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26 Aprile 2024 - 17:11
Giovedì 25 aprile (giorno scelto non a caso) è uscito il primo singolo del nuovo album "Sula riva del fiume" di Willie Peyote, artista canavesano originario di Leinì. La canzone si intitola “Giorgia nel Paese che si meraviglia”, la storia di un amore mai finito per davvero, quello tra un pezzo dell’Italia e il fascismo.
"Questa è la storia - scrive Peyote su Instagram - di un amore mai veramente finito: quello tra una parte d'Italia e il fa$cismo. Come quando due ex fidanzati si rincontrano dopo tanto tempo, basta una scintilla per rianimare la fiamma (rigorosamente tricolore) e farla tornare ad ardere come allora. A sto giro la scintilla è una donna, madre e cristiana.
Questa è "Giorgia nel Paese che si meraviglia". Buon 25 aprile. Sempre".
Nel video della canzone, pubblicato su tutti i social in occasione della festa della liberazione, la premier viene raffigurata come una nostalgica del fascismo. Alcune strofe: "E mi saluti con la mano dеstra", "Sogno altri vent'anni insieme (in riferimento al ventennio fascista, ndr)" lasciano spazio a ben poche interpretazioni. Nel videoclip, poi, compare anche Benito Mussolini per completare il quadro del racconto del rapper canavesano.
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Che sorpresa rincontrarti a caso
C'ho sperato, ma non ci pensavo più
Un minuto dopo già ti amo
Come se non fosse mai cambiato
Non hai testa
E se è reciproco, non mi interessa
E mi trasformi, sento il cuore a destra
Sei una voragine che ora si apre dentro di me (Oh-oh-oh)
Tanto il tempo non può cancellare
Torna tutto come mi hai insegnato tu
Tu che hai sempre detto: "Pane al pane"
Ma è per questo che mi hai conquistato
Che sei onesta
E sei un tutt'uno, la Bella e la Bestia
E mi saluti con la mano dеstra
Sei una voragine perché sеnza di te mi sento fragile
[Ritornello]
Sogno altri vent'anni insieme
Ho troppa nostalgia di quei sapori forti
E le cose di una volta
Quanti bei ricordi, il passato è una bugia
Ma ce lo raccontiamo, altri vent'anni insieme
Ora che sei mia
Mi tiri fuori il peggio, e ora mi riconosco
Io torno me stesso, e il resto è una bugia
Questo amore è una bugia
(Questo amore è una bugia)
Dimmi un'altra bugia
(Dimmi un'altra bugia)
Credo ad ogni tua bugia
[Intermezzo]
Ritorneremo, prima o dopo (Basta)
[Strofa 2]
Ho fatto finta di essere cambiato
Più tranquillo, di aver moderato un po'
Di nascosto io ti ho sempre amato
Non l'ho detto, prima era vietato
Ma ora è festa e sei tornata finalmente, resta
Tra i saluti con la mano destra
Non sono l'unico, guarda che pubblico, sono il tuo pungiball
[Ritornello]
Sogno altri vent'anni insieme
Ho troppa nostalgia di quei sapori forti
E le cose di una volta
Quanti bei ricordi, il passato è una bugia
Ma ce lo raccontiamo, altri vent'anni insieme
Ora che sei mia
Mi tiri fuori il peggio, e ora mi riconosco
Io torno me stesso, e il resto è una bugia
Questo amore è una bugia
(Questo amore è una bugia)
Dimmi un'altra bugia
(Dimmi un'altra bugia)
Credo ad ogni tua bugia
(Credo ad ogni tua bugia)
Questo amore è una bugia
(Questo amore è una bugia)
Credo ad ogni tua bugia
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Il rapper Willie Peyote, nome d’arte di Guglielmo Bruno, 37 anni, originario di Leini (è il nipote della vice sindaca Cristina Bruno), è comparso alcuni mesi fa in tribunale a Torino come testimone, chiamato dalla difesa, al processo contro Askatasuna, che vede alcuni attivisti imputati di associazione per delinquere.
Prima di lui, su quel banco è passato nientemeno che Zerocalcare, anche lui chiamato a deporre dagli avvocati difensori.
Gugliemo Bruno, rispondendo all’avvocato Roberto Lamacchia non ha negato di avere avuto rapporti con il centro sociale: “L’ho frequentato come ascoltatore di concerti. Poi mi è capitato di suonarci, senza mai percepire un compenso, e, in seguito, di partecipare a qualche incontro dedicato a temi sociali al quale ero invitato come esponente artistico torinese. A volte ci passavo semplicemente per una birra”.
Nel 2022, dopo la sua partecipazione a Sanremo, Willie Peyote fu una delle star di un ‘concertone’ non autorizzato di Askatasuna e venne denunciato, insieme ad altri 36 individui, per aver violato la diffida del questore. Con lui, nell’elenco, anche Madaski, Bandakadabra, Zuli, Errico Canta Male e Mauràs. Qualche tempo fa aveva anche partecipato al Festival Alta Felicità in Valle di Susa, sempre a titolo gratuito.
E se nel 2020 si è presentato al presidio permanente dei Mulini in val Clarea “per portare solidarietà alla resistenza”, nel 2022, durante il concerto di capodanno, a Torino, ha polemizzato contro la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
“In questi mesi, a settembre in particolare, abbiamo bestemmiato molto. Ora questa canzone la dedico a Giorgia”.
Impossibile non cogliere il riferimento alla Presidente del Consiglio, la canzone in questione si intitola “Io non sono razzista ma” e distrugge, pezzo dopo pezzo, tutte le idee del centrodestra in tema di immigrazione.
Nel ritornello arriva l’affondo: “Chi dice io non sono un razzista ma E’ un razzista ma non lo sa”.
Ma su Peyote c’è anche dell’altro da raccontare.
Il cantautore, infatti, negli spazi che un tempo ospitavano il club Alcatraz, sotto le arcate dei Murazzi, la scorsa estate ha inaugurato un locale insieme all’ex deputato Pippo Civati. Si chiama «Capodoglio».
Tutti e due si si occuperanno della direzione artistica che spazierà dai dj set ai concerti, dagli spettacoli teatrali alle stand up comedy, offrendo aperitivi cene e inserendo anche presentazioni di libri, talk e la registrazione di podcast direttamente dal palco. Nel periodo estivo il locale sarà aperto tutti i giorni dalle 18 fino a tarda notte.
Per noi tutti è Willie Peyote, per gli amici è “Gugi”. Per mamma e papà sarà sempre Guglielmo. Le radici del rapper-cantautore che ha stupito, nel 2021, l’Italia sul palco di Sanremo, portandosi a casa il premio della critica per il brano “Mai dire mai (La Locura)”, sono in una villetta di via Volpiano a Leini. Vi abitano due 59enni, Oscar Bruno e Michela Guaraglia: i genitori di Willie Peyote.
Oscar passa l’infanzia a Torino, in Barriera di Milano, e nel ’70 si trasferisce a Leini con la sua famiglia. Michela nasce e cresce nel biellese. I due s’incontrano, si conoscono, s’innamorano. Si sposano e prendono casa, lì dove sono ancora oggi. Nasce Guglielmo, nascono le sorelle Camilla (futura mamma di Margherita e Matilde) e Cecilia. Sotto a quel tetto c’è qualcosa che non manca mai: la musica. Quella suonata, innanzitutto. «L’amore per la musica, nella mia famiglia, è stato tramandato di padre in figlio – racconta Oscar -. Mio padre suonava la fisarmonica, io ho sempre suonato la batteria, fin da ragazzo, poi è toccato a Guglielmo. Anche Michela suona, il pianoforte». Con le bacchette in mano, Oscar nel corso degli anni ha fatto parte di diverse formazioni, spesso insieme ad Alex Loggia, chitarrista degli Statuto. Tra le esperienze che ricorda con piacere, quella nei “Mr. Tokyo & The Beat Goes On”. «Ma l’importante per noi era suonare, ci bastava questo, qualunque fossero i compagni di viaggio». Oggi Oscar e Michela suonano insieme, per diletto, nella sala prove che hanno realizzato a casa qualche anno fa.
Nel periodo tra la fine del liceo e l’inizio dell’università (Scienze Politiche indirizzo Studi Internazionali), Guglielmo si avvicinò nuovamente e con più forza la mondo del rap. Fu lì che gli si aprì un mondo. Guglielmo recuperò i classici italiani della “Golden Age”, a partire dai Sangue Misto (Neffa, Deda e Dj Gruff), che poi citerà in molte canzoni, passando per artisti come Frankie hi-nrg e gli Articolo 31, per arrivare ai grandi americani come Notorius Big e Tupac. Così cominciò la lunga gavetta che lo porterà alla consacrazione. Andò a vivere da solo, prima a Leini poi a Torino, e cominciò a lavorare per sopravvivere. Dal call centers alla consegna delle pizze, a bordo della sua Panda. Nel frattempo scriveva e ascoltava. «Nostro figlio capì che voleva fare questo da grande, senza pensare di poter diventare famoso, di fare soldi, ma solo per il gusto di farlo, perché ne aveva bisogno – proseguono i genitori -. Non fu semplice. Il primo disco prodotto da terzi, “Manuale del giovane nichilista”, venne concepito, scritto e praticamente pubblicato autonomamente su una piattaforma internet. Quel disco è ancora oggi il suo manifesto, anche se negli anni ha cambiato un po’ il modo di scrivere».

Il piccolo Guglielmo con mamma Michela e papà Oscar
La gavetta, dicevamo. È stata molto lunga e faticosa. A Torino si avvicinò al collettivo “Funk Shui projet”, col quale pubblico un interessante album dalle sonorità funk e hip hop. Vi faceva parte anche Davide Shorty (anche lui premiato a Sanremo tra le giovani proposte).
Fu ad un concerto di Caparezza che capì quel che voleva dalla vita. «C’erano 20mila persone di svariate età, dai 5 ai 70 anni, tutte prese bene sotto il palco a cantare e ballare. Voleva arrivare a questo senza annacquare la sua musica».
Tassello dopo tassello, Guglielmo cominciò a farsi conoscere nell’ambiente rap. Il primo brano a regalargli grande notorietà fu “Glik”, dedicato a quello che allora era il capitano del Toro. «In quell’anno Glik si fece espellere nei due derby, era un po’ il simbolo del tremendismo granata – sorride Oscar -. Guglielmo scrisse di getto un pezzo idealizzando questa figura proletaria che si sposa molto bene con il Toro, insomma la figura dell’uomo che deve sudarsi la pagnotta, che non ha la pappa pronta. Io conoscevo Giacomo Ferri, team manager del Torino, allora combinammo un incontro alla Sisport nel quale Guglielmo fece ascoltare il pezzo al capitano granata. Glik arrivò in ciabatte e pantaloncini ad ascoltare il pezzo, probabilmente non capì nulla, ma mio figlio uscì dal centro sportivo tutto gasato. Pubblicò il video e poi divenne virale in Polonia, cominciarono a telefonargli dalle tv e dalle radio polacche per intervistarlo. Quello fu il suo primo brano di successo, la curiosità è che nel video c’era anche il suo amico juventino Shade, si sono sempre un po’ presi in giro l’uno con l’altro per la loro fede calcistica differente. L’anno scorso Dazn li ha chiamati tutti e due per commentare i derby da bordo campo, ma Guglielmo mi ha confessato che non ci andrà mai più: da tifoso sfegatato, avrebbe fatto invasione di campo se il massaggiatore non l’avesse tenuto per la giacca. Insomma, alla fine mi ha detto: “Papà, è meglio se me ne sto in curva”».
L’amore per il Toro nacque in famiglia. Guglielmo giocò per diversi anni nella società calcistica leinicese e cominciò a frequentare lo stadio, appassionandosi alla storia granata e soprattutto al capitano Giorgio Ferrini. «Gli piace andare allo stadio perché in quei 90 minuti si creano alchimie con persone che con te hanno solo quella cosa lì in comune, hai un legame di un certo tipo. Un po’ una zona franca dove puoi essere un po’ irrazionale».
Il brano “Glik” entrò a parte del disco “Non è il mio genere, il genere umano”. Poi arrivarono nel 2016 “Educazione Sabauda” e, l’anno successivo, “Sindrome di Tôret”. «Nel 2017 fece un tour da 103 date in 14 mesi, con molti sold out – prosegue Oscar -. Anno dopo anno, disco dopo disco, concerto dopo concerto, Guglielmo è riuscito a costruirsi un seguito importante. “Educazione Sabauda” l’ha portato in giro suonando il basso in qualche pezzo insieme al chitarrista, mentre per il disco successivo si è portato dietro una band di amici. Con “Iodegradabile” ha cominciato a lavorare con musicisti professionisti di alto livello. Insomma alla fine ce l’ha fatta, ha raggiunto l’obiettivo di fare il rap suonato, ma l’ha sudato non poco. A me è sempre piaciuto che facesse questa cose come se non ci fosse un domani, sempre al meglio delle sue possibilità. Nel tempo è cresciuto, ha frequentato persone più brave di lui, si è migliorato. C’è anche un filo conduttore nei suoi testi, nei brani di oggi si possono riconoscere le stesse tematiche che trattava nel 2006 nel “Manuale del giovane nichilista”. È sempre stato molto coerente e autentico nella sua musica».
Caratteristico dei brani di Willie Peyote è l’approccio al sociale, all’antifascismo, a temi “impegnati”, forse prendendo spunto da ciò che il rap rappresentava nei primi anni in quanto a rivendicazione di diritti sociali. Poi è arrivato Sanremo. Un evento importante per Guglielmo ma anche per tutta la sua famiglia, profondamente orgogliosa di vederlo salire sul palco dell’Ariston.
Tra i primi ascoltatori del brano “Mai dire mai (La Locura)”, lo scorso anno, ci sono stati proprio i genitori di Willie. «Da una prima lettura sembra quasi una somma di banalità, di modi di dire, ma non lo sono – sottolinea Oscar -. Quel testo è molto studiato e solleva problemi che sono sotto gli occhi di tutti, sfidando la mania del politically correct».
Quali sono le canzoni preferite di mamma e papà? «La mia è “Che bella giornata”, anche perché è l’unico pezzo in cui mi ha fatto suonare» risponde Oscar. «A me piace Educazione Sabauda, tutto il disco, dall’inizio alla fine – dice invece Michela -. A me piace molto come scrive, lo ammiro tanto. In poche frasi riesce a dire molto, e questo è veramente bello».
«Speriamo possa continuare a fare quello che gli piace, vogliamo vederlo contento, indipendentemente dai risultati che ottiene – concludono mamma e papà -. A lui non fregava nulla di diventare famoso, avrebbe continuato a fare musica anche per trenta persone. Cosa gli devi dire? Fa la cosa che gli piace di più e la fa nel modo che gli piace di più».
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