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Torino: il putiferio mediatico continua
31 Agosto 2023 - 01:35
La loro storia sta tenendo banco sui telefonini di mezza Italia. Tutto racchiuso in un video in cui Massimo Segre ha deciso di rompere pubblicamente il fidanzamento con Cristina Seymandi durante la festa pre-matrimoniale organizzata a Torino e alla presenza di tutti gli amici: «Non ti sposo più perché mi hai tradito».
Adesso c'è un botta e pure una risposta. E tutto ricomincia da una lettera inviata da Segre al quotidiano La Stampa.
"Non vi è violenza ad affermare la verità pubblicamente. Raccontare che la Signora Seymandi prima ancora di sposarmi, intesseva altre relazioni sentimentali non è violenza: è un fatto che – se la relazione fosse stata quella di una coppia aperta – non sarebbe stato preclusivo al nostro matrimonio.

Da quando, esattamente 3 anni prima, il 28/7/2020 infilai al dito di Cristina lo zaffiro di mia madre, chiedendole di sposarmi e ottenendone l’assenso, io non sono più stato libero di amare altre e così avrebbe dovuto essere per lei. Così intendevamo entrambi impostare la nostra relazione e il nostro matrimonio. Questo era il patto suggellato indossando l’anello della mia famiglia. Cristina non solo ne era totalmente consapevole e consenziente, ma lo pretendeva.
La nostra coppia si formò con questo vincolo ma, se ci si ama, non lo si vive certo come una limitazione di un proprio diritto, ma come una gioia infinita. Una reciproca, splendida esclusiva. Non importa se sei uomo o donna: appartieni all’altro/a! E io sono stato totalmente ed esclusivamente di Cristina.
Lasciarla pubblicamente è stato un gesto certamente forte, che mi è immensamente dispiaciuto fare nei suoi confronti e che mi è costato particolarmente tanto, perché totalmente lontano da quella mia maniacale riservatezza, comprovata dal fatto che le foto che mi ritraggono sono poche e quasi tutte non recenti.
Riservatezza che - come potranno confermarle i suoi collaboratori – mi spinse, nel giorno precedente alla diffusione del video, a chiedere di non far uscire un articolo sulla vicenda, trattandosi di notizia vecchia e degna delle testate di gossip più che de La Stampa. Poi è uscito il video (non certo per mia volontà, come invece incredibilmente affermato dalla Signora Loewenthal) e il boom mediatico ferragostano.
Ecco, da affezionato lettore, mi permetto significarle che dal suo quotidiano – a differenza degli altri non torinesi – mi sarei aspettato che si domandasse cosa mi aveva spinto a una scelta così lontana dal mio tradizionale riserbo.
Ho cercato di spiegarlo sinteticamente quella sera: la Signora Seymandi è talmente abile nel raccontare una propria visione della realtà che dovevo assolutamente preservare la mia reputazione, il dono più grande lasciatomi dai miei genitori.
Il suo stesso giornale ha titolato “Da che pulpito”, sulla tesi dalla stessa sostenuta che “anche” io sia un traditore seriale.
L’unico modo per evitare narrazioni distorte, se non addirittura totalmente fantasiose, consisteva nel prendere l’iniziativa davanti a tutti i suoi amici, prima che potesse raccontare chissà che cosa su di me, se l’avessi lasciata “privatamente”.
Caro Direttore, da ogni esperienza si deve trarre insegnamento. Ciò che ho imparato dalla Signora Seymandi è l’importanza di comunicare.
Cercherò di comunicare cose importanti (come la bonifica dall’amianto dell’ex grattacielo Rai che una mia società sta portando avanti nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbanistica), più significative di questa storia da estate italiana, assolutamente da me non voluta né desiderata, trattandosi di informazione che pensavo potesse rimanere confinata a una quarantina di amici...".

Cristina Seymandi
E' seguita la risposta di Cristina Seymandi.
Rompo il mio riserbo, dopo giornate di disagio che mi hanno molto provata. Ieri mattina (il 15 agosto, ndr) ho potuto leggere una lettera di Massimo Segre rivolta al direttore di un quotidiano, dove, per l’ennesima volta, la mia vita e il nostro comune percorso insieme erano messe in evidenza a tutta pagina, sulla cronaca nazionale, mescolate, nell’articolo, con la pubblicità per le future iniziative imprenditoriali delle aziende del mio ex compagno (iniziative alle quali peraltro lavoravamo insieme da anni).
Massimo, in quella grande, disorientante, pagina di giornale parla molto di sé stesso: sostiene che «non vi è violenza nell’affermare la verità pubblicamente», riferendosi alla decisione - quella di mettere in piazza il nostro privato - che forse ha preso, quella sera del 27 luglio, convinto dai discorsi di chi - accanto a lui - non ha mai voluto la nostra felicità, ma ha solo desiderato «distruggere».
Parla, Massimo - forse con l’intento di attirarsi le simpatie di qualcuno – dell’«anello di fidanzamento di proprietà di sua mamma», il nostro anello fidanzamento, di cui non perde l’occasione di sottolineare il valore materiale specificandone le caratteristiche, anello al quale ero affezionatissima come ad una delle mie cose più care, misteriosamente sparito (guarda caso) da casa nostra 15 giorni prima di quella tristissima serata salita agli onori delle cronache, a riprova, forse, che c’è chi la vendetta la programma minuziosamente, e perversamente, con largo anticipo.
Massimo scrive, infine, che «l’amore dovrebbe essere una splendida esclusiva», affermazione che mi stupisce sentir pronunciare proprio da lui… ma sulla quale preferisco non soffermarmi, perché, a differenza di Massimo, io non sento di avere alcun diritto di erigermi nel contempo a giudice e boia degli eventuali errori delle persone con le quali percorro un pezzo di vita, che siano compagni, familiari o amici, emettendo un giudizio definitivo e applicando anche la massima pena, senza peraltro neppure un minimo di contradditorio.
Ebbene, se i mass-media si aspettavano mie risposte piccate, repliche inacidite o addirittura vendette, così da alimentare il gossip estivo un’uscita dopo l’altra, saranno stati delusi: le parole chiave per me sono state, nell’immediato, «sconcerto» e «incredulità», e, successivamente, «delusione», «amarezza», «dolore».
Il motivo per il quale ho deciso di scrivere, tuttavia, è un altro, in quanto checché ne pensi il Signor Segre, non ritengo che le nostre miserabili storie di persone qualunque, travolte da un fatto che - complice il clima agostano - ha fatto parlare non solo tutta Italia, ma è apparso anche sulle cronache in Francia, Germania, Brasile e via discorrendo, siano davvero di interesse per i nostri concittadini, che forse hanno ben altri e seri problemi ai quali dedicare la loro attenzione.
Scrivo ora per rivolgere un appello non a Massimo Segre, ma a tutti gli uomini e donne che in futuro si troveranno nella situazione di poter decidere se divulgare o no fatti privati di una persona, per vendetta, per voglia di riscatto o per «dare la propria versione dei fatti», ponendo però inevitabilmente l’altro in una condizione di inferiorità, di umiliazione e di dover patire una violenza psicologica.
In questi giorni di enorme pressione, da donna emotivamente risolta e professionalmente affermata, mi sono trovata in molte occasioni, durante le lunghe giornate nelle quali ho cercato di ritrovare equilibrio, e anche nelle notti passate insonni, a pormi un’insistente domanda: ma se tutto ciò fosse invece capitato a una ragazza o ragazzo di 20 anni, a una giovane donna o uomo per mille motivi più fragile di me, cosa sarebbe successo…? Al netto della retorica del “cavaliere senza paura che prende la parola in pubblico per riportare giustizia”, quale sarebbe stato l’impatto sulla vittima destinataria della gogna mediatica?
Sono tanti i messaggi di grande solidarietà e stima che ho ricevuto da amici e colleghi, e sui Social anche da parte di persone che neppure conoscevo, ma ci sono stati anche i messaggi violenti, tipici di quella mascolinità tossica che ancora pervade la nostra società: minacce, insulti, epiteti di ogni genere, offese, umiliazioni. E non sono mancate aspre critiche anche da parte di donne. Non voglio drammatizzare, ma le cronache ci raccontano di persone in difficoltà che in situazioni di questo genere possono arrivare a gesti di autolesionismo o, nei casi peggiori, a togliersi la vita, non riuscendo a reagire a una umiliazione e diffamazione pubblica sui mass-media e tramite Social e web.
Il signor Segre pone sé stesso al centro di tutta la narrazione: la sua necessità di prendere parola, le sue vere o presunte difficoltà nel forzarsi a farlo (e faccio fatica a pensarlo, visto che tutto è parso meticolosamente organizzato…), i suoi «valori», le sue aziende, il suo pensiero… proseguendo con una lunga lista di «aggettivi possessivi al maschile singolare».
Io, sommessamente, vorrei invece allargare lo sguardo, a ciò che il mio ex compagno probabilmente, complice l’ego, non vede: chi sta attorno a noi, il destinatario dello sfogo, chi patisce, soffre, non comprende il perché di tanta umiliazione in pubblico e sul web, e alle persone a quest’ultimo collegate, come i figli, che necessariamente ne patiranno le conseguenze.
Soprattutto, la consapevolezza che se c’è una cosa, tra le tante, che questa vicenda ci insegna, allora è proprio questa: che la vendetta fine a sé stessa è una pessima consigliera.
Poniamoci domande su chi è «cosa altra» rispetto a noi, e sull’effetto che le nostre piccole e grandi decisioni quotidiane, troppo spesso centrate sul nostro egoismo e sul desiderio di rivalsa, possono generare su altri esseri umani, e sulle «macerie» che possono essere create - in misura a volte molto più pesante rispetto alle nostre stesse aspettative - dal «togliersi un sassolino dalla scarpa». Sosteniamo pubblicamente ogni giorno il valore del dialogo e del confronto: poi però inneggiamo alla «vendetta perfetta».
Ho letto online commenti quali «è un signore, è un idolo!», e mi chiedo: se fosse capitato a voi, a vostra figlia o figlio, direste le stesse cose? Con un’ingenuità disarmante, crediamo alle parole di chi parla con tono pacato e camicia bianca elegante, senza conoscere nulla del suo passato, e per contro condanniamo per stereotipo il fatto che una donna più giovane stia con un uomo più maturo, presumendo lo faccia solo per interesse.
Inoltre, se questa storia non avesse avuto i Social a contorno, si sarebbe consumata tutta in un banale chiacchiericcio cittadino: quanto accaduto sottolinea allora, una volta di più, l’impatto di questi strumenti, e la necessità di una regolamentazione più seria, come il saggio richiamo del Garante della Privacy, l’altroieri, ci ha giustamente ricordato.
Concludo dicendo che, dal canto mio, sono convinta di aver dato il massimo in questa relazione, e mi spiace molto, sinceramente, per il disagio che posso aver creato a Massimo Segre, se – come lui sostiene – non sono stata all’altezza delle sue aspettative come compagna, ma nel merito di questa triste vicenda – anche considerato il fatto di non aver avuto, per sua scelta, nessuna possibilità di confronto con lui, l’uomo con cui condividevo la mia quotidianità da 3 anni - non penso di aver altro da aggiungere.
Nell'epoca in cui un fatto del tutto privato può diventare virale in meno di 24 ore, la storia di un uomo che alla festa pre matrimoniale con gli amici, lascia ufficialmente la futura moglie accusandola di averlo tradito, ha trovato vita facile. E se poi i protagonisti sono due volti noti della 'Torino bene', quella che conta e finisce sui giornali, e pure ricchi, lui finanziere di una nota famiglia torinese, e lei imprenditrice ed ex esponente dei Cinque Stelle, il tutto è ancora più facile.
Una storia di tradimenti, giacché lo stesso Segre si dice, con tristezza tradito nel suo discorso, ma soprattutto, come dicono gli amici di entrambi, la 'fine di una bellissima storia d'amore', che potrebbe però anche finire alle vie legali magari con la richiesta di un risarcimento danni.
"Una Caporetto dell'amore", ha scritto su Facebook Viviana Ferrero, ex vicepresidente del Consiglio Comunale di Torino, amica di entrambi ed ex esponente del Movimento 5 Stelle come Cristina.
Per Alba Parietti, torinese anche lei, si è trattato di un gesto plateale di un uomo ferito in perfetto stile sabaudo: "riconosco lo stile falso cortese che in realtà non è falso e cortese", dice.

Alba Parietti
Sui social intanto il video impazza con tanto di dibattito: chi tifa per lui, l'uomo che ha riscattato stuoli di innamorati traditi ("eroe", qualche maschio azzarda) e chi si schiera con lei sperando in vendette in tribunale.
La puntata di Zona Bianca andata in onda mercoledì scorso su Rete 4 si è aperta con una chiacchierata tra il conduttore del programma Giuseppe Brindisi e Vittorio Feltri. E tra i temi toccati, guarda un po' che cosa c'era? Proprio il matrimonio saltato nella Torino bene, con il banchiere Massimo Segre che ha lasciato la compagna Cristina Seymandi alla festa di fidanzamento accusandola di tradimento.
Cos'ha risposto Feltri....
"Io penso che si debba vergognare chi tradisce non chi denuncia un tradimento", ha commentato il direttore di Libero.
"Questo signore ha spu***nato la promessa moglie ma aveva dei motivi validi".
E poi ancora: "Che uno dica che è cornuto è un atto di coraggio, non è un vigliaccata. A mia moglie ho dovuto dire, con un po' di imbarazzo, che non l'ho mai tradita, perché questo evoca una coltellata nella schiena, ma ho diversificato... Poi le ho detto anche che se lei avesse fatto lo stesso non avrebbe dovuto dirmelo. La capirei. E siamo insieme da 55 anni...".
E il conduttore si è lasciato andare ad una risata...
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