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Riboldi e il Piano dei Sì: la sanità piemontese come la tombola di Natale

Tra promesse a tutti, emendamenti che spuntano come funghi e punti nascita che ballano sul filo, l’assessore colleziona consensi come amuleti, mentre la Regione tenta di programmare il futuro con un documento che vuole accontentare chiunque… e forse proprio per questo rischia di non accontentare nessuno

Piano socio sanitario già in prognosi riservata. Riboldi "scappa"

Piano socio sanitario già in prognosi riservata. Riboldi "scappa"

Il Piemonte ha finalmente un Piano socio-sanitario pronto a sbarcare in Consiglio regionale. Una creatura istituzionale attesa da trent’anni – tre decenni di annunci, tavoli, promesse, bozze che sembravano più fughe di notizie che veri documenti di programmazione – e che ora arriva sul tavolo politico come se fosse il manoscritto di un best seller. Peccato che, leggendo tra le righe, sembri più una raccolta di buoni propositi che un manuale operativo.

Il percorso delle audizioni in IV commissione è terminato. E, sorpresa, al centro della scena c’è sempre lui: Federico Riboldi, assessore alla Sanità, uomo di Fratelli d’Italia, ex sindaco di Casale, e oggi impegnato in un esercizio di equilibrismo politico degno dei toreri di Pamplona.

Del resto, gestire la sanità piemontese non è semplice: occorre coraggio, visione e – soprattutto – la non comune capacità di dire sì a tutti, anche quando gli interlocutori la pensano all’opposto.

Riboldi questo talento ce l’ha. Lo ha dimostrato durante le audizioni: un sì al sindaco, un sì al direttore generale, un sì al rappresentante dei medici, sì alla Lega, sì ai privati, sì al terzo settore, sì ai territori montani, sì alle città… insomma: un sì collettivo degno di un matrimonio di massa.

C’è chi mormora che, a furia di dare ragione a tutti, l’assessore si sia ritrovato con un piano così ecumenico da far impallidire il Concilio Vaticano II.

Le informazioni raccolte in rete non lasciano spazio a dubbi: il documento che dovrebbe guidare la sanità piemontese dal 2025 al 2030 è un contenitore molto ricco di intenti, un po’ meno di decisioni operative.

Piace l’idea di un sistema più integrato tra sanità e sociale, la nuova figura del direttore socio-sanitario, la telemedicina espansa, la riorganizzazione territoriale e i trasporti per i pazienti fragili. Tutto bello.

Poi però si arriva ai nodi. E i nodi, come sempre, vengono al pettine.

Uno su tutti: la rete ospedaliera. Qui il Piano sorvola, evita di sporcarsi le mani, si limita a un’elegante pacca sulle spalle degli amministratori locali.

E allora chi arriva in soccorso? Ma ovvio, i partiti della maggioranza, che come in ogni grande famiglia litigano a cena ma poi vanno in foto tutti insieme.

Il capogruppo leghista Fabrizio Ricca ha già annunciato “pochi ma significativi” emendamenti. Una frase che in politica equivale a un biglietto da visita infilato sotto la porta: non siete voi a decidere tutto.

Tra i temi toccati, la maternità. Traduzione: la Lega vuole mettere becco nei punti nascita. E qui la faccenda si fa delicata, perché alcuni sono sotto soglia e rischiano la chiusura.

Borgosesia è già stato sacrificato. Casale Monferrato no – e il motivo, guarda caso, risponde all’anagrafe politica di Federico Riboldi.

Poi c’è il caso Domodossola, ribattezzato nei corridoi del potere Preioniland, territorio di caccia dell’ex capogruppo leghista Alberto Preioni. Anche qui, il futuro del punto nascita oscilla come un neon difettoso.

Dal canto suo l’ex assessore alla Sanità, oggi presidente della IV Commissione, Luigi Icardi, osserva, studia, e prepara un emendamento destinato a far saltare più di una sedia.

Nel mirino c’è la famigerata delibera 1-600, quella dei tagli di rete ospedaliera firmata ai tempi di Chiamparino e Saitta. Riboldi la considera il male assoluto, la radice di tutti i mali.

Ma – dettaglio non trascurabile – il suo Piano non la supera. Non la elimina. Non la archivia.

Forse per distrazione, forse perché le forbici servono per tagliare i nastri degli ospedali nuovi, non i provvedimenti scomodi del passato.

L'ex assessore regionale Icardi

Icardi vuole inserire lo studio Agm Project Consulting fatto ai tempi in cui lui era assessore. Perché? Perché è da lì che partono i progetti dei nuovi ospedali piemontesi.

E la domanda è legittima: come si conciliano con la 1-600, se resta in vita come un dinosauro ammaccato?

Altro nodo: la sanità privata accreditata, che nel Piano sembra comparire solo nella nota a piè pagina.

Eppure esiste, lavora, macina prestazioni che il pubblico non riesce a garantire. Il Piemonte non è la Lombardia, ma nemmeno un’isola deserta. E questo silenzio pesa.

Lo hanno notato tutti: osservatori, territori, opposizioni. E anche qualche alleato, seppure sottovoce.

Ora il Piano approderà in Aula e dovrà affrontare emendamenti, malumori, ambizioni personali e quelle lotte di territorio che ogni tanto fanno sembrare la sanità piemontese un derby infinito.

Riboldi, dal canto suo, continua a ostentare tranquillità. Forse perché, nel suo mondo ideale, ogni richiesta ha già ricevuto un “Sì, certo, vediamo, ci penso, lo valutiamo, assolutamente!”.

Una strategia che funziona nelle cene di Natale, un po’ meno quando bisogna governare un settore che da solo vale quasi 13 miliardi di euro e che oggi affronta problemi cronici: liste d’attesa, personale in fuga, reparti sotto organico, territori che reclamano attenzione.

Quello che uscirà dall’Aula sarà il vero Piano socio-sanitario piemontese, quello che dovrà guidare ospedali, distretti, medici, servizi sociali, strutture private, trasporti sanitari e intere filiere di cura.

Per ora, però, resta l’impressione di un documento scritto per piacere a tutti.

E come insegna la saggezza popolare: se cerchi di accontentare tutti, finisci per non accontentare nessuno.

A meno che tu non sia Federico Riboldi, naturalmente. Lui sì che ci crede. Lui sì che ci spera. Lui sì che ha detto sì.

Abbiamo un piano...

La Regione Piemonte si appresta a varare il nuovo Piano socio-sanitario 2025–2030, un documento che – almeno sulla carta – dovrà ridisegnare la sanità regionale per i prossimi anni. Dopo decenni in cui ogni giunta annunciava la necessità di “una visione complessiva”, finalmente un testo è arrivato sul tavolo politico, uscendo dalla fase delle consultazioni pubbliche e delle audizioni di commissione. È un piano definito “ecumenico” da più osservatori: ricco di principi, ampio nelle intenzioni, molto attento alla retorica dell’integrazione tra sanità e sociale, ma ancora poco incisivo su scelte concrete e nodi strutturali. Insomma, un progetto che sembra voler piacere a tutti, e forse proprio per questo tende a non scontentare nessuno.

Al centro del documento, la grande promessa dell’assistenza territoriale rafforzata, con l’idea di portare i servizi più vicino ai cittadini tramite nuove forme organizzative, come le Aggregazioni Funzionali Territoriali e una medicina di base più coordinata. Si parla molto anche di direttore socio-sanitario, una figura introdotta per favorire l’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali: un passo importante, almeno sulla carta, verso un Piemonte che affronta insieme fragilità, povertà, disabilità e bisogni sanitari cronici. Non manca poi l’enfasi sulla digitalizzazione: fascicolo sanitario elettronico più semplice, telemedicina che dovrebbe finalmente diventare ordinaria, e sistemi informatici capaci – si spera – di accorciare quelle liste d’attesa che oggi rappresentano una delle piaghe principali della regione.

L’altro fiore all’occhiello riguarda l’edilizia sanitaria. I progetti per i nuovi ospedali, già in fase di elaborazione da anni, trovano nel piano una cornice generale, anche se rimane vaga la questione della compatibilità con la controversa delibera 1-600, quella che nei tempi del centrosinistra ridisegnò la rete ospedaliera a colpi di tagli. Su questo fronte il documento rimane assai prudente, evitando di risolvere esplicitamente ciò che tecnici e amministratori chiedono da tempo: una revisione chiara dei parametri che stabiliscono quanti ospedali servano davvero e con quali funzioni.

Un altro tema che affiora, ma non brilla per approfondimento, è quello della sanità privata accreditata. Il Piemonte non è certo la Lombardia, ma il privato esiste, opera, macina prestazioni e sostiene attività che il pubblico non riesce più a coprire. Eppure nel testo la sua presenza è più vicina a un’ombra che a un capitolo strutturato. Una discrezione che ha lasciato perplessi molti osservatori, anche perché l’equilibrio tra pubblico e privato rappresenta una delle questioni più delicate della sanità regionale.

Il percorso del Piano è tuttavia entrato nella sua fase finale: dopo la discussione in commissione, la Giunta lo ha approvato, e ora si attende il passaggio in Consiglio regionale. L’approdo in Aula sarà decisivo non solo per il documento in sé, ma per capire quanto la politica piemontese sia davvero pronta a occuparsi della sanità con scelte nette e non solo con dichiarazioni di principio. Intanto la Regione ha già confermato un bilancio sanitario da 12,92 miliardi di euro, la cifra più alta di sempre: un segnale che le risorse, almeno sulla carta, ci sono. Resta da vedere come verranno impiegate e soprattutto se saranno sufficienti a trasformare un piano molto ambizioso in un sistema sanitario che funzioni davvero.

Per ora l’impressione generale è chiara: il Piemonte ha scritto un piano che guarda lontano, forse anche troppo. Ora serve capire chi avrà il coraggio di percorrere quella strada fino in fondo, senza perdersi nei "sì" di rito e nelle formule che stanno bene nelle conferenze stampa ma molto meno nelle corsie degli ospedali.

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