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16 Novembre 2018 - 12:35
Spagna, bambino rapito da un lupo, gennaio 1914
Sull’inquietante canide sono recentemente apparsi, in Italia, ben due libri : il primo, «Il lupo, una storia culturale», del famoso storico francese Michel Pastoureau (Ponte alle Grazie); il secondo, «Il tempo dei lupi, storia e luoghi di un animale favoloso», del medievista Riccardo Rao (Utet).
L’interesse per i lupi è cresciuto negli ultimi anni, contestualmente alla riapparizione dell’animale in alcune regioni d’Europa, fra cui l’arco alpino. È un dato di fatto che l’uomo e il lupo si contesero per lungo tempo il territorio. Il primo mise in atto ogni possibile espediente per prevalere in una lotta che sembrava destinata a non avere fine: battute di caccia, appostamenti, bocconi avvelenati, trappole, ecc.
Grazie all’udito e all’olfatto finissimi, alla vista eccellente, all’astuzia e alla forza fisica, il lupo seppe opporsi con successo agli uomini. Inevitabilmente, nel Medioevo, assurse a simbolo di efferatezza e barbarie, al contrario dall’antichità classica quando era visto come il maggior nemico delle greggi e foriero di funesti presagi, ma di rado pericoloso per le persone. Il suo ululato nei pressi dei villaggi di montagna o delle cascine di pianura risvegliava terrori atavici.
Determinanti per lo studio dei rapporti fra uomini e lupi sono i «libri defunctorum» delle parrocchie che si prestano ad analisi quantitative. Solitamente essi riportano le generalità delle vittime, le eventuali mutilazioni subite, le date e i luoghi degli assalti e talvolta le caratteristiche degli animali. In particolare, gli atti di sepoltura rivestono grande importanza per circoscrivere le aggressioni nel tempo e nello spazio.
Per esemplificare, prima e dopo la pestilenza del 1630-1631, le fiere imperversavano nella zona di Mathi, Balangero, Villanova e Cafasse. Due morti sono registrate nel 1629, almeno una nel 1633 (un fanciullo di nove anni), una nel 1634 (un quattordicenne), una nel 1635 e così via. Il fenomeno trova corrispondenze altrove?
Un ragazzo di undici anni figura sbranato a Lessolo, nell’Eporediese, il 17 agosto 1636 («si è ritrovata una gamba et un piccolo osso […], quali gamba et osso si sono portati alla chiesa e sepolti nel cimitero»).
Si tratta di un caso isolato? Non sembrerebbe poiché nel Biellese, fra il 1629 e il 1635, si contarono circa trenta morti per le aggressioni dei lupi. Tuttavia solo compulsando sistematicamente i libri parrocchiali di più vaste aree geografiche sarà possibile fornire risposte soddisfacenti agli interrogativi.
Non meno interessanti sono i documenti delle autorità civili (editti dei sovrani, atti di lite, statuti dei comuni, deliberazioni consiliari, decreti degli intendenti e dei prefetti, corrispondenza dei sindaci, ecc.), ma anche le fonti narrative. Risalenti al 1251, gli statuti di Chiaverano contengono una norma relativa ai premi da corrispondere per la cattura di «unum lupum vel unam lupam» oppure di un lupachiotto («luvato»).
Le battute di caccia al lupo erano una tradizione consolidata in Piemonte. Volendo circoscrivere l’analisi al Chivassese e alle zone limitrofe, nel 1726 venti uomini di Gassino parteciparono a una battuta dalle parti di Volpiano. Nel 1768, poiché un lupo si aggirava nei pressi di Barone, dove aveva aggredito una ragazza, gli abitanti di Caluso organizzarono una pattuglia per catturarlo.
Sono molte le ragioni che inducono a indagare la presenza storica del lupo in aree geografiche come la pianura di Torino o il Canavese. In parte, l’interesse deriva dal fatto che lo studio coinvolge necessariamente un largo ventaglio di discipline accademiche, dalla zoologia all’antropologia, dalla veterinaria alla statistica e all’archeologia.
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