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12 Ottobre 2015 - 15:39
teatro (foto d'archivio)
Un lavoro titanico, potente, come potente è la parola del teatro quando risponde a un bisogno profondo. E' l'ultima regia di Gabriele Lavia 'Vita di Galileo' di Berltolt Brecht, in scena fino al 25 ottobre al teatro stabile di Torino che lo ha coprodotto con il Teatro della Toscana (dove sarà dal 28 ottobre al 12 novembre). Un lavoro potente, "un inno alla libertà e alla grandezza dell'uomo quando pensa", ha detto lo stesso regista, innamorato di questo straordinario testo brechtiano da sempre, da quando lo vide per la prima volta, nel 1963, al Piccolo di Milano con la regia di Strehler. Per Lavia, questa mastodontica messa in scena, realizzata grazie a uno stabile di Torino, recentemente divenuto Teatro Nazionale, sempre più proteso verso le grandi produzioni (presto sarà la volta di 'Morte di Danton' di Mario Martone), è la realizzazione di un doppio sogno. In primo luogo è la messa in scena di una regia desiderata da trent'anni, in secondo luogo è una prova di quanto il teatro possa ancora rappresentare una grande avvenuta culturale moderna grazie al lavoro e all'impiego degli attori. Qui ce ne sono ben una trentina, impegnati in 80 personaggi, per quasi quattro ore di spettacolo che corrono via senza problemi di noia per gli spettatori. Spettatori attenti, e dispensatori di calorosi applausi nei cambi di scena e nell'unico lungo intervallo. "Come il falegname impara il mestiere in bottega facendo i falegname, gli attori imparano il mestiere sul palcoscenico - ha detto Lavia - se però nessuno li fa lavorare non imparano. Io credo ancora valga la pena far crescere gli attori al teatro".
Il lavoro di Lavia ben riflette il tormento di Brecht (che che cominciò a scrivere 'Vita di Galileo' nel 1938 per poi rimaneggiarlo per i vent'anni seguenti, anni in cui discusse molto sulla bomba atomica su Hiroshima), intorno al grande interrogativo sulla scienza 'serve davvero alla felicità dell'uomo?'. Tutto il testo e la regia di Lavia trasmettono perfettamente le grandi domande dell'uomo moderno sulla scienza, sul potere e sull'abiura della scienza quando si piega al potere. "Il potere non ha mai lasciato libero chi dice la verità", dicono Brecht e Lavia. E ancora "la verità è sempre proibita per il semplice fatto che è la verità". "Questo spettacolo - ha detto Lavia - era per me un'urgenza ma credo sia un'urgenza anche di questo periodo storico in cui la verità non è poi un gran valore". Ad incantare il pubblico sono stati non solo il testo, l'ottimo Lavia in scena e i bravi attori, ma anche le sontuose scene di Alessandro Camera, i costumi d'epoca e le musiche realizzate in scena dal vivo dai musicisti della Scuola di Musica di Fiesole.
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