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Dal Piemonte in cerca di fortuna

IN FOTO 1908, emigrati di Netro (Biella) a Grenoble

IN FOTO 1908, emigrati di Netro (Biella) a Grenoble

La recente visita del papa Francesco nell’Astigiano riporta d’attualità il problema dell’emigrazione piemontese. Com’è ampiamente noto, infatti, Mario e Regina Bergoglio, i genitori del futuro pontefice, partirono il 1° febbraio 1929 alla volta di Buenos Aires. Ad Asti, nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire), figurano iscritti due sorelle e un fratello del papa (Maria Elena, Marta Regina e Alberto Horacio), tutti nati in Argentina.

Papa francesco a casa dei parenti nell'astigiano

Purtroppo, in tempi di estese amnesie storiche che celano una preoccupante incapacità di porsi in relazione col futuro, si tende a dimenticare che il Piemonte fu una terra dall’elevato tasso di espatri, oltreché una regione d’immigrati. Solo negli ultimi decenni si è cominciato a studiare questo aspetto della storia subalpina, troppo a lungo rimosso dalla memoria collettiva. Però molto resta ancora da fare affinché i piemontesi possano riappropriarsi di un capitolo fra i significativi della propria storia.

I dati relativi al fenomeno sono eloquenti. Nel ventennio seguito alla proclamazione dell’unità italiana, fra il 1861 e il 1881, il Piemonte registrò un’emigrazione complessiva superiore alle 173 mila unità. In massima parte si trattava di persone originarie delle zone montane e collinari, specie della provincia di Cuneo. Ma dopo la crisi che colpì con particolare durezza i settori più moderni dell’agricoltura subalpina, a causa dei massicci afflussi di grano e riso dall’America e dalla Russia meridionale, il movimento migratorio si estese anche alle aree di pianura, interessando un crescente numero di famiglie.

L’emigrazione ebbe un’incidenza molto più forte in Piemonte rispetto a tutte le altre regioni dell’Italia settentrionale, con la sola eccezione del Veneto. Dei circa sessantamila contadini maschi, di età superiore ai quindici anni, che partirono dall’Italia fra il 1884 e il 1886, circa un quinto era costituito da piemontesi. E il fenomeno continuò ad accentuarsi negli anni seguenti. Dai dodicimila emigrati permanenti del 1887 si passò ai poco meno di sedicimila del 1889, senza contare l’elevato numero di stagionali.

Quali erano i principali luoghi di destinazione? Nel triennio 1884-86, sessantacinque piemontesi su cento si diressero verso paesi dell’Europa e dell’Africa settentrionale, mentre trentuno si imbarcarono per l’America latina (per l’Argentina e il Brasile soprattutto). Tra il 1894 e il 1896 la quota dell’emigrazione in Sudamerica sali al quarantatré per cento. Molto forti erano pure i miraggi suscitati dall’espansione economica degli Stati Uniti.

L’esodo registrò una stasi durante gli ultimi anni del diciannovesimo secolo. Nel 1905, tuttavia, il contributo della regione al contingente totale dell’emigrazione italiana era pari al nove per cento, superato solo da quelli del Veneto, della Campania e della Sicilia. «Non erano più soltanto i giovani ad abbandonare i paesi d’origine in cerca di fortuna – afferma il professore Valerio Castronovo, autore di pregevoli saggi sulla storia economica della regione subalpina – ma anche le persone di mezza età accompagnate dalle famiglie al completo o quasi. [...] Quanto lasciavano ai loro villaggi non meritava molti rimpianti. Non soltanto perché, perduta ogni speranza di una ripresa dei prezzi agricoli, molti avevano dovuto spendere di anno in anno scorte e parte dei cereali, tirando la cinghia con un po’ di miglio e di fagioli [...] In molte zone non esisteva speranza alcuna di affrancarsi presto o tardi da condizioni materiali di vita troppo umili e ingrate».

Ovviamente l’emigrazione interessò in misura non uniforme le differenti aree della regione. A Settimo Torinese, le prime attività manifatturiere impiantate nel territorio contribuirono a contenere il fenomeno che assunse, pertanto, dimensioni trascurabili. Abbastanza diversa, invece, si presentò la situazione in alcuni centri limitrofi, privi di fabbriche importanti. Il vicino comune di Brandizzo, ad esempio, fu soggetto a un apprezzabile flusso di emigrazione – sia stagionale sia permanente – verso la Svizzera, la Francia e le località più industrializzate del Piemonte. 

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