Immaginate una dispensa in cui le date di scadenza svaniscono, sostituite da un generico «valido fino a nuovo avviso». Ora spostate questa immagine nel mondo dei pesticidi che finiscono nei campi, nell’acqua, nell’aria e, alla fine, nel nostro corpo. È lo scenario che si profila con l’ultimo strumento di semplificazione che la Commissione europea vuole introdurre: un regolamento “omnibus” capace di ritoccare con un solo atto intere porzioni della normativa su sostanze chimiche e sicurezza alimentare. Una scorciatoia amministrativa che, nella sua versione preliminare, cancellerebbe la revisione periodica delle sostanze attive, trasformando autorizzazioni a termine in permessi potenzialmente permanenti. Un cambio radicale, quasi silenzioso, che molti scienziati e organizzazioni considerano un arretramento storico.
Nella grammatica di Bruxelles, un omnibus è uno strumento che consente di modificare più regolamenti contemporaneamente in nome della “semplificazione”. Il 2025 ne è disseminato: agricoltura, prodotti chimici, procedure amministrative. Si tratta di un processo politico orchestrato dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen, impegnata a rispondere alla pressione crescente di imprese e Stati membri verso una deregulation presentata come cura miracolosa per competitività e burocrazia. Il pacchetto su alimenti e mangimi — atteso a metà dicembre — si inserisce in questo disegno, agendo però sul cuore della tutela pubblica: il sistema che autorizza, rinnova o ritira i pesticidi nell’Unione.
Il regolamento chiave, il 1107/2009, prevede approvazioni limitate nel tempo: dieci anni per la maggior parte delle sostanze, quindici per quelle a “basso rischio”. Una scadenza che funziona come metronomo: costringe a rivalutare i profili tossicologici alla luce delle conoscenze più aggiornate. L’“omnibus” mira invece a spegnere l’interruttore, cancellando la scadenza come regola generale e sostituendola con revisioni selettive, “a campione”, decise dalla Commissione e dagli Stati membri. Una flessibilità che sulla carta taglia costi e pastoie amministrative — oltre un miliardo di euro risparmiati entro il 2029, secondo le stime interne — ma che, nella pratica, rischia di azzoppare l’unico meccanismo che negli ultimi anni ha permesso all’UE di individuare e rimuovere sostanze problematiche.
A guidare il dossier è Olivér Várhelyi, commissario alla Salute dal 1° dicembre 2024. Ufficialmente il suo mandato integra sanità, ambiente e sicurezza alimentare. Nella sostanza, si sta muovendo lungo una rotta diversa: meno centralità al principio di precauzione, più enfasi sulla “competitività”. Una scelta che ha acceso proteste diffuse. Il 1° dicembre 2025, su Le Monde, è comparsa una tribuna firmata da 114 organizzazioni, coordinate da Générations Futures, con una richiesta netta: ritirare la proposta. La critica è semplice e durissima: togliere la revisione periodica significa togliere l’unico momento in cui la scienza indipendente può riallineare le autorizzazioni alla realtà dei rischi.

Gli ultimi anni offrono esempi che parlano da soli. Il neurotossico clorpirifos è stato eliminato dopo che l’EFSA ha evidenziato preoccupazioni per lo sviluppo neurologico nei bambini. Il fungicida mancozeb è stato vietato perché classificato come perturbatore endocrino. L’erbicida clorotalonil è stato ritirato a causa della contaminazione delle falde da metaboliti imprevisti. Tutti casi in cui la revisione temporizzata ha permesso di intervenire prima che gli effetti si radicassero nell’ambiente e nella catena alimentare. Senza scadenza, gran parte di queste sostanze avrebbe continuato a circolare indisturbata.
L’“omnibus” ridisegna l’ecosistema regolatorio in tre mosse: autorizzazioni illimitate per la maggior parte delle sostanze; revisione periodica solo per i candidati alla sostituzione; snellimento delle autorizzazioni nazionali con maggiore ricorso al riconoscimento reciproco. L’industria applaude: meno burocrazia, più investimenti sull’innovazione. Ma è un assunto fragile. Senza l’obbligo del rinnovo, la pressione a sviluppare alternative realmente più sicure diminuisce. È un paradosso noto: un regolatore meno severo non favorisce il meglio, ma prolunga la vita del “sufficiente”.
Il contesto politico spiega molto. Dopo il naufragio del regolamento SUR — che avrebbe dovuto dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030 — e dopo l’ondata di semplificazioni nella PAC, la maggioranza europea ha scelto un’agenda meno verde e più permissiva. Anche la promessa di séverité verso le importazioni trattate con pesticidi proibiti in Europa si scontra con un dato elementare: non si può chiedere agli altri ciò che si indebolisce al proprio interno.
Il ruolo della comunità scientifica è cruciale. Le richieste arrivate alla Commissione sono lineari: mantenere la revisione sistematica per tutte le sostanze; garantire che ogni semplificazione non si traduca in un abbassamento degli standard; proteggere lo spazio della scienza indipendente nei dossier. È una difesa del principio di precauzione, non un feticcio burocratico. Il diritto europeo è costruito su questo equilibrio: autorizzazioni limitate nel tempo che si aggiornano con il progredire delle conoscenze, per evitare “cristallizzazioni” regolatorie che il mercato non ha interesse a scalfire.
La Commissione discuterà il testo a metà dicembre. Il Parlamento e il Consiglio dovranno decidere se l’Europa vuole un’agricoltura regolata dalla scienza o un mercato regolato dalla fretta. È una scelta che supera la tecnica e sfiora la fiducia collettiva: perché la sicurezza alimentare non è mai un tema neutrale. Riguarda l’acqua che scorre nelle nostre case, i campi che attraversiamo ogni giorno e la credibilità di un sistema che, senza revisione, rischia di spegnere anche la sua ultima spia d’allarme.