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Ivrea abbandona Adriano: la vecchia stazione è terra dei maranza e il Comune guarda altrove

Ivrea, il bar della stazione diventato ultimo presidio: Adriano resiste fra spaccio, violenze, tavoli tolti e il silenzio delle istituzioni

Ivrea abbandona Adriano: la stazione è terra di maranza e il Comune guarda altrove

Ivrea abbandona Adriano: la stazione è terra di maranza e il Comune guarda altrove

C’è un uomo a Ivrea che non dorme più. Niente sonno, niente tregua, niente pace. Si chiama Adriano Vaglio e fino a qualche mese fa era semplicemente il titolare del Buffet della stazione, uno di quei bar che tengono insieme rituali quotidiani e piccoli gesti di vita normale: il caffè al banco, il treno che arriva, la brioche del mattino.
Adesso, invece, Adriano è titolare di qualcos’altro: di un presidio. Di un avamposto. Dell’ultimo muro di contenimento di una zona che sta collassando, centimetro dopo centimetro, mentre lui è lì, ogni giorno, a scegliere se servire un cappuccino o chiamare la polizia, i carabinieri o la guardia di finanza.
Una scelta che non dovrebbe essere nelle mani di un barista. Eppure eccoci qui.

Due settimane fa lo avevamo sentito. Era preoccupato, rassegnato, provato. Oggi è un uomo stremato. Schiacciato. Disperato.
Ci aveva detto quella frase che allora ci era sembrata solo uno sfogo, una provocazione: «Sto pensando di togliere tutti i tavoli e tutte le sedie». E invece no: non era uno sfogo, non era un modo di dire. Lo ha fatto davvero.
Ha svuotato il dehors, ha lasciato un vuoto che fa male anche solo a guardarlo. Un vuoto dove prima c’erano voci, tazzine, ragazzi con i portatili, pendolari che scambiavano due parole. Ha tolto ogni appiglio che potesse trasformarsi in pretesto, rifugio, punto di bivacco. Ha chiuso il cancello. E ora prova, come può, a resistere.

Adriano paga regolarmente l’occupazione del suolo pubblico. Ma il suolo, ormai, pubblico non lo è più: è occupato, sì, ma non da lui. È occupato da gruppi che stazionano, che urlano, che litigano, che occupano gli angoli del piazzale della vecchi stazione a tutte le ore del giorno. Maranza, insomma.

«Oggi pomeriggio ho dovuto chiamare la polizia due volte», racconta con un tono che è un misto tra vergogna e rabbia.
Due volte. In un pomeriggio qualsiasi. «Se questa è l’accoglienza della città ai turisti…».
Il treno arriva, la gente scende, e ciò che vede è una fotografia che nessuno vorrebbe come biglietto da visita della propria città. Ma questa è Ivrea, oggi.

«Sono sempre gli stessi gruppi: marocchini, tunisini… Tutto il giorno. Ogni tanto c’è uno sgarro tra di loro, si picchiano fra di loro. Hanno due cani che fanno paura. Come si fa a lavorare così?».
E infatti non si lavora più. Non come si dovrebbe. E non come merita chi ha un’attività onesta.
Le persone glielo dicono sottovoce, quasi con imbarazzo: «Ma come fai a resistere? Io lì non ci vengo».
È l’immagine perfetta della sconfitta: un commerciante abbandonato, un luogo che non è più un luogo di passaggio ma un territorio conteso dai maranza, dagli spacciatori, da ragazzi che di tutto hanno paura ma non delle divise.

E intanto l’aria si fa più pesante.
«Mercoledì scorso si sono presi a bottigliate», dice. «E sono andato io a raccogliere i cocci». La voce gli si incrina. Lo ammette: «Ho paura»
Lui, che ogni giorno affronta persone che «non hanno nulla da perdere». Lui, che resta in prima linea perché i suoi dipendenti hanno più paura di lui.

Una paura che non si placa nemmeno la sera, quando chiude e tira giù la serranda.
«La scorsa settimana ero sopra, al primo piano, nell’ufficio. Avevo già chiuso. Arrivano i carabinieri, chiedono i documenti a tutti. Se ne vanno. E appena se ne vanno spuntano da tutti gli angoli, con le luci dei telefonini accese, cercano nei cespugli dove avevano buttato la roba…».
Una scena da film, ma di quelli che non vorresti vedere nella tua città. Una scena che si ripete. Sempre. Identica.

Adriano ringrazia le forze dell’ordine. «Si danno il turno, ci sono giorni in cui ci sono i carabinieri, in altri la guardia di finanza, in altri ancora la polizia, ma questi ragazzini non hanno paura delle divise. Potrei prendere una guardia giurata… non cambierebbe niente».

Nel gruppo ci sono anche tre ragazzine, di 14, forse 15 anni.
«Fanno da sentinelle. Le usano come galoppini. Probabilmente per la distribuzione».

Decisamente meglio al Movicentro, «di là la situazione è tranquilla. Si sono spostati tutti di qua. Di qua è l’inferno…».

La verità? Che Adriano è vicino alla resa. Per davvero.
«Do lavoro a dodici persone, a dodici famiglie. Potrei dire che non apro più, che chiudo domani. Ma devo tutelare la gente che lavora qui. Non posso chiudere, ma non mi permettono più di lavorare».
Lo dice piano. Senza rabbia, senza urla. Ed è ancora peggio, perché è la stanchezza che ha ormai scavato dentro.

È il racconto di un uomo a cui Ivrea sta togliendo tutto: clienti, sicurezza, dignità professionale.
Un uomo che svuota i tavoli perché la città non svuota i problemi. Un uomo che resiste, solo, in una zona che da mesi viene definita “rossa”, “monitorata”, “attenzionata”, “prorogata”. La parola «risolta», qui, non si è mai vista.

E la cosa più grave – la più grave davvero – è che Adriano non vede nemmeno un accenno di miglioramento.

Insomma: se un bar, il bar della stazione, è costretto a togliere tavoli e sedie per sopravvivere, allora il problema non è il bar.
Non è il commerciante. È Ivrea.
È un sistema che continua a girarsi dall’altra parte mentre un uomo difende da solo un pezzo di città che nessuno vuole più guardare.

E la politica? La domanda inevitabile è: perché l’assessore, il sindaco, un dirigente non hanno mai sentito il dovere – anche umano – di mettere piede in stazione e guardare Adriano negli occhi?
Fino a quando dovrà essere Adriano – un barista – a difendere la stazione? «Mi hanno abbandonato: questa è la verità…», sospira.

In un post sui social il consigliere comunale Massimiliano De Stefano esprime solidarietà. Tutta quella che può.

"In stazione la situazione peggiora ogni giorno sempre di più - scrive - L’unico a resistere è Adriano. E' l’ultimo esercente rimasto. Ogni giorno è costretto a chiamare le forze dell’ordine 3 o 4 volte. Ha dovuto togliere i tavoli del dehor, subendo un danno economico enorme, e nonostante tutto continua a pagare il suolo pubblico al Comune. È assurdo. È ingiusto che ,chi lavora onestamente debba subire tutto questo. Adriano e i suoi 12 dipendenti sono stati lasciati soli in una zona che ormai è diventata il vero mercato della droga, dei coltelli facili e della violenza. Un’area che l’amministrazione deve recuperare. Le forze dell’ordine fanno tanto, ma purtroppo non basta: i criminali non hanno più paura. Hanno diverse sentinelle che avvisano appena arriva una pattuglia. Ragazzi giovanissimi, maschi e femmine che potrebbero essere nostri figli o nipoti. Genitori, fate attenzione: alcuni ragazzi finiscono per seguire persone che non hanno nulla da perdere. Proteggete i vostri figli e ogni tanto fatevi un giro in stazione per vedere chi frequentano..."


Zona rossa

Il Movicentro e la vecchia stazione sono “zona rossa”: una definizione che sulla carta dovrebbe incutere timore, garantire ordine, tenere pulita l’area. Nella pratica, invece, è semplicemente una fascia urbana dove tutto sembra ancora possibile, dove la presenza costante delle forze dell’ordine non riesce – o non può – arginare una situazione che degenera giorno dopo giorno.

I numeri lo confermano. Nei primi sei mesi di applicazione del Dacur, il Divieto di accesso urbano, sono state controllate 3.583 persone, con 57 ordini di allontanamento: 21 destinati a persone con precedenti per droga, 10 per reati contro la persona, 19 per reati contro il patrimonio. Numeri importanti, sì, ma che raccontano solo una parte della storia. Perché ciò che resta dopo gli interventi è quasi sempre identico a ciò che c’era prima.

E gli episodi degli ultimi mesi lo dimostrano con una chiarezza che non lascia spazio ai dubbi. A fine novembre, per esempio, un uomo di 37 anni è stato arrestato con in tasca hashish, crack, cocaina e persino un bilancino. A metà ottobre, durante una delle tante operazioni congiunte, la polizia municipale ha identificato ventitré persone e sequestrato quasi sette grammi di hashish tra la stazione, il sottopasso e il deposito bus. Ad agosto, nel pieno della zona rossa, è arrivata la coltellata al volto in pieno giorno: dodici allontanamenti in ventiquattr’ore e la certezza che l’area continui a ribollire sotto la superficie.

Adriano queste cose le vede. Le vede tutte.
«Ogni tanto ne portano via qualcuno, ma poi ritornano. Non è finito niente. È come primaQualcuno mi dice che arrivano da Torino – ci aveva raccontato qualche tempo fa – Secondo me ci sono troppe cooperative che ospitano richiedenti asilo in Canavese. Troppa gente in giro. Il territorio non può contenerne così tanta. Lo so perché chi si occupa di loro viene qui a fare gli abbonamenti del bus urbano. Fanno i biglietti e poi passano qui tutto il giorno. Non hanno altro posto dove stare».

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