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25 Novembre 2025 - 22:17
I due bambini “fantasma” di Lauriano: dopo il caso di Palmoli, riemerge una vicenda dai contorni ancora da chiarire
A Lauriano, sulle colline sopra Chivasso, due bambini di 6 e 9 anni sono stati trovati in una cascina isolata senza documenti, senza scuola, senza alcuna presenza nelle anagrafi italiane: due minori che, per lo Stato, non erano mai esistiti. E mentre l’Italia discute del caso abruzzese della famiglia che vive nel bosco, la storia di Lauriano torna a chiedere conto delle sue domande irrisolte, perché qui non c’erano visioni educative alternative né rivendicazioni pubbliche. C’erano solo due vite cresciute nell’ombra, scoperte per caso da un’alluvione.
Ad aprile, i carabinieri salgono sul sentiero sterrato che porta al cascinale. Devono notificare un provvedimento di sgombero firmato dalla sindaca Mara Baccolla, dopo che il maltempo aveva reso pericolosa la zona. Non cercano bambini, non immaginano alcuna presenza. Ma quando aprono quella porta trovano due piccoli sporchi di fango, impauriti, entrambi col pannolino addosso nonostante l’età. Non leggono, non scrivono, parlano poco. E non risultano iscritti a nessuna scuola, a nessuna Asl, a nessun archivio pubblico. Due infanzie sospese.
I genitori sono due cittadini olandesi: il padre, 54 anni, scultore del metallo residente in Italia almeno dal 2022; la madre, 38 anni, senza una fissa dimora ufficiale. Vivono lì con loro, in isolamento quasi totale. Una famiglia fuori da tutto, ma non per scelta filosofica o per contestazione del mondo moderno: un isolamento nudo, privo di narrativa, che mostra fin da subito una fragilità evidente. Il padre prova una giustificazione che traballa in ogni punto: “I bambini seguono corsi online, hanno giochi, computer, strumenti musicali. Sono arrivati in Italia da poco”. Ma gli atti raccolti dai carabinieri e poi dal Tribunale dei Minorenni raccontano una realtà incompatibile con quella versione: condizioni igieniche precarie, assenza totale di stimoli, nessuna prova di un percorso educativo, nessun segno di arrivo recente. E un dettaglio difficile da ignorare: quei bambini non avevano mai avuto documenti, né italiani né stranieri.
La Procura dei minori, guidata da Emma Avezzù, scrive che il padre aveva sviluppato durante la pandemia un’ossessione per i virus e temeva che qualcuno stesse “creando altri agenti patogeni in laboratorio per contaminare il mondo”. Una paura che, secondo gli atti, avrebbe contribuito a chiudere i figli dentro quella casa, lontani da tutto. La madre appare in filigrana come una presenza intermittente, un’assenza che pesa più di qualunque parola: “disinteressata ai figli”, annotano i magistrati. A lui viene contestata l’incuria, l’isolamento imposto, la mancanza di stimolazione cognitiva. A entrambi l’incapacità di garantire ciò che la legge definisce “idonea assistenza”.
In poche ore, la situazione diventa un caso giudiziario. Il Tribunale sospende la potestà genitoriale e affida i bambini al Ciss, il Consorzio dei servizi sociali che tutela i minori in 23 comuni del territorio. Sono loro a procurare i documenti d’identità, il pediatra, l’iscrizione a scuola, un percorso psicologico, tutto ciò che in qualsiasi altra infanzia dovrebbe essere la normalità. I due fratellini vengono collocati in comunità separate per valutarne le condizioni e le competenze di base, e per ricostruire passo dopo passo ciò che, nei primi anni di vita, non avevano mai potuto ricevere.
La comunità locale rimane attonita: come è possibile che due bambini crescano per anni senza che nessuno se ne accorga? La sindaca parla di una vicenda delicata, esprime preoccupazione per il loro equilibrio, ma mantiene una discrezione che appare quasi come un antidoto alle tempeste mediatiche che altrove esplodono con la forza di un ciclone. A Lauriano non ci sono telecamere davanti al cascinale, non ci sono politici che annunciano visite pubbliche, non nascono petizioni virali. La storia rimane confinata nei faldoni giudiziari e nelle riunioni dei servizi sociali. La cronaca non diventa spettacolo.
Eppure, mentre il dibattito nazionale si infiamma sui bambini del bosco di Palmoli, è inevitabile guardare a Lauriano come un controcampo che spiega ciò che non si vede nelle discussioni urlate. Perché qui non ci sono famiglie che rivendicano modelli educativi radicali né comunità online che parlano di “figli liberi nella natura”. Qui non c’è alcuna narrativa romantica. La natura non è un’ideologia: è solo il teatro di un isolamento che non aveva una giustificazione pubblica. E i bambini non erano figli di una scelta, ma vittime di una mancanza.
Il Ciss, in questi mesi, ha lavorato per restituire loro una forma di quotidianità: giochi, scuola, relazioni, orari, visite mediche. Tutto ciò che dovrebbe essere banale, qui diventa un percorso di ricostruzione. Gli psicologi li valutano per capire quali ferite invisibili portino addosso. La possibilità che vengano affidati a nuove famiglie è concreta: il procedimento di adottabilità è stato avviato, anche se i genitori, assistiti dagli avvocati Afrika De Mattia e Michele Poté, stanno tentando di opporsi. Vogliono riottenere la potestà, sostengono che l’intervento sia stato sproporzionato, che i bambini non fossero trascurati. Ma i giudici, finora, scrivono altro: parlano di “isolamento totale”, di “assenza di stimolazione cognitiva”, di un ambiente che non consentiva uno sviluppo equilibrato.
Il nodo, oggi, non è decidere se i genitori avessero buone intenzioni o se amassero i figli. Il nodo è capire se quell’amore fosse sufficiente a garantire loro una vita reale, non una vita chiusa dietro una porta. Perché l’Italia si ripete spesso che la famiglia è il primo luogo della cura, ma dimentica che la cura senza diritti non basta. Un bambino senza documenti non ha diritto alla salute. Un bambino senza scuola non ha diritto al futuro. Un bambino senza relazioni non ha diritto alla crescita. È qui che la storia di Lauriano diventa più grande di quella cascina: riguarda il punto cieco di un sistema che vede i minori solo quando appare un’emergenza.
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