Cerca

Cronaca

Notte di follia al Pronto Soccorso di Ciriè. Infermiere colpito alla testa con una bottiglia. Il Nursind insorge: “Tolleranza zero”

Pronto soccorso di Ciriè sotto assedio: infermiere ferito da un paziente, sindacato denuncia ritardi nelle tutele e nelle guardie

Notte di follia al Pronto Soccorso di Ciriè. Infermiere colpito alla testa con una bottiglia. Il Nursind insorge: “Tolleranza zero”

In foto Giuseppe Summa

Un’altra notte, un’altra aggressione. Un altro infermiere finito sul bollettino di guerra che, ormai, somiglia più a un resoconto da frontiera che a ciò che dovrebbe essere un luogo di cura. È successo di nuovo al Pronto Soccorso di Ciriè, dove un operatore sanitario è stato colpito alla testa con una bottiglia di gel disinfettante piena da un paziente già noto alle forze dell’ordine. Una scena violenta, improvvisa, che ha terrorizzato le persone in attesa, tra cui anche diversi minori.

Secondo il racconto del Nursind, l’uomo si era presentato come fa ormai spesso, per motivi che con l’emergenza sanitaria non hanno nulla a che vedere. Prima avrebbe seminato panico con urla e comportamenti aggressivi, poi l’escalation: la bottiglia lanciata contro l’infermiere, gli occhiali distrutti e la minaccia di impugnare addirittura un estintore.

pronto soccorso

Una situazione talmente fuori controllo da richiedere l’intervento dei carabinieri. E qui scatta l’accusa più pesante del sindacato: dove sono le guardie armate promesse?
"Erano state annunciate, garantite “entro fine anno” - ricordano dal Nursind - Oggi è il 1° dicembre e a Ciriè non si è visto ancora nessuno..."
E poi ancora: "Mentre negli altri ospedali si corre ai ripari per l’ondata di iperafflusso delle prossime settimane, in ASL TO4 si resta in attesa della gara d’appalto. L’ennesima, eterna attesa..."

Per il sindacato non è più questione di sopportazione. È questione di sicurezza, di dignità professionale, di diritto a lavorare senza rischiare di essere colpiti in testa da un oggetto ogni volta che si apre una porta.

“I Pronto Soccorso servono ai bisogni di salute dei cittadini, non a gestire tutti i problemi sociali o, peggio, sociopatici che sfociano in aggressioni”, scandisce il responsabile territoriale, Giuseppe Summa, che descrive una trasformazione inquietante: non più parenti esasperati dalle attese, ma un “far west” quotidiano alimentato da individui che non cercano cure, ma sfogo.

Il sindacato chiama in causa direttamente l’assessore regionale alla sanità Federico Riboldi. Si chiede che gli interventi già attivi in altre aziende sanitarie vengano estesi immediatamente anche alla TO4.

"Perché qui, semplicemente, non c’è più tempo da perdere."

E poi c’è il nodo delle tutele previste dal nuovo contratto, firmato a ottobre: patrocinio legale, supporto psicologico, copertura assicurativa, costituzione civile dell’azienda, difesa garantita per tutti i gradi di giudizio. Nursind chiede che queste misure vengano attuate subito, non “quando finirà la confusione”. Perché la confusione, ormai, è la normalità.

Infine il sindacato prende posizione anche sul clima generale che si respira attorno all’ASL TO4, travolta negli ultimi mesi da vicende giudiziarie e polemiche. “Siamo sicuri che la Magistratura farà il suo lavoro – stigmatizza Summa – ma l’ira cieca dei cittadini contro l’intero personale non è accettabile. Non si può generalizzare: chi lavora in reparto non è complice, ma vittima”.

E mentre si contano i danni dell’ennesima notte di violenza, una cosa è chiara: senza interventi immediati, senza sicurezza reale – non annunciata, non promessa – il rischio è che un giorno ci si debba trovare a scrivere una cronaca molto più grave.
E a quel punto, sarà tardi per dire che “si sapeva”.

Non è un caso

Non è un episodio isolato. Le aggressioni contro il personale sanitario dell’ASL TO4 non sono eccezioni, ma tappe di una deriva diventata ormai strutturale. Ogni nuovo caso che emerge – l’infermiere colpito alla testa, i medici strattonati, gli operatori insultati o minacciati – non è che l’eco di un fenomeno che si ripete con inquietante regolarità. E nella mappa della violenza ospedaliera, Ciriè, Chivasso, Ivrea e Cuorgnè compongono un quadrilatero che troppo spesso finisce sulle pagine di cronaca.

Negli ultimi anni, i casi documentati raccontano una storia che non si può più ignorare. A febbraio 2024, ad esempio, un 28enne in evidente stato di ebbrezza ha picchiato medici, infermieri e perfino i carabinieri intervenuti per calmarlo. A marzo dello stesso anno, un detenuto straniero portato in pronto soccorso per un TSO ha aggredito un agente di polizia penitenziaria e il personale sanitario, trasformando la sala visite in un campo di battaglia. Tutto questo mentre l’ASL TO4 cercava di far fronte a un’ondata crescente di episodi, con i sindacati che già da tempo lanciavano segnali d’allarme.

Poi, a novembre 2024, un’altra aggressione violenta al Pronto Soccorso di Ciriè: un infermiere colpito alla testa con una bottiglia. L’episodio ha un impatto talmente forte che l’ASL decide di cambiare immediatamente le etichette identificative sui camici, per proteggerne l’identità, e annuncia l’arrivo di vigilanza privata e un potenziamento dei sistemi di videosorveglianza.

Non basta. I sindacati, tra cui il Nursind, a maggio 2025 denunciano pubblicamente un “allarmante aumento” delle aggressioni non solo nei pronto soccorso, ma anche nei reparti, negli ambulatori e nei distretti sanitari della TO4. In quell’occasione viene chiesto un vero cambio di passo: vigilanza armata, protocolli operativi diretti con le forze dell’ordine, videosorveglianza estesa e un monitoraggio costante e continuativo. Una richiesta che sembra quasi disperata, la fotografia di un sistema che non riesce più a contenere la violenza quotidiana.

E infatti gli episodi continuano. Il 30 settembre 2025, sempre al pronto soccorso di Ciriè, un uomo in stato di forte agitazione tenta di colpire medici e infermieri. Solo l’intervento immediato delle forze dell’ordine evita il peggio. Un altro caso, un’altra paura, un altro turno di lavoro trasformato in una trappola per chi dovrebbe salvare vite, non difendere la propria.

Questi episodi non sono la lista completa: sono solo quelli finiti sui giornali. Molti altri si perdono tra relazioni interne, segnalazioni sindacali e racconti che non arrivano mai alla stampa. Perché la violenza in corsia, spesso, non fa rumore: la maggior parte delle aggressioni nasce e muore dentro quei corridoi, registrata come “incidente”, “tensione”, “reazione incontrollata”. La definizione cambia, il problema resta.

Ed è proprio questo il punto. Le aggressioni nei pronto soccorso dell’ASL TO4 non sono la somma di episodi isolati, ma il sintomo di un sistema che scarica sulle strutture sanitarie tutto ciò che non sa o non vuole gestire: il disagio sociale, la fragilità mentale, la marginalità, la frustrazione, l’abuso di alcol e sostanze, l’abbandono istituzionale, i tempi di attesa insostenibili. Il pronto soccorso è diventato il crocevia dei problemi di una sanità che non dispone di nessun altro luogo dove farli confluire. E così il personale medico e infermieristico si ritrova a essere psicologo, mediatore, vigilante, assistente sociale, pietra dello scandalo. E quando la miccia si accende, spesso diventa il bersaglio.

Non sorprende, dunque, che i sindacati parlino di “far west” e lo facciano con amarezza, ma senza esagerazioni. Quando un infermiere viene colpito alla testa con una bottiglia, quando un detenuto aggredisce un agente di polizia e il medico che lo assiste, quando un ubriaco prende a pugni chi lo sta curando, quando un uomo in stato di agitazione tenta di colpire l’intero personale di turno, quando si attendono ore e ore senza ricevere alcuna attenzione, significa solo una cosa: che il presidio sanitario non è più un luogo sicuro. Non per chi arriva a farsi curare, e nemmeno per chi presta cura.

A tutto questo si aggiunge il risentimento contro l’ASL TO4, travolta da indagini, scandali, polemiche. Un risentimento che troppo spesso si riversa indiscriminatamente contro gli operatori, che invece sono quelli che stanno pagando il prezzo più alto. Sono loro, gli infermieri e i medici che con l’intramoenia non hanno nulla a che fare, i primi ad affrontare l’onda d’urto della sfiducia pubblica, oltre a quella — molto più concreta — dei colpi, degli sputi, delle minacce.

La verità è semplice: senza tutela, senza vigilanza, senza personale sufficiente, senza misure immediate e reali, la prossima aggressione non sarà un’eccezione. Sarà solo la prossima della lista.
E il rischio, sempre più concreto, è che un giorno quella lista non si chiuda con una prognosi, ma con un necrologio.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori