Amaro è il gusto che ti resta nell’animo dopo aver sentito che all’ex Sindaco del Comune di Riace, comune di 1.700 abitanti in provincia di Reggio Calabria, è stata inflitta una condanna di 13 anni nella sentenza di primo grado. Colpisce quando lui dice “mi aspettavo l’assoluzione”. 23 capi d’accusa tra i quali l’associazione a delinquere e una richiesta per 7 anni espressa dal PM difficilmente, neppure in Italia, portano all’assoluzione in primo grado. Colpisce ancor di più che attorno a questa figura dallo sguardo buono, a tratti smarrito, si stia riscatenando il dibattito politico di sempre. E’ ripartita la gara tra colpevolisti e garantisti che, spesso a parti rovesciate, usano il malcapitato di turno per assolvere se stessi e condannare l’avversario (a prescindere). Mimmo Lucano è stato, e per qualcuno lo è ancora, un simbolo. Il diritto – dovere all’accoglienza degli immigrati, delle persone fragili, di chi parla una lingua che non si può capire, di persone che sono fuggite dal male, dalla violenza, dalla fame, era reinterpretato a Riace con una esperienza degna di attenzione. Come spesso accade, frotte di politici, giornalisti, uomini di stato, videro in Riace un esempio: per qualcuno da seguire per ricavarne qualche foto o immeritata intervista, per altri da colpire per assecondare i peggiori sentimenti popolari di rabbia, invidia, frustrazione sociale che albergavano nel loro corpo elettorale (oltre che nella loro mente malata). E adesso sono di nuovo tutti lì, che si contendono la scena e le spoglie del povero Mimmo Lucano, ipocriti e in mala fede come sempre. Mal gli corra a quegli uomini e donne della destra italiana che salutano come una personale vittoria politica la durissima sentenza di primo grado contro una persona che non si è arricchita ai danni altrui ma ha cercato di realizzare e rappresentare un’utopica idea di comunità accogliente usando strumenti amministrativi e di potere locale in modo improprio, inadeguato ed illegittimo. Mal gli corra ancor di più se questi politici sono gli stessi che poco prima hanno cercato di giustificare e assolvere a priori comportamenti di propri collaboratori, la cui rilevanza penale va ancora dimostrata in un processo ma la cui sporcizia e incoerenza morale è sotto gli occhi di tutti. Mal gli corra anche ai politici dell’altra sponda, della sinistra opportunista e del centro sinistra ipocrita. Lascio a voi completare i nomi dei soliti noti e dei nuovi leader in pectore che senza ritegno hanno parlato di sentenza abnorme o di sfiducia nella giustizia. Questi personaggi dimenticano che le sentenze sono scritte sulla base di leggi che loro hanno approvato. Che se ritengono abnormi gli esiti a cui portano le leggi da loro approvate è loro dovere di cambiarle e, semmai di chiedere scusa per essersi distratti quando le approvavano o addirittura le scrivevano. Mal gli corra a tutti coloro che vedono in Mimmo Lucano l’occasione per “infilarsi in coda” come fanno gli automobilisti idioti che sfruttano la scia dell’autoambulanza con sirena per guadagnare posizioni nel traffico. E mi riferisco alle migliaia di amministratori pubblici e di funzionari che dicono “siamo tutti Mimmo Lucano” sperando in questo modo di farla franca o di poter sentirsi eroi mentre violano consapevolmente la legge. Non esiste nel nostro ordinamento il “reato a fin di bene” e nemmeno, e per fortuna, il giudizio arbitrario che possa tener conto della carica di umanità, dello sguardo o dell’appartenenza ideologica dell’imputato. Esistono però le responsabilità e le attenuanti e queste, credo, debbano essere sempre presenti e tenute in profonda considerazione, sia quando l’amministratore decide di non tener conto della Legge, sia quando si è lo stesso è chiamato a giustificare il proprio comportamento. La realtà è che qui non si tratta di pesare la sentenza in termini di anni inflitti, come sembrano fare molti ipocriti sfruttatori dell’immagine di Mimmo Lucano, ma ammettere che Mimmo ha sbagliato, che le leggi messe a tutela della corretta amministrazione sono sbagliate, che il sistema dei controlli è sbagliato (forse si poteva evitare di lasciare che le cose arrivassero a un tale punto di non ritorno individuando strumenti amministrativi legittimi per realizzare l’indirizzo politico di Mimmo Lucano). Se si riconoscessero questi sbagli e nel contempo la buona fede di Lucano questa vicenda dovrebbe, potrebbe finire con una richiesta di grazia al Presidente della Repubblica (anche lui ha contribuito da parlamentare a scrivere gran parte delle leggi dalle quali origina la sentenza) e la messa in stato di accusa di una classe politica che non sa più distinguere quale sia la sua responsabilità (fare le leggi) e quella della magistratura (applicare, nelle loro conseguenze, le leggi). Per ora ci fermiamo qui. Penso occorrerà tornarci su questo tema, sia per le implicazioni che può avere anche per il nostro territorio e la nostra esperienza di accoglienza, sia per ragionare sul tema dei controlli e del rispetto della legalità nel nostro paese.
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