (+3,5%). In tutte queste realtà i “driver”, come li definisce il Censis, sono due: le opportunità di lavoro e la presenza già radicata di comunità straniere, elementi che rendono questi territori poli attrattivi.

Accade esattamente l’opposto in molte aree metropolitane storiche: undici di queste, nel decennio osservato, hanno registrato un calo degli abitanti. Si va dal -1,6% di Firenze al -7,1% di Messina. Roma è praticamente stabile, con un +0,2%, mentre Milano e Bologna crescono entrambe del +1,9%. È un’Italia che si muove a velocità diverse e che non sempre coincide con la narrazione pubblica: le città che crescono sono spesso quelle che hanno saputo integrare manodopera straniera nei propri distretti produttivi.

La distanza tra realtà e percezioni emerge così con forza: mentre i dati mostrano un contributo demografico e lavorativo cruciale da parte degli immigrati, una larga fetta della popolazione interpreta la loro presenza come causa di insicurezza o perdita identitaria. È una frattura culturale che non riguarda soltanto l’Italia — fenomeni simili si registrano in tutta Europa — ma che nel nostro Paese assume una dimensione più marcata per la rapidità con cui il quadro demografico si sta modificando.

Il Censis colloca questi sentimenti dentro un contesto più ampio: quello di una società smarrita, segnata da un decennio di stagnazione economica, da forti diseguaglianze territoriali e da un’informazione spesso orientata verso la rappresentazione emergenziale dei fenomeni. In un clima di incertezza diffusa, l’immigrazione diventa bersaglio simbolico, catalizzatore di ansie che superano i numeri reali del fenomeno.

Eppure, nel Paese in cui nascite e forza lavoro diminuiscono anno dopo anno, la presenza di residenti stranieri rappresenta — piaccia o no — uno degli elementi che impedisce un declino ancora più rapido. A Prato come a Parma, a Brescia come a Latina, il contributo dei lavoratori stranieri nei settori manifatturieri, agricoli, logistici, assistenziali è ormai una colonna portante del sistema economico locale.

Il rapporto non offre soluzioni immediate, ma mette sul tavolo una tensione cruciale per il futuro dell’Italia: una popolazione che teme l’arrivo degli immigrati e, allo stesso tempo, territori che senza di loro non crescono. Una contraddizione che la politica dovrà affrontare tenendo insieme numeri, paure, identità e prospettive di sviluppo.

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