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Attualià
27 Agosto 2025 - 11:01
Il conto alla rovescia per il ritorno a scuola in Piemonte è già iniziato: il 10 settembre le aule torneranno a riempirsi di studenti. Ma mentre famiglie e insegnanti si preparano al nuovo anno, la vera notizia che scuote il mondo dell’istruzione arriva dai tribunali amministrativi. Una nuova sentenza del Tar Lazio ha infatti confermato la linea tracciata pochi mesi fa dal Consiglio di Stato, ribadendo un principio fondamentale: le scuole di montagna non possono essere chiuse o accorpate se non in casi del tutto eccezionali.
Il ricorso accolto dal Tar riguarda i Comuni di Torricella in Sabina e di Rocca Sinibalda, che si opponevano al piano di riorganizzazione scolastica elaborato dalla Regione Lazio e dal Ministero, che prevedeva l’aggregazione dell’Istituto comprensivo Marco Polo (292 alunni) a quello di Poggio Moiano, che ne conta 860. I giudici amministrativi hanno dato ragione agli enti locali, sottolineando che la Regione non aveva motivato i criteri di individuazione delle scuole da accorpare né coinvolto adeguatamente i territori.
Si tratta di una decisione di peso, perché arriva dopo la storica sentenza n. 2202 del Consiglio di Stato del maggio 2025, che aveva già sancito come la chiusura degli istituti montani possa avvenire solo in situazioni del tutto straordinarie. Il Tar ha dunque rafforzato quell’impostazione, consolidando un orientamento che rischia di cambiare radicalmente la gestione della rete scolastica in Italia.
Uncem, l’Unione nazionale dei Comuni montani, ha accolto positivamente il pronunciamento, evidenziando come la vicenda confermi un dato di fatto: la scuola non può diventare una materia da risolvere nei tribunali. "Non è la giustizia a dover affrontare la questione — ribadisce l’associazione — ma la politica".
Il riferimento è alla legge 158 del 2017 sui piccoli Comuni, che già stabiliva la necessità di tutelare le istituzioni scolastiche nelle aree montane, insulari e caratterizzate da minoranze linguistiche. Uncem chiede al ministro Giuseppe Valditara di aprire finalmente un confronto serio, che non si limiti a tagli o calcoli di numeri e risorse, ma che avvii una vera pianificazione per la scuola di domani nelle Alpi e negli Appennini.
Il Ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara
La questione è tutt’altro che astratta. In Piemonte, come in molte altre regioni, le comunità montane vivono ogni settembre con l’incubo di perdere il proprio plesso. Chiudere una scuola significa costringere bambini a lunghi viaggi, famiglie a considerare il trasferimento in città, interi paesi a rischiare lo spopolamento. La scuola è un presidio di coesione sociale, e la sua sopravvivenza è cruciale quanto quella di un ufficio postale o di un ambulatorio medico.
La sentenza del Tar non è quindi solo un pronunciamento giuridico, ma un segnale politico forte: il diritto all’istruzione deve essere garantito ovunque, anche nelle valli più isolate. L’Italia delle montagne non può essere sacrificata sull’altare dell’efficienza burocratica.
Così, mentre in Piemonte il 10 settembre le campanelle segneranno l’inizio del nuovo anno, la decisione dei giudici offre una speranza in più alle comunità delle borgate alpine: quella che la scuola resti un punto fermo, nonostante tutto. Ora la palla passa alla politica, chiamata a trasformare questo orientamento in una strategia duratura, per evitare che ogni autunno la sopravvivenza di una scuola diventi questione di carte bollate.
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