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Trump spara a zero: “Somalia marcia”. Parte la guerra totale ai migranti

Il presidente rilancia un super-ban contro mezzo mondo, agita frodi mai provate e prende di mira l’intera diaspora somala. Tra numeri distorti, indagini incomplete e un Minnesota trasformato in bersaglio politico, la realtà è molto più complessa della propaganda

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Le telecamere indugiano per qualche secondo sul volto di Donald Trump, poi sui fogli che stringe, come a voler dare più peso a ciò che sta per dire. Si sporge verso i cronisti, rallenta la voce, scandisce ogni parola: “Non li vogliamo qui.”Il riferimento è diretto e martellante: i migranti dalla Somalia. È il 2 dicembre 2025 quando il presidente rilancia la sua nuova crociata contro il Paese del Corno d’Africa, definendolo un “paese marcio”, accusando i somali di “non contribuire” e riesumando cifre mai confermate su presunte maxi-frodi in Minnesota. A fianco a lui, la segretaria alla Sicurezza interna Kristi Noem alza ulteriormente il tiro parlando di “ogni dannato Paese che ci manda killer e parassiti”, invocando un nuovo “ban” esteso praticamente a metà del pianeta. È un passaggio che fonde comunicazione politica, tensioni giudiziarie e diplomazia internazionale, e che apre un fronte destinato a occupare per settimane la scena americana.

somalia

Nel giro di poche ore le redazioni statunitensi rilanciano integralmente il video del Gabinetto: FOX9 e Mediaite pubblicano i passaggi più duri, AP e The Guardian inseriscono le dichiarazioni nel contesto delle operazioni programmate da ICE (Immigration and Customs Enforcement) nell’area delle Twin Cities. Il linguaggio del presidente non lascia adito a fraintendimenti: i somali “non li voglio nel nostro Paese”, la Somalia è un luogo “marcio”, “che puzza”, e i migranti vengono definiti “garbage”. C’è anche un attacco diretto alla deputata somalo-americana Ilhan Omar, eletta in Minnesota, da tempo bersaglio preferito del presidente. Le parole trovano terreno già preparato: a giugno 2025, Trump ha firmato una proclamazione che ha ristretto totalmente l’ingresso da 12 Paesi, tra cui la Somalia, e parzialmente da altri 7, ricreando un travel ban più severo di quello introdotto nel 2017.

Mentre la Casa Bianca difende la necessità di una “stretta globale”, le autorità locali del Minnesota segnalano criticità operative. Fonti interne raccolte da Associated Press confermano che sono in preparazione operazioni di arresto contro persone con ordini di espulsione definitivi. La città di Minneapolis, guidata dal sindaco Jacob Frey, annuncia però che la polizia non affiancherà i blitz federali, sottolineando i rischi di profiling etnico e tensioni con una comunità che in Minnesota conta almeno 60–65 mila persone secondo compilazioni basate sull’American Community Survey.

Il pilastro della narrazione presidenziale ruota attorno allo scandalo delle presunte frodi “miliardarie” che coinvolgerebbero cittadini somalo-americani. La cifra, però, non trova riscontro nelle fonti giudiziarie ufficiali. Il caso più rilevante, noto come Feeding Our Future, ruota attorno a circa 250 milioni di dollari sottratti ai fondi federali per la nutrizione infantile durante la pandemia. A marzo 2025 una giuria federale ha riconosciuto colpevoli vari imputati; a gennaio 2025 uno dei principali coimputati è stato condannato a 17 anni; decine di persone sono state incriminate con differenti capi d’accusa. Altri procedimenti sono rilevanti ma più contenuti: una frode Medicaid da 7,2 milioni di dollari, audit del Minnesota Department of Human Services che hanno individuato sovrapagamenti per circa 40 milioni nel lungo periodo 2006–2023, e un rafforzamento dei reparti di “program integrity” per evitare nuove truffe. Nessuna autorità ha mai certificato la cifra “oltre il miliardo”, né tantomeno un legame sistemico tra la diaspora somala e presunti flussi verso al-Shabaab. Il Dipartimento del Tesoro ha aperto un’indagine esplorativa su ipotesi di riciclaggio, ma non ha pubblicato riscontri; il dato resta provvisorio e privo di conferme giudiziarie.

Intanto, il presidente amplia l’orizzonte: promette di “sospendere permanentemente l’immigrazione da tutti i Paesi del Terzo Mondo” e di rivedere completamente il sistema di green card per i “Paesi di preoccupazione”. Il concetto di “Terzo Mondo”, che in diritto internazionale non ha definizione operativa, si trasforma così in categoria politica utile per una stretta su scala globale. Una manovra simile incontrerebbe però notevoli ostacoli giuridici: la Corte Suprema aveva permesso nel 2018 la versione modificata del “Muslim Ban”, ma un blocco totale per decine di Paesi solleverebbe ricorsi immediati basati sul principio di non discriminazione e sugli obblighi internazionali degli Stati Uniti in materia di asilo. Gli avvocati che seguono i ricorsi sul travel ban del 2025 si preparano già a contestare nuove restrizioni, mentre diversi Paesi minacciano ritorsioni diplomatiche.

Nel mezzo dello scontro politico c’è la comunità somala del Minnesota: circa l’1% della popolazione dello Stato, una presenza radicata dagli anni Ottanta, con imprenditori, forze dell’ordine, insegnanti, autisti, studenti, professionisti del settore sanitario. Una comunità che per anni ha collaborato con le autorità e che denuncia a sua volta le frodi che la riguardano solo marginalmente. La narrazione del presidente, che attribuisce ai somali un ruolo centrale in episodi criminali circoscritti, entra in collisione con i dati e con l’allarme delle istituzioni locali: il governatore Tim Walz invita a non “criminalizzare un’intera comunità” e il sindaco Frey ribadisce che colpire un gruppo etnico nel suo complesso equivale a tradire i principi costituzionali. Anche media come Axios documentano la sproporzione tra i numeri reali e la loro manipolazione politica, sottolineando come l’episodio scatenante – una sparatoria a Washington, D.C. che coinvolgeva un cittadino afgano, non somalo – sia stato usato per giustificare l’attacco alla Somalia.

Definire la Somalia un “paese marcio” significa anche ignorare il contesto internazionale. Le agenzie delle Nazioni Unite – FAO, UNICEF, WFP – descrivono una crisi umanitaria di lungo periodo: 4,4 milioni di persone a rischio fame, quasi due milioni di bambini con malnutrizione acuta, alternanza di siccità e inondazioni che hanno devastato le coltivazioni e i mezzi di sussistenza. Sul fronte della sicurezza, i dati dell’EUAA (European Union Agency for Asylum) riportano quasi 6.000 episodi violenti e 15.000 vittime tra aprile 2023 e marzo 2025, legati alle operazioni contro al-Shabaab. Sono numeri che spiegano perché migliaia di somali abbiano chiesto protezione all’estero con il TPS (Temporary Protected Status) concesso dagli Stati Uniti fino al marzo 2026. Parliamo di una popolazione relativamente piccola, spesso composta da famiglie già integrate; smentire l’idea che si tratti di flussi incontrollati è fondamentale per comprendere la portata reale del fenomeno migratorio.

Sul piano amministrativo, il Minnesota continua a correggere le falle che hanno favorito le frodi: revisori esterni come Optum hanno analizzato 14 categorie di servizi ritenuti a rischio, mentre il comparto di Program Integrity ha introdotto verifiche a sorpresa, blocchi dei pagamenti, controlli rafforzati e un flusso costante di segnalazioni all’unità di controllo sulle frodi Medicaid della Attorney General’s Office. Si tratta di attività tecniche e lontane dalla retorica incendiaria, ma cruciali per capire quali interventi reali lo Stato stia mettendo in atto per arginare truffe e sprechi.

Rimane il nodo politico: la frase “non li vogliamo qui” crea un titolo che rimbalza sui social e nelle conferenze stampa, ma la politica pubblica non si misura sugli slogan. Si misura sulle sentenze, sugli audit, sulle cifre verificate, sui trattati internazionali e sui limiti costituzionali. La Somalia non è un monolite, ma un Paese attraversato da guerre, crisi climatiche e processi di ricostruzione; la diaspora somala non è un blocco compatto, ma un insieme eterogeneo che comprende cittadini americani, lavoratori, studenti, anziani, famiglie che inviano rimesse e contribuiscono all’economia locale. Liquidarli come minaccia collettiva risulta politicamente utile, ma fattualmente scorretto.

Alla fine resta una domanda cruciale: cosa cambia davvero? La stretta sui visti introdotta a giugno è già in vigore per 19 Paesi, ma una “pausa permanente” per tutto ciò che viene definito “Terzo Mondo” rappresenterebbe un salto senza precedenti, con conseguenze diplomatiche e giudiziarie ancora difficili da prevedere. Sul fronte giudiziario, le cause su Feeding Our Future, le condanne già emesse, le indagini dell’FBI, dell’IRS (Internal Revenue Service) e dell’HHS-OIG (Office of Inspector General del Dipartimento della Salute) continueranno a fornire elementi concreti. Sul fronte politico, i prossimi decreti del DHS (Department of Homeland Security) definiranno fino a che punto l’amministrazione vorrà spingersi. E sul fronte internazionale, la reazione dei Paesi colpiti dirà molto sulla sostenibilità di una dottrina che tratta in blocco Africa, Asia e America Latina come un’unica area da isolare.

In un panorama globale già teso, la nuova crociata contro la Somalia appare come il detonatore retorico di una stagione che vive più di slogan che di analisi. Per capire cosa accadrà davvero, servirà guardare ai fatti: alle sentenze, ai dati verificati, agli atti amministrativi, alle decisioni delle corti federali. È lì, e non nei proclami di giornata, che si misurerà l’effettiva portata della promessa di Trump di chiudere le porte a “tutti i Paesi del Terzo Mondo”.


Fonti utilizzate: Associated Press, The Guardian, FOX9, Mediaite, Axios, EUAA (European Union Agency for Asylum), FAO, UNICEF, WFP, Dipartimento del Tesoro USA, Department of Homeland Security, Minnesota Department of Human Services, Court Records Federal District of Minnesota, FBI, IRS, HHS-OIG.

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