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“Giungla sanitaria” in Italia: zero programmazione centrale e Piani regionali vecchi di anni

Il report di Salutequità accusa: strategia inesistente, disuguaglianze esplosive e 142 miliardi a rischio senza una guida

Sanità senza regia: vent’anni senza Piano nazionale mentre le Regioni navigano a vista

Sanità senza regia: vent’anni senza Piano nazionale mentre le Regioni navigano a vista

Il Servizio sanitario nazionale si trova davanti alle sfide più complesse della sua storia recente — dall’invecchiamento della popolazione all’aumento delle disuguaglianze — ma il suo principale strumento di programmazione è fermo a diciassette anni fa. Il Piano sanitario nazionale, infatti, è ancora quello del 2006-2008. Nel frattempo le Regioni si muovono in ordine sparso, ognuna con il proprio modello, alcuni innovativi, altri addirittura precedenti alla pandemia. È un quadro che, come evidenzia il nuovo Report di Salutequità, ha assunto i contorni di una vera giungla amministrativa.

«La mancanza di un nuovo Piano sanitario nazionale, insieme alla disomogeneità dei Piani sanitari regionali, dimostrano una carenza di visione strategica, unitaria e di coordinamento tra livelli istituzionali di Governo del Ssn», denuncia il presidente di Salutequità Tonino Aceti, che parla apertamente di un sistema “complesso e frammentato”, incapace di garantire equità e tempestività nell’accesso alle cure.

TONINO ACETI - PRESIDENTE SALUTEQUITA

Il report elenca una serie impressionante di piani nazionali scaduti, prorogati o bloccati. Il Patto per la Salute 2019-2021 è in proroga sine die. Sono invece fermi in Conferenza Stato-Regioni il Piano nazionale di governo delle liste d’attesa 2025-2027, il Piano pandemico 2025-2029, la proroga del Piano nazionale vaccini 2023-2025 e il Piano nazionale salute mentale 2025-2030. A questo si aggiungono il tira e molla sul Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 e la proroga annuale del Piano di contrasto all’antibiotico-resistenza 2022-2025.

Sul fronte regionale la situazione è altrettanto disomogenea. Tutte le Regioni dispongono di un proprio Piano sanitario, ma 16 di essi risalgono addirittura al periodo pre-pandemia. Alcuni territori sono però in piena revisione: Basilicata e Piemonte stanno finalizzando il nuovo Piano regionale, l’Umbria lo sta aggiornando, mentre l’Emilia-Romagna ha avviato un ampio percorso partecipativo per la redazione del nuovo Piano sociale e sanitario. Abruzzo, Calabria, Molise e Puglia procedono invece con programmi operativi regionali; il Molise lavora a uno nuovo dopo l’ultimo commissariamento.

Ci sono poi le eccezioni virtuose: il Friuli-Venezia Giulia, che aggiorna annualmente la propria programmazione socio-sanitaria, e la Provincia autonoma di Trento, che opera con un piano decennale dotato di indicatori di esito e sistemi di monitoraggio avanzati.

L’urgenza, sottolinea Salutequità, è quella di un ritorno alla regia nazionale. «Serve un piano sanitario nazionale aggiornato, partecipato e coordinato con quelli regionali», insiste Aceti, ricordando come, senza una visione chiara, si rischi di sprecare un volume ingente di risorse: «Investire nel 2026 oltre 142 miliardi di euro senza una vision chiara e lungimirante del Ssn e una vera e leale collaborazione istituzionale Stato-Regioni sarebbe un'opportunità persa per ammodernare e rafforzare il nostro servizio sanitario».

Il messaggio è netto: prima ancora dei finanziamenti, oggi manca la bussola. E senza una strategia condivisa, la frammentazione rischia di diventare strutturale, allargando ancora di più le disuguaglianze tra cittadini a seconda della regione in cui vivono.

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