Cerca

Attualità

Santissima Annunziata. “Rinascita cattolica” senza prete: Don Teisa fuori, rette alle stelle e caos

Da ISSA a IESS, da La Risposta a Coros: promessa tradita sulle rette, personale nel limbo, segreteria paralizzata e famiglie sull’orlo della fuga. A Rivarolo, la “scuola di comunità” comincia senza comunità e senza coerenza.

Santissima Annunziata. “Rinascita cattolica” senza prete: Don Teisa fuori, rette alle stelle e caos

Santissima Annunziata. “Rinascita cattolica” senza prete: Don Teisa fuori, rette alle stelle e caos

Da ISSA a IESS, da La Risposta a Coros: cambiano i nomi, cambiano le parole, ma i problemi restano sempre gli stessi. E forse anche più grossi. Alla Santissima Annunziata di Rivarolo, quella che doveva essere la grande “rinascita educativa” si è trasformata in un pasticcio amministrativo condito da promesse smentite, famiglie spiazzate e personale sospeso tra due gestioni. Doveva essere la svolta, l’inizio di un nuovo percorso, con al centro “valori, comunità e spiritualità”. Invece è arrivato il solito copione: rette raddoppiate, segreterie paralizzate e lavoratori lasciati a casa.

Si era detto che i nuovi gestori — chiunque essi fossero, e oggi si sa che è Coros Scuole Impresa Sociale — non avrebbero modificato le rette. Una frase che oggi suona come un brutto scherzo. Perché alla prima riunione con i genitori è arrivata la doccia fredda dei numeri: 300 euro in più per il riscaldamento, più 5,60 euro a pasto per la mensa. In totale, circa 1.500 euro di rincaro all’anno per bambino, praticamente il doppio rispetto alle condizioni precedenti.
“Le rette non cambieranno”, avevano detto. E in effetti è vero: non sono cambiate, sono esplose.

Il clima attorno alla scuola è teso, e non solo per motivi economici. Lo si è percepito alla conferenza stampa di presentazione di Coros. Si è parlato di “comunità educativa” e “visione condivisa”, peccato che fuori dai cancelli si sia consumato contemporaneamente un piccolo dramma lavorativo. I dipendenti della cooperativa La Risposta, non formalmente licenziati ma nemmeno riconfermati, si sono presentati regolarmente al lavoro come ogni giorno. E come ogni giorno hanno timbrato il cartellino. Ma questa volta, invece di entrare in classe, sono stati invitati con garbo a tornarsene a casa. Niente contratto, niente spiegazioni, solo l’invito a “pazientare”.
Nel frattempo, chi dovrebbe essere assunto da Coros attende ancora i documenti ufficiali per l’assunzione: sulla carta è personale della nuova gestione, nella realtà no.

scuola

Intanto, la segreteria è completamente ferma. La cooperativa uscente ha trattenuto computer, registri e materiali amministrativi, ufficialmente per “questioni contabili”. Ma senza strumenti la macchina scolastica si è inceppata. Nonostante ciò, Coros utilizza tutte le attrezzature della vecchia gestione: banchi, sedie, lavagne, mobilio, perfino gli archivi cartacei.
E proprio lì si apre un’altra voragine: tra quei faldoni ci sarebbero documenti riservati, coperti da norme sulla privacy, che formalmente non dovrebbero nemmeno trovarsi nelle mani della nuova gestione. Nessuno chiarisce nulla, ma intanto si lavora, si insegna, si accede a materiali di cui non si conosce più nemmeno la titolarità. Se questa è la “continuità educativa” promessa, c’è da chiedersi quale fosse l’alternativa.

Poi c’è la parte spirituale, quella che Coros ha promesso di “rafforzare”. Solo che il primo segnale di questa “rinascita cattolica” è stato non confermare Don Stefano Teisa, storico riferimento religioso dell’istituto. Giusto per coerenza, evidentemente.
La linea spirituale è salva, il prete no.
E in pieno stile La Risposta, restano a casa i docenti abilitati, mentre vengono confermati o richiamati insegnanti non titolati. Nessuna discontinuità con la gestione precedente: cambia solo la carta intestata, il resto è la solita solfa di promesse, santini e stipendi sospesi.

Nel frattempo, la cooperativa La Risposta si avvia verso la liquidazione. Si parla di oltre 700 mila euro di debiti, quasi un milione di patrimonio bruciato in due anni, 300 studenti persi e 50 posti di lavoro svaniti nel nulla. Numeri che basterebbero da soli a descrivere il disastro. Ma ora, al posto dei bilanci in rosso, ci sono rette gonfiate e una nuova forma di fede – quella finanziaria, non religiosa – necessaria per credere alle promesse dei nuovi gestori.

E mentre Coros proclama “un nuovo inizio”, c’è chi fa i conti veri: le famiglie. Molti genitori, stremati dai rincari e dalla confusione, stanno guardando altrove. E qui entra in gioco l’asilo comunale Farina. È una struttura pubblica, comunale, che garantisce rette più sostenibili e servizi chiari. Oggi al Farina restano solo una ventina di posti disponibili, e si capisce bene perché: sarà lì che finiranno i genitori che non accetteranno le nuove condizioni imposte da Coros. Una piccola isola di normalità davanti a una nave che affonda.

Il paradosso resta: mentre dentro si parla di “valori”, “vocazione” e “progetto educativo”, fuori regna la rabbia e la disillusione. I lavoratori si sentono traditi, le famiglie prese in giro, i bambini trattati come numeri di bilancio. Le parole altisonanti della conferenza stampa – “scuola cattolica di comunità”, “visione a lungo termine”, “parità da riconquistare” – sembrano già vecchie e ingiallite.

Alla fine, di questa “nuova era” resta solo l’amaro in bocca. IESS doveva rappresentare la rinascita dell’ex ISSA, ma a Rivarolo la battuta ormai circola da giorni: “Iess? Sembra più un sospiro che un acronimo.” E in effetti lo è: un lungo sospiro di delusione, di chi ha creduto ancora una volta alle parole e si ritrova con le bollette in mano.
Perché alla Santissima Annunziata, oggi, l’unica cosa davvero spirituale è la pazienza. Tutto il resto è burocrazia, debiti e finta devozione.

Fuori il prete

Altro che “rinascita cattolica”. Qui siamo alla barzelletta, ma di quelle che non fanno ridere nessuno. Perché a Rivarolo, alla Santissima Annunziata, l’hanno capito tutti: quando una scuola parla troppo di “valori” è perché li ha finiti. E infatti, il nuovo corso firmato Coros si apre così: fuori il prete, dentro le bollette. Un segno dei tempi, dicono. Ma non del Vangelo.

C’è qualcosa di sinistramente ironico in una gestione che annuncia di voler “rafforzare l’impronta cattolica” e poi la prima cosa che fa è non confermare Don Stefano Teisa, il sacerdote che per anni ha dato senso a quella scuola più di qualsiasi circolare ministeriale. Evidentemente, tra le righe del progetto educativo, qualcuno ha deciso che la fede è utile solo per fare scena, non per disturbare. Il parroco non serve più, serve l’immagine, il logo, la “visione a lungo termine”. E magari un bel contributo aggiuntivo di 300 euro per il riscaldamento, tanto per scaldare gli animi.

Ma sì, togliamo il prete e teniamo i santini. Anzi, facciamone gadget da ufficio stampa. E mentre si celebra il rito della “comunità educativa”, fuori ci sono insegnanti lasciati a casa, segreterie che non funzionano e famiglie che si chiedono quanto ancora dovranno pagare per una fede che ormai ha solo la firma digitale.
Perché qui di religioso è rimasto solo il tono con cui si recitano le promesse: “le rette non cambieranno”, “sarà una nuova era”, “stiamo costruendo insieme”. Amen.

La verità è che la Santissima Annunziata è diventata la metafora perfetta di un certo modo tutto italiano di intendere la “gestione cattolica”: morale a parole, ragionieristica nei fatti. Si parla di comunità, ma si seleziona chi può permettersela. Si cita Dio, ma si guarda al bilancio. E la cosa più grave è che tutto questo accade in silenzio della Diocesi di Ivrea, con quella compostezza ipocrita che accompagna sempre i fallimenti travestiti da resurrezioni.

Perché questa non è una rinascita: è una trasfigurazione contabile. Un’operazione cosmetica che usa la religione come cornice e la parola “educazione” come scudo.

Il paradosso è quasi teologico: si parla di “scuola cattolica di comunità” e si lascia a casa un prete. Si invoca la provvidenza e si chiede un bonifico. Si cita il Vangelo e si dimentica la coerenza.
È la nuova pastorale dell’Excel: Gesù moltiplicava i pani e i pesci, qui moltiplicano le rate.

E allora sì, via il prete, ma restino pure le bollette. Perché alla Santissima Annunziata, oggi, la fede non salva più: costa. E chi non può permettersela, può sempre provare a iscrivere il figlio altrove — magari in una scuola laica, ma almeno sincera.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori