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Miracolo alle Molinette: trapianto extra-anatomico ridà vita a una giovane fan di Jovanotti

L’intervento, durato 14 ore, ha visto lavorare fianco a fianco chirurghi, anestesisti, cardiochirurghi e perfusionisti

Miracolo alle Molinette: trapianto extra-anatomico ridà vita a una giovane fan di Jovanotti

Nessuno dei “canali” era più utilizzabile. Nessun punto dove “attaccare” il nuovo fegato. Eppure, la vita ha trovato la sua strada. In una sala operatoria della Città della Salute e della Scienza di Torino, un’équipe multidisciplinare ha compiuto un vero capolavoro di chirurgia: un trapianto di fegato con tecnica completamente extra-anatomica, mai eseguito prima d’ora. Così è stata salvata una ragazza di appena 21 anni, affetta da una grave patologia congenita al fegato. Oggi sorride, e si gode il suo recupero post-operatorio con in cuffia – dicono – le canzoni del suo idolo, Jovanotti, in concerto proprio in questi giorni a Torino.

Una storia che è già pagina di medicina, di ingegno umano, di tenacia clinica. Ma anche una storia di gratitudine verso un donatore anonimo, un ragazzo deceduto tragicamente altrove, che ha permesso – con un gesto silenzioso – un intervento al limite dell’impossibile.

Una vita tra ospedali e speranza

La ragazza era nata con atresia delle vie biliari, una grave malformazione che impedisce al fegato di drenare la bile. A meno di sei mesi aveva già ricevuto il suo primo trapianto di fegato alle Molinette, sotto la guida del professor Mauro Salizzoni, pioniere dei trapianti in Italia. Ma presto era arrivata la prima complicazione: il blocco della vena porta, uno dei tre fondamentali “canali” che permettono il funzionamento del fegato. Un secondo intervento correttivo all’età di un anno non aveva risolto il problema, ma il fegato aveva continuato a funzionare, seppur con fatica.

Con la crescita, però, le infezioni biliari si sono fatte sempre più frequenti, fino a trasformarsi in cirrosi. Quando anche la via biliare e la vena porta erano ormai compromesse, l’unica possibilità era un secondo trapianto, e in fretta. Ma con quei “collegamenti” inutilizzabili, sembrava non esserci via d’uscita chirurgica.

La svolta è arrivata con una segnalazione del Centro Nazionale Trapianti, diretto da Giuseppe Feltrin: un fegato disponibile, compatibile, donato da un ragazzo deceduto in un’altra regione. La notizia è arrivata a Torino, al Centro Regionale Trapianti guidato dal dottor Federico Genzano, e da lì al professor Renato Romagnoli, direttore del Dipartimento Trapianti della Città della Salute.

Il dottor Davide Cussa, membro dell’équipe, si è occupato del prelievo dell’organo. A Torino, intanto, si preparava un intervento chirurgico mai tentato prima, con una sola certezza: non esistevano i collegamenti anatomici classici per inserire il nuovo fegato.

Una volta rimosso l’organo malato, la sfida era tecnica e visionaria insieme. I chirurghi hanno collegato l’aorta addominale direttamente all’arteria del nuovo fegato, aggirando l’arteria epatica. E poi, la parte più ardita: per sostituire la vena porta, è stata usata una "trasposizione cavo-portale". Tradotto: la vena cava inferiore della paziente è stata unita alla vena porta del fegato donato. Una soluzione resa possibile grazie alla presenza di circoli collaterali sviluppati nel tempo dal suo organismo.

Infine, la via biliare è stata collegata direttamente a un tratto dell’intestino. Il nuovo fegato ha iniziato a funzionare immediatamente.

L’intervento – durato 14 ore – è stato eseguito dal professor Romagnoli con la sua équipe chirurgica, supportato dagli anestesisti dell’Anestesia e Rianimazione 2 (diretta dal dottor Maurizio Berardino), dalla Cardiochirurgia del professor Mauro Rinaldi e dai tecnici perfusionisti. In una fase critica, è stata utilizzata per circa 80 minuti una macchina extra-corporea per garantire la circolazione sanguigna.

Dopo cinque giorni in terapia intensiva, la giovane paziente è stata trasferita in semintensiva chirurgica, sotto il monitoraggio del team trapiantologico. Sta bene. Sorride. Recupera.

«Una grande azienda ospedaliera-universitaria come la nostra – ha commentato il commissario straordinario Thomas Schael – ha dimostrato ancora una volta di saper affrontare la complessità estrema, grazie alla collaborazione tra specialisti di altissimo livello. Un esempio concreto di ciò che sarà anche il futuro Parco della Salute».

«Il Piemonte – ha aggiunto l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi – conferma il proprio ruolo di eccellenza in campo trapiantologico, anche grazie alla generosità di chi sceglie di donare gli organi. Senza quel gesto, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile».

Il caso è destinato a diventare scuola per la comunità medica internazionale. Non solo per la tecnica, mai descritta in precedenza, ma per l’approccio: trasformare l’impossibile in realtà. Fare rete, costruire soluzioni su misura quando la medicina di manuale non basta più. E soprattutto, dare una seconda possibilità a chi non sembrava averne.

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