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17 Ottobre 2018 - 17:02
Con un’ordinanza del Sindaco di Pont datata 20 settembre è stato revocato il divieto di caccia introdotto su tutto il territorio comunale lo scorso autunno. Il provvedimento, che aveva preceduto quello assunto dalla Regione Piemonte, era stato emesso il 30 ottobre 2017, nel pieno dell’emergenza incendi che aveva colpito i comuni vicini. La motivazione alla base della decisione era stata la doverosità di “tutelare la fauna in fuga dalle zone interessate dall’incendio ed in cerca di altri luoghi su cui reisediarsi, al fine di garantirne la sopravvivenza”. Ora “preso atto che la grave situazione di criticità succitata è stata superata”, in concomitanza con l’apertura della stagione venatoria il divieto è stato revocato.
Un’ordinanza giusta quella di allora, che però era stata contestata vivacemente dai cacciatori: qualche mese fa, al termine di una seduta di consiglio, un esponente della categoria aveva preso la parola, attaccandola su tutta la linea. Non c’era motivo – aveva sostenuto – di prendere un provvedimento del genere in un comune non interessato dalle fiamme perché le vie di fuga conducevano presumibilmente verso altre direzioni e perché i cacciatori non erano certo lì con i fucii spianati, pronti a colpire i selvatici in fuga. “Già in Regione ce l’hanno con noi, se ci si mettono anche i sindaci…”- si era lamentata la persona citata. Eppure proprio di questo si era parlato nei giorni dell’emergenza e lo stesso Coppo, rispondendo alle rimostranze del suo concittadino, aveva confermato: “Non sono contro la caccia ma i colpi di fucile si sono sentiti!”. Addirittura circolavano volci che tra le possibili cause dei roghi vi fossero cacciatori senza scrupoli che avevano appicato appositamente le fiamme per attandere la fauna al varco. Vero o no che fosse, significa che qualche problema c’era. E, a parere degli esperti di fauna selvatica, ci sarebbe ancora poiché i danni all’habitat causati da un incendio hanno conseguenze di lungo periodo perché creano un eccesso di presenze nelle zone rimaste intatte ed una conseguente maggior vulnerabilità degli animali. D’altra parte, anche se le precauzioni fossero state eccessive, sul piatto della bilancia c’erano da un lato la sopravvivenza di esseri inermi colpiti dalla sventura; dall’altro la temporanea rinuncia ad un hobby giacchè nessuno caccia ormai per sfamarsi. Considerato che la fauna selvatica è parte fondamentale dell’ecosistema e non un giocattolo vivente, utile solo a soddisfare gli istinti predatori che persistono nella specie umana, non ci possono essere dubbi su quale fosse la decsione da prendere.
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