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14 Luglio 2016 - 10:00
Una foto d'archivio della discarica di Chivasso
La recente pubblicazione sulle pagine di un giornale locale di alcune foto del liquame scuro sversato in una roggia ha fatto tornare d’attualità la questione del “nerofumo”. Si è infatti ipotizzato che il liquame contenesse del “nerofumo” proveniente dalle discariche di Chivasso. Nel tavolo tecnico di giovedì scorso la società SMC lo ha escluso.
Tuttavia il nerofumo nelle discariche chivassesi c’è. Lo stavano portando da Pioltello (MI) nella vasca “Chivasso 3” quando il sindaco Bruno Matola bloccò i conferimenti con l’ordinanza del 4 marzo 2011.
Cos’è il nerofumo? Citiamo dal dizionario di “Repubblica”: “Polvere nera, finissima, impalpabile e grassa, ottenuta dalla combustione di sostanze organiche ricche di carbonio, usato per la fabbricazione della gomma, di vernici, di inchiostri da stampa, di carta carbone ecc.”.
Ma soprattutto come e perché è finito a Chivasso? Lo spiega dettagliatamente la relazione della “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Lombardia” del dicembre 2012.
L’area Sisas di Pioltello
Tutto comincia nell’ex Sisas, industria chimica situata tra Pioltello e Rodano in provincia di Milano: “un’area ... dove per decenni si sono prodotti solventi e plastificanti e dove sono rimaste sul posto 350 mila tonnellate di prodotti, tra cui il cosiddetto nerofumo, costituito dal sottoprodotto della produzione di acetilene, ftalati, mercurio, catalizzatori esausti e residui di distillazione, sepolti in fusti molto vicini anche alla falda acquifera sotterranea, tanto che si è continuato per anni a pompare enormi quantità d’acqua per tenere artificialmente bassa la falda ed evitare che i composti chimici pericolosi potessero contaminarla”. Il sito è stato incluso nell’elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN). Sono 830.000 metri quadri entro i quali si trovano i 300.000 del polo chimico vero e proprio. La bonifica tocca alla proprietà, cioè a Sisas, che però nell’aprile 2001 fallisce. L’esecuzione e le spese della bonifica passano in capo ai due Comuni e al Ministero. Nelle acque di falda viene rilevata una contaminazione da cromo esavalente, triclorometano e ricloroetile. Nel 2004 la Corte di Giustizia europea condanna lo Stato italiano perché non è stata fatta la bonifica.
La mancata bonifica di Zunino e Grossi
Nel 2006 si affaccia una soluzione: il gruppo immobiliare Zunino e la società Tr Estate Due srl propongono di comprare l’area e di assumersi i costi della bonifica in cambio di cubature edificabili. La Tr Estate Due srl è riconducibile a Giuseppe Grossi, il “re delle bonifiche” lombarde. Al gruppo Grossi, la ex Sadi che oggi si chiama Ambienthesis, sono riconducibili la discarica di Torrazza Piemonte, la discarica Barricalla di Pianezza e il sito di Orbassano.
Nemmeno Zunino e Grossi portano a termine la bonifica: nel 2010 il Ministero dell’Ambiente dichiara lo “lo stato di emergenza”, stanzia le risorse pubbliche per la bonifica e nomina commissario l’avvocato Luigi Pelaggi.
La mancata bonifica dei fratelli Colucci
Nello stesso anno Pelaggi indice una gara d’appalto a livello europeo per il completamento della bonifica. Ottiene l’appalto la Daneco del Gruppo Waste Unendo dei fratelli Francesco e Pietro Colucci. Entra quindi in campo il grande gruppo industriale che controlla SMC di Chivasso e la discarica di Alice Castello. Ma i guai non sono finiti. Nemmeno la Daneco esegue tutti i lavori per i quali viene pagata con soldi pubblici. Invece di richiamare Daneco al rispetto degli impegni, Pelaggi indice altre tre gare per assegnare le operazioni di completamento: altro denaro pubblico che se ne va. Ma nemmeno questo è sufficiente: “dopo ben quattro appalti per la bonifica non tutti i rifiuti sono stati asportati e la bonifica del terreno e delle falde non è nemmeno iniziata”.
Il nerofumo da Pioltello a Chivasso
Daneco qualcosa appunto aveva fatto, ma non tutto. E quel che ha fatto – secondo la commissione parlamentare e poi secondo l’indagine della magistratura – non è stato eseguito nel rispetto della normativa. Ad esempio, il nerofumo non è stato trattato in loco con gli appositi reagenti prima dello smaltimento, ma “miscelato” sul posto con terreni della stessa area a loro volta probabilmente inquinati. Inoltre, Daneco chiese di poter assegnare ai rifiuti fra cui il nerofumo il codice CER 19.12.12 (rifiuti non pericolosi), al posto dei codici di “rifiuti pericolosi”. Curiosamente tutti gli enti competenti accolsero velocissimi, lo stesso giorno, la richiesta della società: Istituto Superiore di Sanità, Arpa Lombardia, i tecnici del commissario Pelaggi, la Provincia di Milano, due docenti universitari. Infine, alcuni rifiuti compreso il nerofumo vennero trasportati in due discariche dello stesso gruppo Unendo Waste: a Mariano Comense e a Chivasso nelle discariche SMC. Due siti non autorizzati ad ospitare il nerofumo.
Nerofumo spacciato per rifiuti meno pericolosi
E’ proprio a Chivasso che avviene l”incidente”. Tra febbraio e marzo del 2011 un residente segnala ai carabinieri che a suo avviso qualcosa non va nei conferimenti. L’indagine dei carabinieri porta a scoprire che a Chivasso erano state smaltite 69.200 tonnellate di nerofumo, o materiale contenente nerofumo, proveniente da Pioltello. Ma erano stati conferiti non con il codice del nerofumo, bensì con i codici di rifiuti meno pericolosi. Trattare e smaltire i quali costa meno. Oltretutto la discarica di Chivasso non è autorizzata ad ospitare nerofumo. Per la precisione i cambi di codice sono questi: a Chivasso furono trasportati rifiuti con codice CER 19.12.12 (rifiuti prodotti da trattamento meccanico) al posto del corretto CER 19.13.02 (rifiuti di bonifica), al posto ancora del CER 06.13.03 (nerofumo). Nell’operazione Daneco avrebbe risparmiato 7 milioni di euro e le discariche di Chivasso e Mariano Comense 10 milioni e mezzo.
Marzo 2011: Matola ferma il nerofumO
Il conferimento a Chivasso terminò quando il 4 marzo 2011 il sindaco Bruno Matola firmò l’ordinanza che imponeva a Giuseppe Chirico e Federico Sauer, rispettivamente rappresenta legale e responsabile tecnico della Chivasso 3, di “sospendere immediatamente i conferimenti...provenienti da Pioltello” e di “metter in sicurezza il materiale già conferito al fine di evitare possibili dispersione eolica di polveri in atmosfera...”.
E adesso?
Come è andata a finire? Sul piano giuridico, la magistratura sta conducendo a Roma un processo nel quale fra gli altri risulta imputato Giuseppe Chirico ora amministratore delegato dell’intero Gruppo Waste Italia. Sul piano ambientale, la Provincia di Torino, eseguiti gli accertamenti, ha autorizzato la società a conservare il nerofumo dentro la Chivasso 3. Non ne ha imposto la rimozione. Ha fatto bene? Ne riparleremo. Tuttavia giriamo la domanda a Città Metropolitana e ed ARPA.
Da parte nostra, osserviamo che l’area delle discariche e il terreno circostante sono in pessime condizioni ambientali: perdita di percolato, metano sotterraneo, falde inquinate, incendi, ecc. Lo scrisse già la Provincia nel 2008 e l’ha confermato l’ASLTO4 nel dicembre scorso. Esiste probabilmente un solo intervento risolutivo: bonificare integralmente, mediante svuotamento delle discariche e rifacimento delle strutture di protezione che le avvolgono. E’ questo che dovrebbe chiedere l’amministrazione chivassese, non una nuova discarica collegata al progetto Wastend. Vicino a noi sono i Comuni a mobilitare i cittadini contro l’apertura di nuove discariche: Santhià, Tronzano, Alice Castello, Borgo d’Ale. In testa ci sono i sindaci. Paese che vai, sindaco e vicesindaco che trovi...
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