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Bruxelles, potere di carta: la crisi d’inverno rivela un’Unione che regola tutto ma non governa nulla

L’Europa si scopre forte solo nella burocrazia e debole in tutto il resto: dalla gestione della dipendenza energetica al rapporto con gli Stati Uniti. Nessuna forza esterna la sta smantellando: è l’Unione che sta perdendo sé stessa

Bruxelles, potere di carta: la crisi d’inverno rivela un’Unione che regola tutto ma non governa nulla

Uno degli edifici del complesso del Parlamento europeo a Strasburgo, simbolo di un potere che oggi appare più riflesso che reale

Nel primo inverno della nuova amministrazione Trump, il continente europeo si è risvegliato in mezzo a uno scontro che non riguarda soltanto una piattaforma digitale, ma la percezione stessa del potere dell’Unione Europea. Una battaglia che si consuma fra Bruxelles e l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, ma che dietro l’apparenza di un duello personale nasconde uno scontro geopolitico più vasto: il ruolo dell’Europa nella definizione delle regole globali e la capacità degli Stati Uniti di difendere la propria influenza tecnologica.

La miccia si accende il 5 dicembre scorso, quando la Commissione europea annuncia una multa da 120 milioni di euro contro X, accusata di aver violato il Digital Services Act (DSA), la nuova legge europea che regola il funzionamento delle grandi piattaforme online.È entrato pienamente in vigore tra il 2023 e il 2024 per le piattaforme più grandi (come X, Meta, Google, TikTok) e nel 2024–2025 per tutte le altre. In poche righe, Bruxelles sostiene che il social – X in questo caso specifico - non avrebbe garantito la necessaria trasparenza sulle inserzioni, avrebbe usato un design ingannevole per il “blue check” e avrebbe ostacolato l’accesso ai dati destinato ai ricercatori. La ricostruzione è riportata con precisione da AP News, che definisce la sanzione la più pesante mai applicata finora sulla base del nuovo regolamento.

Nelle ore successive, il caso esplode. A entrare subito nel merito tecnico è The Verge, testata statunitense specializzata in tecnologia e cultura digitale, nota per le sue analisi sull’impatto politico delle grandi piattaforme: nel suo approfondimento, il magazine ricorda che X aveva già ignorato richieste formali dell’UE, soprattutto quelle relative alla trasparenza del database delle inserzioni e all’eliminazione dei cosiddetti “dark patterns”, ritenuti ingannevoli per gli utenti. Ma quello che nasce come un provvedimento amministrativo diventa immediatamente altro: un detonatore politico.

A raccontare l’evoluzione diplomatica della vicenda interviene Politico, che segue passo per passo l’irritazione crescente dell’entourage di Donald Trump. Per Washington, la mossa di Bruxelles è una provocazione diretta contro una piattaforma percepita come amica della nuova amministrazione. Una semplice multa si trasforma così in un test di forza fra due modelli di governance globale.

Musk risponde con una violenza verbale che sorprende persino i suoi sostenitori. Sul suo profilo ufficiale, come documenta Al Jazeera, riportando integralmente il testo, scrive: “L’Unione europea deve essere abolita e la sovranità restituita agli Stati, così i governi potranno finalmente rappresentare i loro popoli”. Parole che nessun leader americano aveva mai rivolto a Bruxelles con tale frontalità.

Subito dopo, X disattiva l’account pubblicitario della Commissione europea, accusandola di aver utilizzato formati “occulti” per promuovere il post relativo alla sanzione. Il dettaglio emerge in un’analisi di Bloomberg, secondo cui la mossa è soprattutto simbolica, ma comunque “un’umiliazione mediatica” per l’UE.

JD Vance, il vicepresidente USA, accusa Bruxelles di voler “imporre la censura” all’Europa.

La tempesta perfetta si scatena quando entra in campo JD Vance, vicepresidente degli Stati Uniti. In un intervento riportato da Politico, Vance accusa l’Unione europea di voler “punire X per non aver imposto la censura”. È una narrazione completamente diversa da quella di Bruxelles: la Commissione parla di trasparenza, l’amministrazione americana parla di libertà d’espressione e interferenza straniera.

Marco Rubio, il volto dell’America, accusa l’Europa di minare la sovranità tecnologica statunitense.

Il colpo più duro lo infligge però Marco Rubio, segretario di Stato, che, come documenta AP News, definisce la multa “un attacco contro tutte le piattaforme tecnologiche americane e contro il popolo degli Stati Uniti da parte di governi stranieri”. Con una sola frase, Rubio trascina l’UE nel territorio minato della guerra fredda digitale, trasformando una procedura amministrativa in una questione di sicurezza nazionale.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha rivendicato la sovranità energetica dopo anni di dipendenza dal Cremlino.

Questo terremoto istituzionale esplode mentre l’Unione Europea è già al centro di un altro dibattito incandescente: quello energetico. Durante un intervento in Bulgaria, Ursula von der Leyen annuncia con toni solenni: “Per l’Europa inizia una nuova era. Non saremo più dipendenti dal gas russo”.

Ma la storia reale è meno epica. Come ricorda Reuters, per due decenni la dipendenza europea dal gas del Cremlino ha superato il 40% del totale importato, con interi Stati membri che hanno strutturato la propria sicurezza energetica su un’unica fonte, senza informare adeguatamente l’opinione pubblica.

Oggi la percentuale, secondo il Financial Times, è scesa al 13%. Non solo: Bruxelles ha approvato un piano vincolante per eliminare completamente il gas russo entro il 2027, un passaggio che il Wall Street Journal descrive come “la decisione più radicale mai presa dall’Ue in materia energetica”. Eppure, il messaggio resta ambiguo: la Commissione si presenta come il motore della liberazione energetica europea, ma è la stessa istituzione che per vent’anni non ha avuto la forza, o la volontà, di spiegare ai cittadini la portata della dipendenza dal Cremlino.

Nel pieno dello scontro, gli Stati Uniti non si limitano a difendere Elon Musk. Difendono, soprattutto, il principio che il cuore della tecnologia globale, e quindi del potere regolatorio, debba restare in America. Lo spiega con lucidità The Verge, quando analizza la reazione della Casa Bianca alla multa europea: per Washington, il DSA rappresenta un precedente pericoloso, perché consente a un potere esterno agli Stati Uniti di imporre regole alle piattaforme americane.

È questo il nodo geopolitico essenziale. Non è una disputa sulla moderazione dei contenuti, ma sul controllo dell’infrastruttura digitale occidentale. Quando Rubio afferma, come riporta AP News, che “l’Europa sta attaccando il popolo americano”, non sta parlando di libertà d’espressione: sta difendendo la Silicon Valley come pilastro dell’egemonia tecnologica e culturale degli Stati Uniti.

L’Europa, nel tentativo di diventare il regolatore globale del digitale, si ritrova così nel mezzo di una guerra che non controlla. La sua forza normativa è vasta, ma la sua forza politica resta frammentata.

E allora sorge l’interrogativo più scomodo: al cuore dell’Unione c’è ancora un progetto politico, o soltanto un vuoto che nessuno ha il coraggio di nominare? Durante i suoi anni alla guida della Commissione, Von der Leyen ha più volte affermato che l’Europa deve diventare “un attore geopolitico”. Eppure, osserva Politico in un’analisi severa, i fatti mostrano un’Unione efficiente nel produrre norme, ma incapace di costruire consenso o autorevolezza internazionale.

In sostanza, guai a dirlo però, la UE può multare una piattaforma, ma non può competere sul piano strategico con Stati Uniti, Cina o Russia. Può approvare un embargo energetico, ma non può recuperare vent’anni di ritardi nella comunicazione ai cittadini. Può parlare di sovranità, ma non riesce a incarnarla.

In queste settimane convulse, molti commentatori e politici hanno evocato complotti, influenze straniere, interferenze americane o pressioni orientali per spiegare il crescente indebolimento dell’Unione. Ma l’analisi dei fatti sembrerebbe voler raccontare un’altra storia, molto più semplice e molto più inquietante. Non serve alcuna mano invisibile a smantellare il progetto europeo: l’Unione sta facendo tutto da sé.

La gestione tardiva della dipendenza energetica dalla Russia, la rigidità burocratica trasformata in identità politica, le regole scritte senza costruire consenso, la difficoltà cronica di comunicare in modo trasparente con i cittadini, e ora un caso internazionale esploso come un boomerang diplomatico: tutto parla di un sistema che vacilla non per colpe esterne, ma per limiti interni.

La corruzione, reale o percepita, e un’incompetenza che sembra diffondersi come un linguaggio comune nei corridoi istituzionali completano il quadro di un’Unione che ha smarrito la propria missione originaria. Non è Musk a mettere in discussione l’Europa, non è Vance, né Rubio, tantomeno la Cina o la Russia. È l’Europa stessa che, nell’incapacità di decidere chi vuole essere, sta lentamente e dolorosamente smontando la propria credibilità.

 

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