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29 Agosto 2016 - 13:43
sanità
Una cura che si limita a produrre un "beneficio di natura psicologica" sul paziente non deve essere rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. E' questo l'esito di una battaglia giudiziaria intrapresa da un piemontese, colpito da lesioni midollari, che voleva ottenere dall'Asl l'erogazione gratuita della terapia Dikul, un metodo di rieducazione motorio, continuativo e personalizzato, eseguito in un centro specializzato a Firenze.
In primo grado l'uomo era stato accontentato dal tribunale di Pinerolo (Torino), ma nel 2011 la Corte d'appello gli ha dato torto con una sentenza che è stata confermata dalla Cassazione civile. La pronuncia degli Ermellini non è la prima sulla Dikul, una terapia che prende il nome dal suo inventore, un trapezista russo, e che ha l'obiettivo di rafforzare la muscolatura del tronco di chi è rimasto vittima di gravi incidenti o soffre di patologie invalidanti. Nel 2011, per esempio, a un fiorentino era stato riconosciuto il diritto al rimborso.
Nel caso del piemontese, però, la Suprema Corte ha convalidato l'opinione dei giudici di Torino. Se in primo grado il consulente tecnico del tribunale aveva messo l'accento sui "miglioramenti psicologici", in appello è stata sottolineata la mancanza di "evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute a fronte delle risorse impiegate". La Cassazione afferma che "l'erogazione delle cure" a carico dell'Asl non deve dipendere dalla "mera scelta" del paziente e, in questa ottica, si devono escludere, dopo gli opportuni approfondimenti, le terapie "che non si dimostrano efficaci e appropriate al singolo caso". I giudici di secondo grado, con una "motivazione immune da vizi logico-giuridici", non hanno trovato prove della validità della Dikul e, quindi, non è stato nemmeno necessario procedere ai "riscontri di efficacia sulla vita del paziente".
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