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In Italia ci si ammala di povertà: mezzo milione di persone senza cure mentre lo Stato arretra

Farmaci troppo cari, visite rinviate e minori senza assistenza: il nuovo Rapporto fotografa un’emergenza ignorata

In Italia ci si ammala

In Italia ci si ammala di povertà: mezzo milione di persone senza cure mentre lo Stato arretra

La nuova fotografia sulla povertà sanitaria in Italia è una di quelle immagini che fanno rumore senza bisogno di clamore. Nel 2025, secondo il 12/mo Rapporto sulla Povertà Sanitaria del Banco Farmaceutico, ben 501.922 persone hanno dovuto chiedere aiuto a una delle 2.034 realtà assistenziali convenzionate per ottenere gratuitamente farmaci e cure che non sarebbero state in grado di acquistare. Un dato enorme, cresciuto dell’8,4% rispetto al 2024, quando la platea era già vasta con 463.176 individui. Dietro quei numeri ci sono famiglie che non riescono a sostenere una terapia, genitori che rinunciano a curarsi per pagare i medicinali dei figli, malati cronici sospesi tra liste d’attesa infinite e fatture in farmacia che diventano sempre più difficili da affrontare.

Il rapporto, presentato all’Aifa, mostra come la povertà sanitaria non sia un fenomeno marginale ma uno specchio che riflette la condizione economica e sociale del Paese. La composizione delle persone che vivono questa condizione racconta molto di quanto stia cambiando il volto della fragilità: gli uomini rappresentano il 51,6%, le donne il 48,4%; la fascia più colpita è quella degli adulti tra i 18 e i 64 anni, che costituiscono il 58% del totale. Ma il dato forse più drammatico è la presenza dei minori: 145.557 bambini e ragazzi, pari al 29%, sono stati costretti a ricorrere a farmaci donati. Un numero superiore persino agli anziani, che rappresentano il 21,8% del totale. In una società che fatica a tutelare le fasce più fragili, vedere quasi un giovane su tre in povertà sanitaria ferisce e interroga.

Sul fronte delle condizioni mediche, i malati acuti superano i cronici (56% contro 44%), un segnale che indica come anche le esigenze cliniche temporanee, spesso imprevedibili, possono schiacciare intere famiglie quando la rete di protezione economica è troppo sottile o inesistente. A volte basta un’infezione, una cura specialistica, una terapia antibiotica prolungata per mettere in crisi il bilancio domestico.

L’altra metà della storia riguarda i numeri economici: quelli che misurano quanto le famiglie italiane spendono per la salute. I dati Aifa riferiti al 2024 parlano di una spesa farmaceutica complessiva pari a 23,81 miliardi di euro, con un incremento di 171 milioni rispetto al 2023. Il Servizio sanitario nazionale copre solo 13,65 miliardi (57,3%), mentre 10,16 miliardi — il 42,7% — rimangono totalmente a carico delle famiglie. E se pure questa quota risulta leggermente ridotta rispetto agli 10,65 miliardi del 2023, il problema è la prospettiva decennale: in sette anni, la spesa interamente privata è aumentata di 1,78 miliardi, pari al 21,26%. Nel 2018 la cifra era di 8,37 miliardi: oggi siamo ben oltre i dieci miliardi. Una curva che sale costantemente, mentre i redditi non seguono la stessa traiettoria.

Non si tratta solo di farmaci. Secondo i dati Istat, quasi una persona su dieci (9,9%) ha rinunciato a visite o esami specialistici nei dodici mesi precedenti. Una cifra che rappresenta un blocco reale nell’accesso alle cure preventive, diagnostiche e terapeutiche. La motivazione principale è quella delle liste d’attesa, indicate dal 6,8% della popolazione come motivo della rinuncia. Ma ciò che colpisce è l’aumento di chi non può permettersi una visita per motivi economici: il 5,3%, pari a 3,1 milioni di persone, che rinuncia a una prestazione per mancanza di denaro. Questa percentuale è cresciuta dell’1,1% in appena un anno.

Sono numeri che non possono essere letti come semplici statistiche. Parlano di una frattura crescente tra chi riesce a curarsi regolarmente e chi rimane sospeso in una terra di mezzo, dove l’accesso alla salute è intermittente, a volte casuale. Ogni cifra indica un disagio reale: il paziente cronico che deve scegliere se acquistare un farmaco o pagare una bolletta; il lavoratore precario che rimanda una visita perché “costa troppo”; l’anziano non autosufficiente che dipende totalmente dalla rete familiare; il minore che deve contare sull’intervento di un ente caritatevole per ottenere un antibiotico o un antistaminico.

È in questo contesto che si colloca il ruolo del Banco Farmaceutico, illustrato con chiarezza dal presidente Sergio Daniotti, che ha commentato: «I dati sulla povertà sanitaria ci restituiscono anche quest'anno un quadro preoccupante per migliaia di famiglie. Banco Farmaceutico aiuta a curarsi chi non può permetterselo, praticando, grazie al sostegno e insieme a migliaia di volontari, farmacisti, aziende e cittadini, la gratuità». Ma nella sua riflessione emerge anche un concetto chiave: la gratuità non è solo un gesto di solidarietà, è un atto culturale. «Una cura costituita da un'autentica attenzione alle esigenze e alla dignità di chi si trova in condizioni di povertà non può limitarsi alla pur necessaria risposta immediata al bisogno: deve comprenderlo in fondo, anche attraverso un lavoro di approfondimento culturale e scientifico. Perché più profonda è la conoscenza, più efficaci saranno le risposte».

Le parole di Daniotti rivelano il doppio volto della povertà sanitaria: quello dell’emergenza — fatta di farmaci, ricette, terapie — e quello della struttura, che riguarda politiche, investimenti, accessibilità, cultura della salute. Il problema non può essere affrontato esclusivamente con interventi tampone. Senza un ripensamento strutturale del sistema di welfare sanitario, il rischio è che i numeri continuino a crescere inesorabilmente, trascinando con sé un nuovo tipo di esclusione sociale.

A livello territoriale, la povertà sanitaria non colpisce in modo uniforme. In alcune regioni, dove le liste d’attesa sono più lunghe o la rete di servizi è più fragile, il fenomeno è più diffuso. L’accesso alle cure specialistiche, spesso concentrato nei grandi centri urbani, diventa un problema per chi vive in aree periferiche. E i costi indiretti — trasporti, giornate lavorative perse, accompagnamento — amplificano il peso delle difficoltà economiche, aggiungendo ostacoli a chi è già in difficoltà.

Il sistema sanitario italiano, universalistico solo nella definizione teorica, sta vivendo una tensione crescente. Se il SSN si fa carico di poco più della metà della spesa farmaceutica totale, significa che l’altra metà grava sulle tasche dei cittadini in un contesto economico dove inflazione, precarietà e fragilità sociale vanno in aumento. Il risultato è un’Italia dove la salute diventa sempre più una questione di reddito. Chi può, paga. Chi non può, rinuncia. E chi non può rinunciare, cerca aiuto.

Ma è proprio questo terzo gruppo — gli oltre 500mila italiani costretti a rivolgersi alle realtà convenzionate — a rappresentare la cifra più urgente. Perché mostra un Paese che, nella sua parte più vulnerabile, viene sostenuto da un sistema parallelo di solidarietà. Un sistema prezioso ma non sufficiente, soprattutto se il trend continuerà la sua ascesa nei prossimi anni.

Il Rapporto del Banco Farmaceutico non è solo una denuncia. È una richiesta di attenzione, di riflessione, di responsabilità. La salute, diritto costituzionale garantito dall’articolo 32, non può scivolare nel campo delle opportunità opzionali. Le cifre parlano chiaro: la povertà sanitaria è un fenomeno strutturale, crescente, silenzioso. E finché non sarà percepito come tale, continuerà a essere affrontato con strumenti emergenziali, insufficienti e frammentari.

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