L’acqua era salita di notte. Il
Notu, già all’erta tutto il giorno, aveva sentito un fruscio leggero, come di seta sulle gambe di donna, seguito da uno sciabordare crescente, quindi il brontolio ed il risucchio della corrente che si avvicinava e copriva, allagava, trascinava e spezzava, schiantava e abbatteva, mentre la pioggia dominava la notte. Altre volte l’acqua era salita, altre volte il campo di pioppi davanti alla cascina si era trasformato in lago di fango, ma ’l Notu non aveva mai voluto lasciare quella sua casa. Che venissero pure, anche stavolta, i pompieri, il sindaco o il prete, ma lui non si sarebbe mosso. Aveva già portato via le bestie e le poche cose che conservava al piano terra e adesso, con al fianco il suo cane, un bastardino senza nome che obbediva soltanto al suo fischiare, stava ad osservare la notte e la pioggia, appoggiato alla ringhiera di ferro del balcone, al primo piano. Ancora non poteva vedere la furia del fiume, ma ben l’immaginava, e scrutava con l’orecchio la densa caligine di quel buio di novembre, a cogliere in altro modo quello che l’occhio non riusciva a trasmettergli. Annusava l’aria, come un cane da trifole saggia il terreno, dividendo fra i mille odori, il profumo della patata preziosa; così sentiva il forte olezzo del fango, dei rami spezzati, delle radici divelte, delle piante macerate. E l’odore dell’acqua, che ribolliva poco lontano. Tante volte aveva sentito quell’odore, tante volte aveva avvertito in fondo all’anima quella paura primordiale che l’uomo ha della natura e tante volte era riuscito ad allontanarla, a vincerla. La pioggia non accennava a smettere anzi, alle gocce battenti si succedevano improvvisi rovesci violenti e raffiche di vento freddo. Già da parecchie ore era rimasto senza acqua, luce e telefono, ma non gli importava poi tanto. Si era portato alcuni litri di barbera, di quello buono, quello vecchio; aveva il fornello a spirito, quello che suo figlio voleva gettasse via, e aveva già da tempo svuotato il frigorifero, trasferendo nell’armadio salami e formaggi, in ottima compagnia di alcune forme di pane. Inoltre, la sua scorta di sigari toscani non aveva bisogno di particolari attenzioni e si conservava ottimamente anche senza corrente elettrica. Restare senza telefono poi, non era che una benedizione. Il rumore dell’acqua si era fatto ancora più forte. Oltre il buio, si sentivano schianti, tonfi e fragori improvvisi, mischiati al frustare della pioggia sui rami. Era al suo secondo mezzo toscano quando vide l’acqua del fiume bucare la notte ed entrare nella sua aia, con un rumore d’onda ed uno sciacquio forte, improvviso, quasi un gemito, che strappò un guaito al bastardino meticcio. Altre volte l’acqua era salita, altre volte il fiume era venuto a fargli visita, in quella cascina perduta nei boschi e nel tempo poi, lentamente, come un amante che indugia ancora un poco fra le coltri del suo amore, se n’era andato, e tutto era tornato come prima. Altre volte erano venuti con la barca, per portarlo in salvo, ma lui aveva soffiato in faccia a tutti il fumo azzurrino del suo sigaro e li aveva mandati via, con un cenno di mano. L’acqua ancora saliva e ancora batteva la pioggia. Era tanta, pensò ’l Notu, tanta. Erano circa le tre quando vide una luce sbucare dal fondo del bosco e sentì gridare il suo nome. Eccoli, sono venuti anche stavolta, ma io non mi muovo. Guardò il cielo nero. Era tanta la pioggia, tanta. «Sei ancora lì, Notu? Salta sulla barca, che andiamo via». «Non mi muovo». Il cane abbaiò. «Non lascio la mia roba. Andatevene». «Non fare il testone. Questa volta è peggio, vieni». «Resto». «Guarda che è venuto via anche
’l Carlin. Non sei rimasto che tu; non ce n’andiamo senza di te, a costo di prenderti a legnate». Anche ’l Carlin? Il suo amico-nemico Carlin si era lasciato portare via? Possibile? La barca con gli uomini dalle cerate gialle era un metro appena dal suo balcone. «Notu, non è mai venuta un’acqua così. Se l’argine non tiene, vai sotto fino al tetto, non si vedrà neppure il camino, della tua casa. Monta, dài». Notu afferrò il cane, il doppio di vino, le scatole dei toscani e salì sulla barca. Salì senza parlare, con un cenno soltanto della mano, forte di vene e scavata di rughe antiche. Non aprì bocca e salutò appena gli altri sfollati, ospitati in Municipio. Gli chiesero se volesse qualcosa di caldo, ma lui indicò il toscano, che gli fumava nella mano e disse che bastava quello. Fu nel pomeriggio, che l’acqua non accennava a chetarsi, che Notu si ricordò di quello che aveva dimenticato a casa. Scosse la testa, tirò su col naso e decise che proprio non poteva lasciarla là, nel cassetto di mezzo della credenza di noce. Doveva tornare, tornare e riprendersi quello che aveva dimenticato. Non avrebbe permesso al fiume di portargli via quello che era suo. Non quello. Ancora tutto era bloccato e nessuno poteva avvicinarsi all’argine. Avrebbe potuto cedere da un momento all’altro. Intorno era un brulicare di polizia, carabinieri, pompieri, come mai si erano visti. Chiese con discrezione al Giovanni, che era una delle guardie del paese, ma lui lo guardò come si guarda un matto. «Tornare a casa? Ma non vedi che il fiume sta mangiandosi tutto? Altroché tornare a casa. Se continua così, fra poco nessuno di noi avrà più una casa». Aveva sempre pensato male del Giovanni, uno senza spina dorsale. Doveva trovare un’altra strada. Si ricordò della barca. Quella vecchia barca piatta, doveva pur esserci ancora, legata al grande salice. Nessuna piena avrebbe mai potuto portar via quella pianta e quella barca, ne era sicuro. Da solo non poteva farcela, aveva bisogno d’aiuto. Vide ’l Carlin che beveva un bicchiere di rosso, il viso fisso alla finestra a guardare quel cielo scuro. «Anche tu qui, Carlin?» «Che cosa vuoi?» «Devo tornare a casa. Ho dimenticato una cosa. Mi accompagni?» «E come?» «Con la barca, quella che ho nel lancone». «Sei sicuro ci sia ancora?» «No, ma credo di sì». «Allora andiamo. Hai da fumare?» Uscirono senza salutare nessuno, fra gli svolazzi azzurri dei toscani accesi. Attraversarono il paese riparandosi alla meglio con l’ombrello del Carlin, avvolti nelle grandi mantelle nere che si erano portati appresso. Camminarono in silenzio, i passi sempre più pesanti di pioggia e fango. Non furono fermati da nessuno, forse non furono neppure visti, vestiti com’erano di nero, quasi facessero parte degli alberi, del fiume, della terra. La barca era ancora lì, protetta da un largo tratto d’argine che ancora non era stato sommerso del tutto. La corrente crescente la trascinava verso valle, mentre una robusta corda la riportava indietro, seguendo le onde. I due uomini scrutarono la barca ed incrociarono gli sguardi. Dovevano fare in fretta, la corda non avrebbe resistito a lungo, il fiume reclamava quello che era suo. Dopo non poche fatiche, riuscirono a tirarla verso di loro, dove prima c’era solida riva, mentre ora l’acqua aveva già raggiunto l’altezza del ginocchio. Salirono entrambi, mentre ’l Notu imbracciava la lunga pertica e dirigeva la barca verso quello che la furia del fiume aveva trasformato, da prato in grande lago fangoso. La pioggia aveva concesso una breve tregua e man mano che si allontanavano, attraversando strade e boschi allagati, il silenzio intorno si poteva quasi toccare, in quel paesaggio innaturale, come fossero in un sogno. L’acqua aveva coperto tutto. Le cime degli alberi erano a pochi metri dalla pertica, che ’l Notu
spingeva con forza, in quel mare così insolito. I due vecchi non parlarono mai, ma tutto si dissero con gli occhi, tutto con i gesti delle mani. Non serviva parlare, non serviva rompere quel velo. Fu soltanto quando videro la cascina del Notu
che ’l Carlin aprì bocca. «Siamo arrivati», sussurrò, indicando con il dito. Il fiume era salito fino al balcone. Accostarono piano e Notu scavalcò la bassa ringhiera. «Lega la barca, che beviamo un goccio». Mentre ’l
Carlin assicurava con la corda il barcone, ’l
Notu si era già diretto verso la credenza. La fotografia era sempre lì, dove l’aveva lasciata.
Vite Silenziose
Il ritratto della giovane donna, col vestito della festa, ora gli sorrideva fra le mani. Un giorno di sole, un giorno lontano, in un tempo perduto, perduto fra le nebbie di quella terra. ’L Notu
e
’l Carlin aprirono una bottiglia di quelle vecchie, che dormiva nella credenza, giusto accompagnamento al salame ed alla toma stagionata. «Com’è l’acqua, Carlin?» «Cala Notu. Come le altre volte, cala».
di Silvano Nuvolone