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Stati Uniti, stop alle cittadinanze: 19 Paesi messi in lista nera

Un memorandum della USCIS blocca naturalizzazioni, green card e asilo dopo la sparatoria di Washington: migliaia di famiglie nell’incertezza totale. La sicurezza diventa arma politica

Stati Uniti, stop alle cittadinanze: 19 Paesi messi in lista nera

Stati Uniti, stop alle cittadinanze: 19 Paesi messi in lista nera

Un martedì pomeriggio, in un ufficio periferico della USCIS (United States Citizenship and Immigration Services) di Houston, gli altoparlanti annunciano che gli esami per la cittadinanza sono sospesi “fino a nuovo ordine”. Nella sala d’attesa, dove si mescolano cartelline di plastica e giacche leggere, una donna stringe il libretto con le risposte del test civico mentre un uomo controlla per l’ennesima volta i documenti preparati per la sua prima oath ceremony, la cerimonia del giuramento. Entrambi, nel giro di pochi minuti, ricevono un’e-mail identica: appuntamento annullato. Non è un guasto informatico e nemmeno un ritardo ordinario. Tutto rimanda a un memorandum datato 2 dicembre 2025 che blocca le valutazioni finali di ogni pratica di green card e naturalizzazione per cittadini di 19 Paesi. È una misura deliberata, studiata e applicata con immediatezza. Una nuova brusca curva della politica migratoria dell’amministrazione Trump, arrivata pochi giorni dopo la sparatoria del 26 novembre a Washington DC, dove un cittadino afgano ha ucciso una soldatessa della Guardia Nazionale e ferito un suo commilitone.

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Il memorandum è chiaro nella forma e nella sostanza: le “final adjudications”, cioè le decisioni definitive sulle pratiche, vengono sospese per le richieste presentate da persone nate o con cittadinanza di Afghanistan, Birmania/Myanmar, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Yemen, e – già colpiti da restrizioni parziali da giugno – Burundi, Cuba, Laos, Sierra Leone, Togo, Turkmenistan, Venezuela. La sospensione riguarda tutte le categorie: dalla naturalizzazione all’adjustment of status (la procedura per ottenere la green card), fino ai benefici d’immigrazione gestiti dall’agenzia. Colpisce anche i fascicoli già presentati, quelli che molti richiedenti pensavano ormai avviati verso la conclusione. E introduce la possibilità di una revisione supplementare e di nuovi colloqui di sicurezza. Parallelamente, la USCIS comunica la sospensione temporanea di tutte le decisioni sulle domande di asilo, senza indicare quando il processo riprenderà. Secondo l’agenzia, serve “rafforzare i controlli di sicurezza”.

La misura del 2 dicembre non spunta dal nulla. A giugno 2025 una proclamazione presidenziale, emanata ai sensi della sezione 212(f) dell’Immigration and Nationality Act, lo strumento che consente alla Casa Bianca di limitare l’ingresso di intere categorie di stranieri per ragioni di sicurezza nazionale, aveva già imposto un divieto totale d’ingresso ai cittadini di 12 Paesi e restrizioni ad altri 7. Il nuovo memorandum non riguarda però i confini, ma l’interno. Porta la stessa logica del “travel ban” dentro l’arena amministrativa: anche chi vive legalmente negli Stati Uniti vede ora congelato l’iter per ottenere un beneficio di status. E l’attacco del 26 novembre diventa immediatamente la miccia politica. Il sospettato, Rahmanullah Lakanwal, afgano, secondo diverse ricostruzioni avrebbe avuto un passato in reparti addestrati dagli Stati Uniti. La sua vicenda personale, amplificata da talk show e dichiarazioni ufficiali, diventa la lente attraverso cui l’amministrazione spinge per verifiche più stringenti su asilo e naturalizzazione.

Il blocco coinvolge le comunità di diaspora radicate in molte città americane: i somali di Minneapolis, i cubani, venezuelani e haitiani di Houston e Miami, gli afghani della Northern Virginia. Nel solo anno fiscale 2024 la USCISha celebrato 818.500 naturalizzazioni, un flusso che per i nati nei 19 Paesi rischia ora di subire rallentamenti significativi. Per capire la portata della decisione basta osservare i numeri: nel 2025 gli immigrati sono circa 51,9 milioni, il 15,4% della popolazione; gli irregolari si stimavano intorno a 14 milioni nel 2023. Ma questa sospensione non riguarda gli irregolari: colpisce soprattutto immigrati regolari in attesa di un beneficio amministrativo, dai futuri cittadini agli sposi ricongiunti, ai lavoratori con un’offerta di impiego già in mano.

Sulle pratiche già in coda, la USCIS dispone una “re-review” di sicurezza. Ciò può significare nuove interviste, nuovi dati biometrici, controlli estesi sui social network e verifiche aggiuntive sugli eventuali precedenti all’estero. Appuntamenti per interviste, cerimonie di cittadinanza e colloqui possono essere annullati senza preavviso. Avvocati e associazioni come l’American Immigration Lawyers Association segnalano cancellazioni diffuse in diversi Stati. Non si tratta, almeno per ora, di rigetti automatici. Le pratiche restano pendenti, ma vengono lasciate in una sorta di limbo amministrativo. Sull’asilo, invece, la sospensione è totale e non limitata ai 19 Paesi.

La Casa Bianca e il Dipartimento della Sicurezza Interna parlano apertamente di una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Secondo la versione ufficiale, molti Paesi elencati non riuscirebbero a garantire una collaborazione adeguata sulla verifica dell’identità dei propri cittadini. I critici, però, denunciano un provvedimento basato sulla nazionalità e potenzialmente sulla religione, con effetti sproporzionati su comunità musulmane e africane. Gruppi per i diritti civili, amministratori locali e parlamentari preannunciano ricorsi che evocano i conflitti legali dei travel ban post-2017 e delle misure introdotte dopo l’11 settembre.

Sul piano giuridico la questione è complessa. Per limitare gli ingressi dall’estero l’amministrazione invoca la sezione 212(f) dell’INA, un potere ampio già usato da presidenti di entrambi i partiti. Il memorandum della USCIS riguarda però l’adjudication interna, cioè la fase amministrativa che porta a una decisione sul territorio americano. In assenza di una norma che autorizzi la sospensione per intere categorie nazionali, l’agenzia fa leva sulla discrezionalità interna e sulla prioritizzazione dei controlli di sicurezza. È su questo terreno che si muoveranno i ricorsi: un blocco generalizzato, sostengono diversi esperti, potrebbe violare principi di eguaglianza e non discriminazione e superare la delega amministrativa concessa alla USCIS. Al momento i tribunali non si sono ancora pronunciati, ma le prime cause sono previste a breve.

Il sistema migratorio americano non arriva a questo blocco in condizioni ottimali. Negli ultimi anni la USCIS aveva ridotto gli arretrati: tra il 2022 e il 2023 i tempi medi di naturalizzazione erano scesi fino a 6,1 mesi. Ora tutto rischia di rallentare di nuovo per le categorie colpite. E il congelamento arriva in un contesto già sotto pressione: la platea degli immigrati ha toccato i 53 milioni a inizio 2025, gli asili pendenti nelle competenze USCIS sono nell’ordine dei milioni, mentre le corti d’immigrazione hanno superato i due milioni di casi aperti. Una sospensione orizzontale, anche se per nazionalità, rischia di spostare l’imbuto più avanti, senza risolverlo.

La discussione sulla sicurezza si muove spesso tra percezione politica e dati concreti. Secondo molte ricerche, i tassi di criminalità degli immigrati sono inferiori a quelli dei nativi. Ma l’attacco del 26 novembre, nel cuore della capitale, ha avuto un impatto emotivo enorme. Un episodio isolato diventa così il vettore di un approccio muscolare: controlli più duri oggi per evitare rischi domani. La domanda di fondo resta aperta: quanto è lecito sospendere l’intero percorso amministrativo di cittadini di 19 Paesi, indipendentemente dai profili individuali?

Intanto la vita delle persone coinvolte si ferma. Chi aveva in corso una domanda si trova in una pausa incerta. Per i ricongiungimenti familiari o le green card basate sul lavoro, la USCIS può proseguire alcune attività preliminari, come la raccolta biometrica, ma la firma finale resta sospesa. Per le naturalizzazioni, le cerimonie del giuramento possono essere cancellate all’ultimo. Per l’asilo, la sospensione delle decisioni è totale. È una politica amministrativa che si inserisce in un mosaico più ampio: nel 2025 sono stati limitati o cancellati diversi programmi di protezione come i TPS(Temporary Protected Status) per Afghanistan, Haiti, Venezuela, Siria, mentre sono stati reintrodotti strumenti come i Migrant Protection Protocols. La USCIS ha rivisto anche gli standard di “buona condotta morale” richiesti per la cittadinanza e ha intensificato i controlli di sicurezza.

Restano aperte tre domande: quanto durerà la sospensione, quali eccezioni verranno previste e se la lista dei Paesi potrà estendersi ulteriormente. Il memorandum parla di una pausa a tempo indeterminato, con revisioni periodiche. Nessuna indicazione sulle eccezioni. E nessuna certezza che l’elenco resterà invariato. L’efficacia della misura sarà valutata con dati e decisioni giudiziarie nelle prossime settimane. Nel frattempo, migliaia di famiglie e lavoratori rimangono intrappolati in un limbo. Ed è proprio questa indeterminatezza, più ancora della severità della misura, a trasformare il memorandum del 2 dicembre in un passaggio destinato a lasciare un’impronta profonda: un provvedimento capace di ridefinire non solo la politica migratoria degli Stati Uniti, ma anche la fiducia di chi, da anni, sta cercando di diventare parte di quel Paese.


Fonti utilizzate:
USCIS, Department of Homeland Security, Immigration and Nationality Act, American Immigration Lawyers Association, proclamazione presidenziale giugno 2025, memorandum USCIS 2 dicembre 2025.

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