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La mappa dei ricoveri d’oro: a Napoli 1300 euro per 1 giorno in ospedale, a Bergamo 370

Degenze d’oro al Sud e costi ridotti al Nord: la nuova analisi Agenas rivela disparità enormi tra gli ospedali italiani

Degenze d’oro al Sud e costi ridotti al Nord: la nuova analisi Agenas rivela disparità enormi tra gli ospedali italiani

Degenze d’oro al Sud e costi ridotti al Nord: la nuova analisi Agenas rivela disparità enormi tra gli ospedali italiani

I nuovi dati Agenas sulle Aziende ospedaliere e universitarie, rielaborati da Quotidiano Sanità, offrono un quadro che non lascia margini all’interpretazione: in Italia una giornata di ricovero può costare più del triplo a seconda della regione. Il confronto tra il Sud e il Nord è netto, e la distanza economica che ne emerge conferma una volta di più le criticità strutturali che affliggono il Servizio sanitario nazionale.

Il dato più clamoroso arriva da Napoli, dove l’Azienda Ospedaliera Universitaria L. Vanvitelli raggiunge un costo medio di 1.326 euro per ogni giornata di degenza in regime di acuzie, pesata per complessità. All’estremo opposto, il Papa Giovanni XXIII di Bergamo si ferma a 374,6 euro, diventando la struttura meno costosa dell’intera rilevazione. Una forbice che supera i mille euro e che fotografa un divario che le istituzioni sanitarie non riescono a colmare.

Nell’ambito delle strutture universitarie, dopo la Vanvitelli, si collocano il Giaccone di Palermo con 881,6 euro, il G. Martino di Messina con 735,8 euro e il R. Dulbecco di Catanzaro con 727,8 euro. Restano comunque alti i valori del Federico II di Napoli (669,5 euro), del Careggi di Firenze (658,6 euro) e del Ruggi d’Aragona di Salerno (657 euro). A seguire, con costi comunque elevati, il Sant’Anna di Ferrara (649,1 euro), il Pisana di Pisa (633,5 euro) e il Rodolico - San Marco di Catania (608,9 euro). Poco sotto la soglia dei 600 euro figurano il Sant’Andrea di Roma e il Riuniti di Foggia. Verso il fondo della classifica, tra i valori più bassi, emergono il San Matteo di Pavia (433,3 euro), gli Spedali Civili di Brescia (427,8 euro), il Brotzu di Cagliari (423,1 euro) e, ultimo tra gli universitari, il Tor Vergata di Roma (385,4 euro).

Non meno evidente è la forbice negli ospedali non universitari. In cima si colloca l’ospedale di Cosenza, con una media di 827,6 euro. Subito dietro il Papardo di Messina (728,7 euro) e il Civico-Benfratelli di Palermo (728,1 euro). Tra i costi più elevati rientrano anche il San Pio di Benevento (721 euro), il Dei Colli di Napoli (689,8 euro) e il Garibaldi di Catania (683,7 euro). Il Cardarelli di Napoli, uno dei maggiori hub del Sud, si attesta a 622,2 euro. A valori intermedi si trovano il Cannizzaro di Catania (583 euro), il Mauriziano di Torino (580,7 euro), il Brotzu di Cagliari (579,2 euro) e gli Spedali Civili di Brescia (564,3 euro). Verso il basso emergono l’Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo (451,9 euro), il Morelli di Reggio Calabria (436,9 euro) e il S. G. Moscati di Avellino (431,1 euro). Ultimo, anche in questa categoria, il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, con i già citati 374,6 euro.

Agenas chiarisce che «un valore elevato dell’indicatore viene valutato negativamente, in quanto rappresenta maggiori costi operativi connessi ad ogni giornata di degenza». Un parametro che rende ancora più allarmante la concentrazione di valori alti nelle strutture meridionali, soprattutto in quelle universitarie.

Un campanello d’allarme confermato dal segretario dell’Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, che all’ANSA definisce i dati il sintomo di una crisi di sistema. Secondo Di Silverio, i costi maggiori al Sud sono dovuti «anche a inefficienze organizzative e a carenze di personale, più accentuate nel Sud», ma la causa più profonda sarebbe «una governance parziale che esclude i medici e, soprattutto per le università, non confacente all’attuale richiesta e necessità del Ssn».

Da qui la richiesta di «una revisione profonda anche della metodologia di calcolo dei costi» e, soprattutto, della necessità di «creare e omogeneizzare standard di personale e di costi sul territorio, tenendo presente che la governance delle aziende senza l'intervento diretto dei medici rende di meno e costa di più».

L’immagine che emerge è quella di un sistema che, più che recidere le differenze territoriali, rischia di ampliarle. Un divario che ha un impatto diretto sulla sostenibilità delle strutture, sulla qualità delle cure e sulla capacità del Servizio sanitario nazionale di mantenere uniformi i livelli essenziali di assistenza.

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