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Vita Nascente, la Regione rivendica l’adesione dei Comuni. Ma le polemiche non si placano

La Giunta parla di “pregiudizi ideologici smentiti dai numeri”, Torino replica: usa solo i fondi ordinari e resta contraria alla misura

Vita Nascente, la Regione rivendica l’adesione dei Comuni. Ma le polemiche non si placano

Vita Nascente, la Regione rivendica l’adesione dei Comuni. Ma le polemiche non si placano (foto: Marrone)

La fotografia che oggi l’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone ha portato al convegno sul diritto alla segretezza del parto è chiara, almeno nei numeri: secondo la Regione, trentasette enti gestori dei servizi socio-assistenziali su quaranta, Comune di Torino compreso, hanno chiesto di accedere ai fondi del programma “Vita Nascente”, ottenendo ciascuno un contributo di 28 mila euro. A questi si aggiungono dodici progetti di associazioni del settore materno-infantile, finanziati con 40 mila euro l’uno, e 60 mila euro destinati ai quattro enti che seguono il parto in anonimato.

Per Marrone è la prova che la misura funziona e che “la realtà si impone sul pregiudizio ideologico”: amministrazioni di colori politici diversi, sostiene, avrebbero messo da parte le polemiche per concentrarsi sulla “missione di aiutare le future mamme costrette a rinunciare ai figli che desiderano per impedimenti socio-economici”. Nella narrazione regionale, Vita Nascente diventa così un tassello della “piena applicazione” della legge 194, affiancando al lavoro delle associazioni di volontariato quello dei servizi pubblici sociali.

Ma dietro questa immagine di compattezza istituzionale, la vicenda del fondo resta una delle più controverse degli ultimi anni in Piemonte. E lo scontro non è solo politico: riguarda la natura stessa della misura, il ruolo delle associazioni private nei percorsi di sostegno alle donne in gravidanza, il confine tra accompagnamento e pressione.

Per capire cosa sta succedendo oggi bisogna tornare all’origine del fondo. Vita Nascente nasce con la legge regionale 6 del 2022, che all’articolo 19 prevede contributi “finalizzati al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione volontaria di gravidanza”. La stessa scheda informativa pubblicata dalla Regione presenta il programma come uno strumento per offrire “ascolto, consulenza, sostegno economico, beni di prima necessità” alle donne in difficoltà nei primi mille giorni di vita del bambino.

Nel primo anno di “Vita Nascente” assistite 478 nuove madri | Regione  Piemonte | Piemonteinforma | Regione Piemonte

Presentazione progetto Vita Nascente

In concreto, la prima versione del fondo ha messo sul piatto circa 400 mila euro, con la possibilità per le beneficiarie di ricevere fino a 4 mila euro in aiuti economici e materiali, attraverso progetti gestiti da enti del Terzo settore e strutture indicate dalle Asl. Fin da subito, però, il perimetro delle realtà coinvolte ha acceso un dibattito acceso: tra i soggetti selezionati compaiono diversi Centri di aiuto alla vita e associazioni dichiaratamente anti-abortiste, da anni impegnate su un fronte culturale e politico che contesta l’impianto della legge 194.

Per le opposizioni in Consiglio regionale e per una parte del mondo associativo femminista e laico, il fondo rappresenta da sempre un tassello di una strategia più ampia: spostare l’asse dell’accompagnamento alla gravidanza dai consultori pubblici a soggetti privati con una forte identità valoriale, in grado di presidiare le zone grigie della decisione, prima ancora che la donna si rivolga ai servizi sanitari. Non a caso, Rete +194, Non una di meno e Cgil hanno più volte manifestato davanti al Consiglio regionale chiedendo la chiusura del fondo e, in parallelo, della cosiddetta “Stanza dell’ascolto” all’ospedale Sant’Anna, criticata come spazio che rischia di sovrapporsi o interferire con il lavoro dei consultori.

Lo scorso 18 febbraio il presidio organizzato a Torino da queste realtà ha messo nero su bianco le contestazioni: si chiede che le risorse di Vita Nascente vengano reindirizzate verso il potenziamento dei servizi pubblici per la salute riproduttiva, denunciando anche una “mancanza di trasparenza” sulla gestione dei fondi da parte delle associazioni beneficiarie.

A fine novembre, poi, il fronte critico ha fatto un salto di qualità, portando la vicenda davanti alla Corte dei Conti. Un coordinamento di associazioni civiche, femministe e radicali ha presentato un esposto che contesta al fondo non solo l’indirizzo politico, ma anche gli aspetti di gestione: criteri di selezione dei progetti, controlli sull’effettivo utilizzo delle risorse, sovrapposizioni con compiti che già la legge attribuisce al sistema sanitario pubblico. Secondo l’esposto, Vita Nascente rischierebbe di finanziare con soldi pubblici attività che, per mandate e finalità, dovrebbero restare sotto la regia di strutture sanitarie e sociali neutrali, non di soggetti militanti.

È sullo sfondo di questo contenzioso che vanno lette le parole pronunciate oggi da Marrone. L’assessore parla di una “quasi totalità” dei servizi socio-assistenziali piemontesi che aderisce al programma: trentasette enti gestori su quaranta, tra cui il Comune di Torino e i Comuni della Città metropolitana, destinatari di 28 mila euro ciascuno. A questi si affiancano dodici progetti di associazioni “operanti nel settore della tutela materno-infantile”, finanziati con 40 mila euro l’uno, e 60 mila euro ripartiti fra i quattro enti gestori di riferimento per il parto in anonimato.

Nella lettura di Marrone, questo mosaico compone una “grande dimostrazione di squadra, di collaborazione istituzionale”, in cui i servizi sociali pubblici e il privato sociale lavorano insieme “a tutela della reale garanzia della libertà di scelta”. Il messaggio è chiaro: se trentasette enti gestori chiedono i fondi, allora Vita Nascente non può essere ridotta alle accuse di misura “ideologica” avanzate da opposizioni e associazioni.

La Città di Torino, però, respinge questa rappresentazione. L’assessore alle Politiche sociali Jacopo Rosatelli parla apertamente di “disinformazione” e spiega che il Comune ha “ovviamente usufruito dei fondi regionali per le attività ordinarie dei servizi sociali, da sempre previste, a sostegno delle donne che vogliono partorire in anonimato e delle famiglie in difficoltà”. Insomma: Torino non avrebbe aderito alla parte del programma che finanzia le associazioni anti-abortiste, ma si sarebbe limitata a usare risorse collegate a prestazioni già in essere, come il sostegno alle donne che scelgono il parto in anonimato o a nuclei in grave disagio. La “contrarietà al fondo Vita Nascente resta netta”, ribadisce Rosatelli, ricordando di averlo fatto anche nella recente Conferenza socio-sanitaria regionale sul nuovo Piano. A suo giudizio, se l’obiettivo è garantire davvero il diritto di scelta delle donne, “quella del Fondo non è la strada”.

Dalla Città metropolitana, la consigliera Rossana Schillaci aggiunge un ulteriore elemento di cornice: secondo lei, è “fondamentale far conoscere la legge per il parto in anonimato, a tutela della salute della donna e del bambino”, mentre le culle termiche non rappresentano “un’alternativa attuale”. Una posizione che va nella stessa direzione: riaffidare a strumenti normativi già esistenti – e a canali sanitari e sociali istituzionali – il compito di offrire soluzioni alle gravidanze difficili, senza delegare a soggetti terzi funzioni delicate come l’ascolto e l’orientamento.

Resta allora una domanda di fondo: che cosa significa, davvero, “aderire” a Vita Nascente? Per la Regione è il segnale che i servizi sociali pubblici riconoscono la bontà della misura e decidono di lavorare con le associazioni finanziate dal fondo. Per la Città di Torino e per molte realtà critiche, è invece un passaggio quasi obbligato per non rinunciare a risorse utili alle attività ordinarie, da tenere però nettamente distinte dalla componente percepita come “militante” del programma.

Sul piano dei dati, al momento non esiste una rendicontazione pubblica, voce per voce, che permetta ai cittadini di capire quale quota delle risorse finisca in contributi diretti alle donne, quanta in beni materiali, quanta nel funzionamento di strutture associative e quanta in attività immateriali – colloqui, percorsi di “accompagnamento alla scelta”, iniziative culturali. È uno dei punti su cui insiste l’esposto alla Corte dei Conti, che chiede di verificare compatibilità, trasparenza e impatto effettivo dei finanziamenti.

In attesa delle valutazioni dei magistrati contabili, la contrapposizione politica appare lontana da una ricomposizione. Da un lato la maggioranza regionale rivendica Vita Nascente come politica di welfare “pro life”, che si propone di rimuovere gli ostacoli economici alla maternità e di affiancare le donne nel mantenere una gravidanza desiderata. Dall’altro, associazioni femministe, sigle sindacali e una parte delle opposizioni vedono nel fondo un’operazione di ingegneria istituzionale: un modo per spostare progressivamente l’ago della bilancia dai consultori pubblici a organismi che hanno nel contrasto all’aborto la propria ragion d’essere.

I numeri presentati oggi da Marrone dicono che il programma ha ormai radici diffuse nella rete dei servizi socio-assistenziali, almeno sul piano amministrativo. Ma non bastano, da soli, a sciogliere i nodi che hanno accompagnato la nascita del fondo: la definizione dei ruoli fra pubblico e privato, la tutela della neutralità informativa nei percorsi che precedono una scelta tanto personale quanto quella sull’interruzione di gravidanza, la verifica dell’uso delle risorse.

Al di là degli slogan opposti – “piena applicazione della 194” da una parte, “fondo ideologico” dall’altra – il terreno è quello, delicatissimo, in cui si intrecciano diritti delle donne, politiche sociali e bilanci regionali. È lì che Vita Nascente continuerà a essere discussa, ben oltre i numeri di adesione che oggi la Regione porta a sostegno della propria linea.

Progetto “Vita Nascente” in Piemonte. Per alcuni è addirittura «lesivo  della libertà delle donne».

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