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Cronaca

Torino, sbagliano il dosaggio dei farmaci, 59enne muore: arriva la sentenza definitiva

Una sedazione mal gestita, un vomito non sorvegliato, un paziente lasciato supino in ambulanza. E una sentenza che scuote il sistema 118, inchiodando la Città della Salute alle sue responsabilità

Torino, errore medico

Torino, errore medico risulta fatale per un 59enne: sbagliato il dosaggio dei farmaci

Era il 25 ottobre 2019 e Giovanni Luigi Fresia, 59 anni, affetto da disturbo di personalità, stava male. Non un malore qualsiasi: un'agitazione profonda, la sensazione di stare per perdere il controllo. Chiede alla moglie di chiamare un'ambulanza, vuole andare al Martini, dove lo conoscono. Invece il protocollo sposta la destinazione all’ospedale di Rivoli. È in quel passaggio, tra i protocolli e i farmaci, che la vita di Fresia si spegne. E si accende un’inchiesta. Perché ciò che doveva essere un intervento salvavita, si trasforma in un intervento letale. I sanitari del 118 decidono di sedarlo con ketamina e midazolam, due farmaci potenti, usati per placare l'agitazione psicomotoria. Lo adagiano supino sull’ambulanza e partono. Nessuno controlla se le vie respiratorie siano libere, nessuno lo gira su un fianco, nessuno lo intuba. Fresia vomita, soffoca, va in arresto cardiaco. Arriva in ospedale privo di sensi, morirà dodici ore dopo.

Cinque anni dopo, la quarta sezione civile del tribunale di Torino emette una sentenza che colpisce come un macigno: un milione di euro di risarcimento alla famiglia, a carico della Città della Salute, responsabile del servizio 118. È una decisione che non si limita a stabilire un risarcimento: è una dichiarazione di colpa. Il giudice ha riconosciuto che l’uso dei sedativi era legittimo per prevenire comportamenti pericolosi, ma la scelta sbagliata dei farmaci, la dose eccessiva, e soprattutto l’omissione di manovre salva-vita sono stati errori fatali. Bastava girarlo su un fianco. Bastava intubarlo. Non è stato fatto.

Città della Salute dovrà risarcire la famiglia della vittima

La moglie di Giovanni Luigi Fresia non ha mai cercato vendetta. Ha cercato verità e giustizia, perché nessuno più si trovi nella sua stessa condizione. «Vorrei che questa vicenda diventasse un monito perché non accadano più episodi di questo genere», ha dichiarato. I suoi legali, Renato e Ludovica Ambrosio insieme a Riccardo Catalano, hanno parlato di una sentenza che «restituisce dignità e voce a chi è morto per un errore medico». E che punta il dito contro un sistema dove la catena delle responsabilità spesso si disperde tra i protocolli, la fretta, la burocrazia.

Ma questa non è una storia isolata. In Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza in Sanità, si stimano ogni anno tra 30.000 e 50.000 eventi avversi gravi in ambito sanitario. Di questi, una parte non trascurabile riguarda proprio errori nella gestione delle emergenze, come quelli nel pre-triage, nell’uso dei farmaci sedativi o nella valutazione dei rischi. I casi più drammatici, come quello di Fresia, arrivano in tribunale. Gli altri si perdono nel silenzio.

Ecco perché questa sentenza non può restare una decisione isolata. Serve a scuotere le coscienze di chi opera nel soccorso, ma anche a riaprire il dibattito su come il 118 gestisce i pazienti psichiatrici, su quali siano le linee guida, su quanto pesi ancora oggi la sottovalutazione del rischio di soffocamento per vomito nei pazienti sedati.

Non si tratta solo di un risarcimento. Si tratta di riconoscere che Giovanni Luigi Fresia poteva essere salvato. E che la sua morte non deve essere stata vana.

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