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Mafia e calcio vanno a braccetto: c'è un sistema malato che unisce clan, club e tifoserie organizzate

Consenso, soldi e riciclaggio: così le organizzazioni criminali usano i club per rafforzare il loro potere

Mafia e calcio

Mafia e calcio vanno a braccetto: c'è un sistema malato che unisce clan, club e tifoserie organizzate (foto archivio)

Il mondo del calcio italiano continua a raccontarsi come uno spazio identitario, popolare, aggregante. Ma la fotografia tracciata dal sostituto procuratore nazionale Antimafia Antonio Ardituro all’Università Lumsa ribalta ogni rassicurazione. Nel seminario “Le mafie nello sport. Lo sport contro le mafie”, organizzato dalla cattedra di Diritto processuale penale, il magistrato ha messo in fila un quadro minuzioso e inquietante, in cui società calcistiche, tifoserie organizzate e gruppi criminali finiscono per incastrarsi in un sistema di potere costruito sul consenso, sul denaro e su zone d’ombra che nessuno sembra voler illuminare davvero.

Dalla gestione delle sponsorizzazioni ai rapporti con gli ultras, passando per infiltrazioni dirette in club professionistici, il discorso di Ardituro si sviluppa come una lunga dissezione anatomica del calcio italiano. E ne emerge un corpo malato, vulnerabile, attraversato da interessi esterni troppo forti per essere ignorati.

La premessa, sottolineata dal magistrato fin dall’inizio, è un richiamo alla logica di base della criminalità organizzata: dove ci sono soldi, consenso e visibilità, le mafie si muovono. «Vorrei dedicarmi al tema dell'infiltrazione delle mafie nello sport e in particolare nel calcio perché è lo sport più diffuso sul territorio nazionale… quello intorno al quale c'è un grande giro di affari» ha spiegato Ardituro, evidenziando come il radicamento popolare del pallone sia al tempo stesso la sua grande forza e la sua vulnerabilità più evidente.

Il procuratore ha ricordato come le inchieste degli ultimi anni abbiano documentato infiltrazioni dirette in numerose società, non soltanto dilettantistiche ma, in alcuni casi, persino professionistiche. «Organizzazioni mafiose hanno assunto nel tempo… il controllo di società di calcio, società dilettantistiche, qualche volta anche società professionistiche, magari di serie minori», ha ribadito, sottolineando che il fenomeno è particolarmente presente nei territori periferici, dove la fragilità economica facilita la penetrazione di capitali opachi e la costruzione di rapporti di dipendenza.

Ma il cuore del discorso di Ardituro tocca un punto ancora più profondo: l’uso del calcio come strumento per ottenere consenso sociale. «Ci sono due grandi interessi… Il primo che vi propongo non è quello economico, ma il consenso», ha spiegato il magistrato, ricordando come i clan sopravvivano anche grazie a questa legittimazione sotterranea sul territorio. Lo stadio, in questo senso, diventa una piattaforma perfetta: visibile, cittadina, popolare, coinvolgente. «Il calcio è uno strumento con il quale si fa consenso» ha sottolineato, lasciando intendere che ogni attività — dalla gestione dei club al sostegno degli ultras — può trasformarsi in una leva sociale potentissima.

Il discorso trova però la sua parte più sorprendente quando Ardituro sposta lo sguardo sulle tifoserie organizzate. Qui il tono diventa ancora più diretto: «Potremmo dire che tutto questo non c'entra con il calcio e le società, purtroppo non è così… c'è un rapporto tra le società di calcio e la tifoseria organizzata che molto spesso diventa malato». Il magistrato descrive le curve come «luoghi extraterritoriali», spazi sottratti al controllo delle autorità sportive e statali, dove possono verificarsi dinamiche molto pericolose. Attorno agli stadi ruotano affari che vanno ben oltre la passione sportiva: gestione dei parcheggi, stewarding, distribuzione dei biglietti, concessione degli abbonamenti ai gruppi organizzati.

Qui Ardituro non usa giri di parole: «Si crea un filo tra società e tifoserie organizzate… che non sono fatte di tifosi appassionati… ma sono organizzazioni criminali che hanno delle infiltrazioni di carattere mafioso». Una rappresentazione che scardina l’immaginario romantico dello stadio come luogo di folklore e passione, mostrando invece il rischio concreto che gruppi criminali prendano il controllo di funzioni essenziali alla gestione dell’impianto e del flusso di tifosi.

Il magistrato chiama in causa direttamente anche le massime serie del calcio italiano. «C'è un altro tema complesso… quello delle infiltrazioni delle organizzazioni criminali camorristiche nelle tifoserie organizzate e del rapporto tra tifoserie e società», ha affermato, ricordando che le indagini più delicate degli ultimi anni hanno riguardato proprio club di Serie A e Serie B. Non casi marginali, dunque, ma realtà centrali nel panorama sportivo nazionale. «Se io vi parlo di Juventus, Inter, Milan, Roma, Lazio, Napoli, vi sto parlando del calcio che ci piace… quello che vediamo alla Domenica Sportiva», ha affermato Ardituro, per poi congelare l’aula con una conclusione secca: «E proprio questo nostro calcio ci ha presentato infiltrazioni di 'ndrangheta nelle tifoserie della Juventus… infiltrazioni radicate ai livelli più alti della tifoseria del Milan e dell'Inter… sfociate in omicidi».

Nel lungo elenco citato dal procuratore compaiono episodi recenti e clamorosi: il processo che ha svelato la presenza della 'ndrangheta nella curva juventina; l’inchiesta su milanisti e interisti coinvolti in dinamiche di scontro criminale culminate in omicidi; il caso “Diabolik”, figura chiave della tifoseria laziale assassinata nel 2019; le infiltrazioni che hanno interessato negli anni la tifoseria del Napoli, che Ardituro ha seguito direttamente.

Ma l’analisi non si ferma lì. Il magistrato rivela che tre società professionistiche sono state sottoposte a amministrazione giudiziaria grazie all’intervento coordinato del suo ufficio con tre procure diverse: due club di Serie C, Crotone e Foggia, e una squadra di Serie B, la Juve Stabia. Un dato che, da solo, basterebbe a indicare che il fenomeno non è periferico né sporadico, ma capillare e in espansione. «Ci troviamo di fronte a un fenomeno enorme», ha avvertito Ardituro, prima di lanciare una provocazione che suona come una domanda retorica: «Io sfido voi a sapere che qualcuno si è occupato dal punto di vista del dibattito pubblico di fatti così gravi che stanno accadendo».

Il procuratore, in un passaggio finale dal peso politico rilevante, denuncia anche l’inerzia di una parte del mondo sportivo: «Dallo sport risposte timide su mafie e calcio» ha ammonito, spiegando come le contromisure adottate finora siano lontane dall’offrire una reale barriera alle infiltrazioni criminali. Il sistema — regolamenti, istituzioni calcistiche, organi di controllo — continua a muoversi con lentezza, spesso inseguendo i problemi più che prevenirli.

Nel complesso, il quadro delineato da Ardituro è quello di un calcio che, a vari livelli, ha smarrito gli anticorpi necessari per difendersi da attacchi così organizzati e sedimentati. Un settore che, per anni, ha creduto di potersi raccontare come impermeabile, autonomo, autosufficiente, mentre nelle retrovie prendevano spazio clan, intermediari e gruppi che vedono nel pallone non l’emozione di una partita ma un affare redditizio e un’arena strategica per consolidare potere e relazioni.

La conclusione del magistrato non lascia scampo: quello che sta accadendo non è noto al grande pubblico, non occupa i dibattiti televisivi, non infiamma le discussioni istituzionali. Ma è reale, concreto, in crescita. E per affrontarlo servirebbe una presa di coscienza collettiva che oggi ancora non c’è.

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