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04 Dicembre 2025 - 20:42
Foto di repertorio
L’operazione più ambiziosa del sistema penitenziario italiano non riguarda nuove celle o nuovi agenti, ma visori, simulazioni immersive e formazione tecnica modellata sulla realtà virtuale. È l’ossatura del progetto pilota “Folsom Freedom”, sviluppato con il contributo del Gruppo FS Italiane e avviato negli istituti di Taranto, Civitavecchia e Genova Marassi, dove i detenuti stanno sperimentando percorsi digitali che dovrebbero prepararli a un ritorno in società meno fragile e meno esposto al rischio di tornare a delinquere.
A dirlo è il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che non usa giri di parole: «La recidiva arriva al 40% entro un anno tra chi esce dal carcere e viene gettato sulla strada senza lavoro, senza retribuzione e con lo stigma». Per il ministro, la tecnologia non è un accessorio, ma un argine: «Chi invece trova un lavoro, ha un’occupazione e una casa vede la recidiva abbassarsi proprio a picco». Il nodo, insiste, è fornire ai detenuti strumenti concreti: «Una volta fuori devono avere la carta di credito, il conto corrente e un’abitazione decorosa». Per Nordio, «la rieducazione del detenuto è scolpita nella Costituzione e anche nel nostro cuore».

CARLO NORDIO
Il progetto sfrutta la formazione immersiva per trasferire competenze tecniche spendibili sul mercato del lavoro, con simulazioni realistiche e percorsi professionali modellati su figure ricercate dalle imprese. Un’iniziativa che coinvolge più ministeri e che trova un convinto sostenitore in Giuseppe Valditara, titolare dell’Istruzione e del Merito. «Si inserisce pienamente all’interno di quella scuola costituzionale che abbiamo in mente», afferma, ricordando l’aumento degli investimenti: «Abbiamo aggiunto 25 milioni di euro per laboratori e attività aggiuntive» e «abbiamo aumentato di 6 volte gli stanziamenti per la scuola in carcere». Per Valditara, la direzione è una sola: «La scuola deve sempre più dialogare con il mondo esterno».

GIUSEPPE VALDITARA
Il progetto potrebbe ora estendersi ad altri istituti penitenziari. Tommaso Tanzilli, presidente di Ferrovie dello Stato, ne sottolinea la portata: «È una formazione immersiva, un’opportunità che creiamo per coloro che sono in procinto di rientrare nella società civile. Chi non ha opportunità di lavoro è molto probabile che torni a delinquere». Un problema che, nella lettura di Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per il Lavoro e le Relazioni industriali, riguarda tutto il Paese: «Le imprese cercano figure professionali e non le trovano, mentre le persone che escono dal carcere non trovano lavoro a causa dello stigma e della mancata preparazione». La soluzione, per l’industriale, passa attraverso un cambio di approccio: «Occorrerebbe un po’ di coordinamento, un aiuto a ricreare le condizioni di vita civile e una rete sociale».
La scommessa, ora, è capire se la tecnologia riuscirà a colmare il divario fra la cella e il lavoro, superando stigma, lacune formative e un sistema che storicamente fatica a offrire reali percorsi di reinserimento. “Folsom Freedom” è solo un pilota, ma è già un banco di prova per una domanda cruciale: il futuro della rieducazione passerà davvero dai visori?
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