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Un altro caso di “bambini del bosco”: 47 giorni lontani dai genitori

Due fratellini di 8 e 4 anni prelevati nella loro casa nel verde dell’Aretino e trasferiti in una comunità protetta. Nel decreto del Tribunale dei Minori di Firenze: irregolarità nella scuola parentale e ostruzione ai controlli sanitari. La sindaca conferma: “Vicenda nota, decisione dell’autorità giudiziaria”. Ecco i fatti, le regole, le domande aperte.

Un altro caso di “bambini del bosco”: 47 giorni lontani dai genitori

Un altro caso di “bambini del bosco”: 47 giorni lontani dai genitori

All’ora di metà mattina, tra le foglie umide e l’odore di legna, le telecamere di sorveglianza mostrano qualcosa che in un casolare isolato nessuno si sarebbe aspettato: uomini in divisa, assistenti sociali, una porta spalancata, un bambino in pigiama e senza scarpe che piange mentre il fratellino lo guarda senza capire. È il 16 ottobre 2025, e da quel momento per i due piccoli – otto e quattro anni – comincia un periodo sospeso: quarantasette giorni lontani da casa, collocati in una comunità protetta in esecuzione di un decreto del Tribunale per i Minorenni di Firenze. I genitori, Harald, perito elettronico originario di Bolzano, e Nadia, bielorussa, rivendicano la scelta di vivere nel bosco di Caprese Michelangelo e di educare i figli in istruzione parentale. Ma il decreto non parla di uno stile di vita alternativo: segnala irregolarità formali e ostruzione ai controlli sanitari. Da qui riparte una domanda che attraversa ancora una volta l’Italia, dopo il caso di Palmoli: dove finisce la libertà educativa e dove comincia il dovere pubblico di vigilare sui minori?

Il confronto è inevitabile, anche se i due casi non combaciano. A Palmoli, nel Chietino, il provvedimento era stato motivato dal rischio per il diritto alla vita di relazione dei tre bambini che vivevano in un rudere e in una roulotte privi di utenze, con possibili conseguenze psicologiche ed educative. In Toscana, invece, la cornice è simile solo in superficie: la casa nel verde, l’autosufficienza, l’homeschooling. Le motivazioni, però, cambiano direzione. Qui non risultano centrali le condizioni materiali dell’abitazione, ma il mancato rispetto della procedura prevista per l’istruzione parentale e l’ostruzione ai controlli sanitari. Due dossier diversi che producono lo stesso rimbalzo mediatico sulle famiglie che scelgono di uscire dai percorsi tradizionali.

Secondo le ricostruzioni note finora, tutto inizia attorno alle undici di mattina, quando assistenti sociali e forze dell’ordine entrano nel casolare del bosco per eseguire il decreto firmato dal Tribunale. I bambini vengono portati in comunità e le immagini dell’intervento, riprese dalle telecamere domestiche e poi diffuse dalla trasmissione Fuori dal Coro, mostrano il più piccolo in pigiama, senza scarpe. La famiglia denuncia sproporzione e sostiene di non ricevere notizie dirette da quarantasette giorni. Harald e Nadia spiegano di aver scelto istruzione parentale e un percorso vaccinale non completo, respingono l’idea di degrado e rivendicano autonomia educativa. La sindaca di Caprese Michelangelo, Marida Brogialdi, conferma che la situazione era conosciuta dagli uffici comunali e aggiunge che altre famiglie del territorio praticano homeschooling rispettando esami annuali e comunicazioni obbligatorie.

Nel racconto emerge anche la possibile adesione della coppia a un gruppo che si definisce Uomo vivo, donna viva, realtà che rifiuta l’autorità e invita a disobbedire alle strutture statali. Per alcuni si tratta solo di una filosofia di vita, ma per i giudici sarebbe una cornice ideologica dentro cui leggere i comportamenti di rifiuto o ostacolo ai controlli. Nelle sintesi disponibili, però, questo elemento non appare come perno unico del provvedimento: il decreto insiste sulle irregolarità formali della procedura scolastica e sulla mancata collaborazione sanitaria.

Il nodo dell’istruzione parentale, infatti, è molto più rigoroso di quanto comunemente si creda. La Costituzione, all’articolo 34, assicura il diritto all’istruzione e ammette forme alternative alla scuola tradizionale. Il D.Lgs. 297/1994 e le norme successive obbligano chi sceglie homeschooling a presentare ogni anno al dirigente scolastico del territorio una dichiarazione che attesti capacità tecnica o economica a provvedere alla formazione; la scuola ha il dovere di vigilare e anche il sindaco è autorità di controllo. Il D.M. 5/2021 e il D.Lgs. 62/2017 ribadiscono che il minore deve sostenere annualmente un esame di idoneità come candidato esterno presso una scuola statale o paritaria. L’istruzione parentale, quindi, non è un fuori-sistema: è un’alternativa regolata. Se – come afferma la sindaca – altri nuclei della zona seguono queste regole, il mancato rispetto diventa la chiave che ha dato impulso al decreto.

Sul versante sanitario, il quadro è altrettanto preciso. Le vaccinazioni obbligatorie per i minori da zero a sedici anni restano dieci, come previsto dalla legge 119/2017: polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse, Haemophilus influenzae b, morbillo, rosolia, parotite e varicella. L’eventuale non regolarità vaccinale non comporta automaticamente l’allontanamento dei minori, ma apre un percorso con la ASL, richieste di chiarimenti e, se necessario, sanzioni amministrative. Nel decreto toscano, però, non si parla solo di inadempienze: si parla di ostruzione ai controlli, un atteggiamento considerato dagli uffici come fattore di rischio per la tutela del minore.

Nelle colline dove nacque Michelangelo Buonarroti, il bosco non è un mito romantico: è un luogo reale, fatto di silenzi, strade strette, abitazioni isolate in cui vivono famiglie italiane e straniere alla ricerca di autonomia. Qui l’homeschooling è più diffuso che altrove e spesso funziona senza traumi, perché documenti, esami e controlli garantiscono un punto di contatto costante con lo Stato. Quando, invece, la catena si interrompe – dichiarazioni mancanti, visite rifiutate, ostacoli ai controlli – il confine tra libertà e violazione si assottiglia e finisce in un’aula del Tribunale.

Il punto ancora oscuro riguarda il rapporto tra genitori e figli dopo il prelievo. Harald e Nadia sostengono di non aver potuto parlare con i bambini per quarantasette giorni, ma in assenza di atti pubblici non è chiaro se la sospensione derivi da misure temporanee decise dal tutore per stabilizzare i minori o da scelte della comunità. In casi analoghi, le linee guida nazionali raccomandano la continuità delle relazioni familiari, salvo situazioni eccezionali: proprio per questo, una comunicazione istituzionale più trasparente, nel rispetto della privacy, aiuterebbe a distinguere fatti e percezioni.

Nel frattempo, la difesa annuncia ricorsi e chiede una revisione della misura: il giudice potrebbe valutare un rientro graduale, subordinato alla regolarizzazione della posizione scolastica e sanitaria e alla piena collaborazione con i servizi. Oppure confermare la misura fino a nuove perizie. Sono scenari ipotetici, non previsioni, e dipenderanno dalle valutazioni del Tribunale.

Resta una linea rossa che attraversa tutto: la tutela dei due bambini, oltre le ideologie. La vita nel bosco non è di per sé una minaccia, l’homeschooling non è un reato, la scelta di crescere i figli in autonomia non è un marchio. Il problema nasce quando i minori diventano invisibili agli occhi delle istituzioni e quando gli adulti, per convinzione o sfiducia, si sottraggono alle regole comuni. La giurisdizione minorile serve proprio a questo: mettere in sicurezza i bambini mentre gli adulti sistemano documenti, visite, esami e fiducia. E ricordare che la libertà educativa esiste solo se resta ancorata a un patto semplice: rendere i figli visibili, verificabili, tutelati. Perché, quando si parla di minori, la differenza tra autonomia e rischio non è un’idea astratta: è un modulo firmato, una comunicazione spedita, un controllo che non diventa conflitto. È lì che si gioca il destino di questa famiglia, e forse anche quello del prossimo caso che l’Italia, puntualmente, discuterà.

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