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Bagno distrutto, lavori fermi e vita d’inferno: Maddalena prigioniera nel degrado di vicolo dell’Ospedale 9

Dopo la denuncia del 1° agosto il Comune corre ai ripari, partono i lavori, poi lo stop: da giorni un cantiere abbandonato lascia una donna di 62 anni senza bagno, tra muffe, infiltrazioni e impianti elettrici pericolosi. L’alloggio è di proprietà comunale ma gestito da ATC: promesse, rinvii e la dignità calpestata

Bagno distrutto, lavori fermi e vita d’inferno: Maddalena prigioniera nel degrado di vicolo dell’Ospedale 9

Bagno distrutto, lavori fermi e vita d’inferno: Maddalena prigioniera nel degrado di vicolo dell’Ospedale 9

Avevamo raccontato la sua storia il 1° agosto. Dopo quell’articolo, come spesso accade quando c’è da correre ai ripari per salvare la faccia, la macchina comunale si è mossa con una rapidità insolita. Quasi di corsa, quasi a dimostrare che la burocrazia, quando è pungolata dall’opinione pubblica, sa improvvisamente accelerare. Sono andati da Maddalena Perri, hanno fatto sopralluoghi, hanno garantito che questa volta sì, sarebbe stata la volta buona. Parole ferme, rassicurazioni, sorrisi di circostanza. E, a pochi ore di distanza, sono arrivati anche gli operai: finalmente i lavori per rifare il bagno sono partiti.

Bene. Ottimo. Bravi. Sembrava il preludio di una storia a lieto fine. Ma la favola, come tutte le favole, quando incontra la realtà, è durata poco.

calce

camera

bagno

Dall’8 agosto il cantiere è fermo. Le foto scattate proprio quel giorno raccontano più di mille comunicati: un bagno completamente sventrato, piastrelle divelte, sacchi di calce in camera da letto, doccia inesistente, sanitari smontati, tubi a vista. Una stanza trasformata in un deserto di calcinacci, lasciata così, a metà. E tutto questo nel mese più caldo dell’anno, mentre il termometro segna temperature record.

Ce lo posiamo dire che vivere senza un bagno funzionante, in quelle condizioni, equivale a subire una tortura quotidiana.

Eppure hanno avuto il coraggio di lasciare Maddalena così: senza servizi, senza doccia, senza dignità.

Una donna di 62 anni, operatrice socio sanitaria all’ospedale di Ivrea, costretta a tornare a casa dopo i turni e a sopravvivere in un appartamento che chiamare “casa” è un atto di coraggio. 

Maddalena Perri vive — o meglio, sopravvive — in un alloggio popolare al primo piano del civico 9 di vicolo dell’Ospedale, in pieno centro storico di Ivrea, a due passi da via Arduino.

Sulla carta, un palazzo che dovrebbe garantire decoro. Nella realtà, un concentrato di degrado. L’appartamento è di proprietà del Comune, ma la gestione è affidata all’ATC. 

Muffe, infiltrazioni, cavi elettrici fuori norma: la sua odissea non è cominciata adesso, ma va avanti da anni. Solo che ora ha toccato il fondo.

Il paradosso, quasi grottesco, è che a un certo punto qualcuno ha persino ventilato l’ipotesi di dichiarare l’alloggio inagibile. 

Tradotto: lo sgombero come soluzione, invece della manutenzione. Ma Maddalena non ci sta. 

«Col cavolo che me ne vado via da qui. Vivo in questa situazione da anni… Avevo chiesto di essere trasferita al piano di sopra, ma mi hanno detto che c’era una stanza in più e quell’alloggio lo hanno assegnato a un altro. Ora resto qui e devono finire quel che hanno cominciato. Il bagno, i cavi elettrici, le muffe, le infiltrazioni. Mi devono rimettere a posto a casa. Mi hanno promesso che torneranno a settembre. Mi han detto che ad agosto i muratori sono in ferie. Ti fidi tu?»

Le sue parole, pronunciate con la stanchezza di chi non ha più fiato, sono la fotografia esatta di una vicenda che mescola rassegnazione e rabbia.

Maddalena piange al telefono, si sente abbandonata, ingannata, persino presa in giro. «Cosa devo fare? Rivolgermi agli avvocati? Come si fa a lasciare una cittadina in questa situazione da incubo?».

Eppure, ciò che chiede non è molto. Vuole poco dalla vita: la tranquillità, la salute, un lavoro dignitoso, e soprattutto un tetto che non faccia acqua da tutte le parti. È proprio quest’ultimo, il diritto fondamentale a una casa sicura, che lo Stato, nelle sue mille sigle — Comune, ATC, ufficio igiene, uffici tecnici — continua a calpestare con una puntualità che ha del comico, se non fosse tragico. Una sinfonia stonata in cui nessuno sa cosa suonano gli altri.

Non è la prima volta che denunciamo la sua situazione. Nel 2022 Maddalena raccontava già tutto: infiltrazioni d’acqua che colavano dai muri, muffe nere come catrame, aria irrespirabile. «L’acqua mi scende giù dai muri, entra dai pavimenti, passa dal terrazzo che non è coibentato. Un disastro», diceva allora. Ma la risposta fu il solito teatrino: il Comune rimandava all’ATC, l’ATC rimandava al Comune. Decine, forse centinaia di telefonate rimaste senza risposta. Un copione noto, la burocrazia che alza muri più alti di quelli di cemento.

Oggi, tre anni dopo, nulla è cambiato. Anzi, la situazione è persino peggiorata. Le immagini lo mostrano senza bisogno di commenti: muffa nera che divora le pareti, intonaco gonfio e spaccato, acqua che filtra dalle tubature e forma chiazze marroni e bianche. Umidità che si insinua ovunque. In mezzo a tutto questo, Maddalena costretta a vivere con bacinelle per raccogliere l’acqua piovana, come se fosse in una baracca di fortuna.

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E poi gli impianti elettrici: prese non a norma e cavi elettrici da 1,5 anziché 2,5 che fanno scintille, prolunghe che attraversano stanze e corridoi per collegare gli elettrodomestici. Scene da incubo, rischio costante. Una di quelle condizioni che nei documentari si chiamano “disagio abitativo estremo”. Basterebbero da sole, le prolunghe infilate sotto le porte, a rendere l’alloggio inabitabile. Ma invece, tutto tace. Tutto resta com’è. Come se fosse normale che una cittadina rischi un corto circuito ogni volta che accende la lavatrice.

Un paio di volte, racconta Maddalena, sono venuti a fare dei lavori. «Alla cavolo di cane», dice senza giri di parole. «Non hanno risolto nulla. Continuo a pulire muffe e a raccogliere la farina bianca del muro che cade per terra. Ho scritto all’ufficio igiene due mesi fa e da allora ho continuato a tempestarli…». 

Due sopralluoghi li ha fatti anche il sindaco Matteo Chiantore: una volta si è presentato persino con un geometra.  

Promesse. Silenzi. Rinvii. Il nulla mascherato da buona volontà.

Intanto, l’umidità continua a salire. Le muffe si riformano ogni settimana, anche quando Maddalena le gratta via con pazienza. I muri si sgretolano, il pavimento inizia a sollevarsi. L’acqua filtra dalla cucina, dal bagno, da ovunque. Nessuno ha mai pensato di rifare l’impermeabilizzazione del terrazzo. Nessuno ha mai messo in sicurezza gli impianti. Nessuno ha mai risposto davvero alle segnalazioni, se non con qualche visita improvvisata, finita nel nulla.

Così Maddalena resta lì, nella sua casa che cade a pezzi. E ci resta non perché non vorrebbe andarsene, ma perché con uno stipendio da OSS ogni altra sistemazione sarebbe fuori dalla sua portata.

La sintesi è brutale: un bagno demolito e abbandonato, muri che grondano acqua, impianti elettrici che fanno paura, una donna ignorata, un Comune proprietario che non si gira dall’altra ma non è sufficientemente attento alla dignità delle persone e un’ATC gestore che se ne è sempre fottuto.

Il calvario di Maddalena non è finito. Anzi, sembra appena ricominciato.

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