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"Non piangetemi, non chiamatemi povero": le ultime parole di Willy Jervis, fucilato dai nazisti a 43 anni.

Dall'Olivetti alla Resistenza: la storia di un uomo che ha combattuto per la libertà e di cui quest'anno ricorrono gli 80 anni dalla morte

"Non piangetemi, non chiamatemi povero": le ultime parole di Willy Jervis, fucilato dai nazisti a 43 anni.

Willy Jervis e Adriano Olivetti

Ottant'anni fa, il 5 agosto 1944, Guglielmo "Willy" Jervis veniva trucidato dai nazisti a Villar Pellice, in Val Pellice.

Ingegnere, alpinista, antifascista e federalista europeo, Jervis è stato una figura chiave nella Resistenza italiana e nella costruzione dell'Europa unita.

A Ivrea, dove Jervis lavorava come ingegnere alla Olivetti e dove ha vissuto per gran parte della sua vita, gli hanno intitolato una strada, la più bella del mondo (secondo Le Corbusier), quella del patrimonio Unesco e di tutti gli edifici Olivettiani che vanno dalla fabbrica di mattoni rossi a Palazzo Uffici.

Ma chi era davvero Willy Jervis? E perché la sua memoria è ancora così importante?

Via Jervis, Ivrea

Un ingegnere con la passione per la montagna e la libertà

Nato a Napoli nel 1901 da una famiglia valdese, Jervis si trasferì a Torino per studiare ingegneria. Laureatosi nel 1925, iniziò a lavorare alla Olivetti, dove si distinse per la sua competenza e il suo impegno sociale.

Dopo un breve incarico come direttore della filiale di Bologna, Adriano Olivetti lo chiamò nella sede di Ivrea, affidandogli il compito di pianificare e coordinare la formazione professionale degli operai meccanici della prestigiosa fabbrica di macchine per scrivere. Intelligente, schivo, riservato e, al tempo stesso, estremamente concreto e dinamico, l’ingegner Jervis nutriva una grande passione per l’alpinismo.

Appassionato di alpinismo, Jervis era un profondo conoscitore delle montagne valdesi, che amava esplorare con la sua inseparabile bicicletta. La sua tenacia e il suo amore per la libertà lo spinsero ad aderire al movimento antifascista fin dai primi anni del regime.

Attivo nel movimento giovanile valdese, Jervis collaborò alla redazione della rivista Gioventù Cristiana e nel 1932 sposò una ragazza fiorentina conosciuta a Torre Pellice, anch’essa valdese: Lucilla Rochat. 

Deciso oppositore del fascismo dopo l’armistizio dell’ 8 settembre del 1943 fu tra i primi a organizzare la resistenza armata nella zona di Ivrea. Mettendo a frutto la sua abilità alpinistica e la conoscenza delle lingue, accompagnò più volte gruppi di profughi ebrei e di sbandati in Svizzera, dove entrò in contatto con esponenti dell’esercito e dei servizi segreti militari inglesi dell’OSS che gli affidarono importanti missioni di collegamento con i partigiani italiani.

Sempre nel 1943, insieme ad Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, fondò il Movimento Federalista Europeo, con l'obiettivo di costruire un'Europa unita e pacifica dopo la guerra.

Ricercato da fascisti e nazisti, Jervis raggiunse Torre Pellice e le valli valdesi dove proseguì l’attività partigiana assumendo il nome di battaglia di “Willy”.

Commissario politico delle formazioni piemontesi di Giustizia e Libertà, l’ingegnere olivettiano si distinse per coraggio e altruismo, organizzando anche il primo lancio di armi ai partigiani nel gennaio del ’44, un episodio importante che Giorgio Agosti ricordò così: “In quell’alta Val d’Angrogna che aveva visto accendersi i fuochi dei valdesi che difendevano la loro libertà contro le truppe francesi e piemontesi, Jervis ebbe la gioia di accendere i fuochi che accolsero il primo lancio di armi effettuato dagli alleati nelle alpi occidentali”.

Un paio di mesi dopo, la mattina dell’11 marzo, Jervis fu fermato da una pattuglia delle SS sul ponte di Bibiana perché sprovvisto dei documenti di circolazione della sua motocicletta. Portato in caserma, prima di essere interrogato, tentò inutilmente di disfarsi del materiale compromettente e venne trasferito e rinchiuso per cinque mesi nelle Carceri Nuove di Torino in attesa della condanna a morte.

Torturato a lungo, non rivelò alcuna informazione che potesse nuocere al movimento partigiano. Nonostante le dure restrizioni della vita carceraria riuscì clandestinamente a scrivere delle lettere alla moglie.

Nella notte tra i 4 e il 5 agosto 1944, insieme ad altri quattro compagni, venne portato a Villar Pellice e fucilato sulla piazza del paese che oggi, in memoria del suo sacrificio, ne porta il nome.

Il corpo di Willy Jervis, a spregio e monito, fu poi impiccato a un albero. Il giorno dopo, sul luogo dell’esecuzione, fu ritrovata la Bibbia tascabile che portava sempre con sé sulla quale aveva inciso con uno spillo l’ultimo suo pensiero: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea”.

Un'eredità viva

Dopo la sua morte, considerando il suo ingegnere un “caduto sul lavoro”, Adriano Olivetti si offrì di mantenere la famiglia di Jervis, chiedendo alla vedova Lucilla Rochat “l’onore di provvedere” a lei e ai figli. Nel 1950 Jervis venne decorato alla memoria con la medaglia d’oro al valor militare. A lui sono dedicati  due rifugi alpini (uno a Ceresole Reale, in Valle Orco sulle Alpi Graie; l’altro a Bobbio Pellice, in val Pellice nelle Alpi Cozie).

Willy Jervis è stato un eroe silenzioso, un uomo che ha dedicato la sua vita alla lotta per la libertà e la giustizia. Il suo esempio di coraggio e di impegno civile continua ad ispirare le nuove generazioni.

A Ivrea, la strada intitolata a Willy Jervis è un simbolo della sua memoria e del suo sacrificio. Ma la sua eredità va ben oltre la città che lo ha adottato. Il suo impegno per la costruzione di un'Europa unita e pacifica è più attuale che mai, in un momento in cui il nostro continente è nuovamente minacciato da divisioni e nazionalismi.

Ricordare Willy Jervis significa ricordare i valori per cui ha combattuto: libertà, democrazia, giustizia e solidarietà. Valori che sono il fondamento della nostra Europa e che dobbiamo continuare a difendere con tenacia e coraggio.

Un testo fondamentale per approfondire la sua storia è “Un filo tenace. Lettere e memorie 1944–1969”, che raccoglie la corrispondenza con la moglie Lucilla e Giorgio Agosti, pubblicata da Bollati Boringhieri a cura di Luciano Boccalatte, con l’introduzione di Giovanni De Luna e la postfazione del figlio di  Jervis, Giovanni, importante psichiatra e collaboratore di Franco Basaglia, scomparso nel 2009. Un altro libro importante è “Willy Jervis. Una vita per la libertà”, scritto da Lorenzo Tibaldo per i tipi della Claudiana.

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