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02 Dicembre 2025 - 05:20
La musica de “Il Padrino” risuona dalle casse, scelta volutamente ironica di un dj che la presenta come la “colonna sonora del potere”, mentre si agitano bandiere e, davanti al profilo del Templo de Debod, migliaia di persone scandiscono in coro un unico grido: “¡Dimisión!”. È domenica 30 novembre 2025 e il centro di Madrid diventa un palcoscenico politico affollato, teso, calibrato al millimetro. A chiamare la piazza è il Partido Popular (Partito Popolare) guidato da Alberto Núñez Feijóo, che sceglie uno slogan studiato per dividere e colpire — «Efectivamente: ¿mafia o democracia?» — e un tempismo chirurgico: appena 48 ore dopo l’ordine del Tribunal Supremo (Corte Suprema) che ha disposto la custodia cautelare per l’ex ministro socialista José Luis Ábalos e per il suo ex consigliere Koldo García, nell’inchiesta sui contratti per l’acquisto di mascherine durante la pandemia. Per il PP in piazza ci sono 80.000 persone; per la Delegación del Gobierno sono 40.000. Due cifre che raccontano una distanza politica ancora prima che statistica.


Il detonatore che porta alla manifestazione scatta giovedì 27 novembre 2025, quando il Tribunal Supremo revoca la libertà vigilata e ordina il carcere senza cauzione per Ábalos e García, motivando la misura con un rischio di fuga definito “estremo” e con la prossimità del processo per associazione criminale, corruzione, traffico di influenze e malversación (distrazione di fondi pubblici). Per l’ex ministro, figura centrale del PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) nelle due legislature di Pedro Sánchez, l’accusa chiede fino a 24 anni di reclusione; per García poco meno di 20. Entrambi respingono ogni addebito. Il giudice li invia a Soto del Real, alle porte della capitale.
Due giorni dopo, la piazza esplode. Feijóo convoca la mobilitazione, che presenta come “civica e aperta”, insistendo sulla necessità di non restare “anestetizzati” davanti alla gravità dei fatti. Attorno a lui sfilano i nomi più rappresentativi del centrodestra: la presidente della Comunità di Madrid Isabel Díaz Ayuso, il sindaco José Luis Martínez-Almeida, una lunga serie di presidenti regionali del PP e diversi protagonisti della società civile. Il messaggio è calibrato per trasformarsi in titolo: “Elecciones ya”, elezioni subito.
La contesa sulle cifre — 80.000 contro 40.000 — è il riflesso di un Paese attraversato da linee di frattura profonde. La scelta del Templo de Debod, vicino a Plaza de España, permette un colpo d’occhio imponente anche grazie alla convocazione rapidissima. I cartelli parlano da soli: “Separación de poderes”, “Independencia judicial”, “Mafia” sovrapposta al volto del premier. La regia musicale alterna “The Final Countdown”, “Sweet Caroline” e la colonna sonora de “Il Padrino”, componendo una scenografia pensata per ribadire un’idea: la piazza si auto-rappresenta come tribunale morale.
La retorica del PP è affilata: il “sanchismo” avrebbe corrotto le istituzioni e ora va archiviato con il voto. Durante la manifestazione, Feijóo e Ayuso intensificano i toni. Il leader nazionale accusa il governo di aver “normalizzato l’eccezione” e di sottrarsi a una risposta politica sull’“effetto Ábalos”. La presidente madrilena richiama la memoria storica, toccando anche il tema di ETA (Euskadi Ta Askatasuna) e dei rapporti parlamentari con la sinistra abertzale, trasformando la protesta in un atto d’accusa contro quella che definisce “corruzione morale”. Il messaggio è chiaro: non si tratta solo di un caso giudiziario, ma della fiducia nelle istituzioni.
Dall’altro lato, il governo costruisce una contro-narrazione altrettanto netta: separare responsabilità personali e responsabilità politiche, difendere il lavoro della magistratura senza trasformarlo in strumento di scontro. Gli esponenti socialisti ricordano che Ábalos non fa parte del governo da tempo e che il PSOE “non coprirà reati”, ma rifiutano la “gogna per riflesso” che colpirebbe il premier Sánchez. Diversi commentatori fanno notare che la vicinanza personale non implica responsabilità oggettiva. La linea ufficiale è chiara: rispetto delle garanzie, presunzione di innocenza, nessun processo sommario.
Per comprendere il clima della piazza bisogna tornare al 2024, quando l’Operación Delorme della Guardia Civil fa emergere sospetti di appalti irregolari per mascherine nel pieno dell’emergenza Covid-19. Tra i nomi spunta quello di Koldo García Izaguirre, consigliere al Ministero dei Trasporti guidato allora da Ábalos. La vicenda si intreccia con altri dossier delicati, dai rapporti con alcuni imprenditori ai retroscena del salvataggio della compagnia Air Europa, fino a diventare un caso simbolo della stagione politica. A novembre 2025 il Tribunal Supremo decide di alzare il livello delle misure cautelari, preparando il terreno alla manifestazione.
Nel suo intervento sul palco, Feijóo pronuncia una frase destinata a imprimersi nella memoria della giornata: «Ne manca solo uno», un riferimento trasparente al premier Sánchez. L’obiettivo è evidente: trasformare una misura cautelare in leva politica per chiedere nuove elezioni. La domanda che resta sul tavolo è però istituzionale: fino a che punto un arresto può diventare argomento per sciogliere le Cortes? È qui che si misura la profondità della crisi, tra chi parla di “urgenza morale” e chi ricorda che il calendario elettorale è parte della stabilità democratica.
La Spagna non è nuova a mobilitazioni di massa: nel 2023 contro l’amnistia ai leader indipendentisti catalani, negli anni precedenti contro vari scandali di corruzione. Ma la manifestazione del 30 novembre 2025 è la prima che segue un carcere preventivo che tocca il cuore della stagione politica di Sánchez. La capacità del PP di riempire la piazza in poche ore segnala che l’indignazione va oltre le tifoserie. Allo stesso tempo, la prudenza di chi chiede garanzie processuali mostra che la difesa del principio di legalità resta una diga condivisa.
Il caso Ábalos/García non è l’unico fronte aperto per il governo. Nel corso del 2025 altre indagini — molte contestate e tutte ancora da verificare nelle aule — hanno sfiorato ambienti vicini al premier. Sul piano istituzionale pesa la recente dimissione del Fiscal General del Estado, Álvaro García Ortiz, condannato per violazione di segreto. Un passaggio che l’opposizione inserisce subito nella narrativa della “decadenza”. Sánchez, finora, ha escluso ogni ipotesi di voto anticipato, sostenendo di non voler “piegarsi alla tempesta di fango” e di confidare nei tempi della giustizia. Ma nell’elettorato cresce una percezione di accumulo: un effetto goccia che erode fiducia.
Il rischio da evitare, avvertono vari analisti, è il vecchio luogo comune del “sono tutti uguali”. Un riflesso tipico delle democrazie in affanno, che appiattisce tutto e impedisce di distinguere tra responsabilità personali, inefficienze politiche e manipolazioni narrative. Nel caso spagnolo la questione è più complessa: da un lato un’inchiesta che tocca un settore sensibile come gli approvvigionamenti sanitari, dall’altro un uso selettivo del garantismo che rischia di delegittimare qualunque governo. L’obiettivo, per molti, dovrebbe essere duplice: permettere alla magistratura di lavorare fino in fondo e pretendere che la politica si assuma le proprie responsabilità senza evadere dal merito.
Sul piano giudiziario, la decisione del Tribunal Supremo di disporre il carcere senza cauzione indica che la fase istruttoria è ormai avanzata e che il processo potrebbe avvicinarsi. Sul piano politico, il PP ha testato la propria macchina organizzativa e la sua capacità di mobilitare non solo gli elettori abituali. Lo slogan “elezioni subito” è chiaro, ma resta la variabile dei numeri in Parlamento: senza un terremoto elettorale, la legislatura può proseguire con gli accordi già sperimentati. Sul piano sociale, la “questione morale” è tornata al centro. Ma la retorica del “prima la decenza” regge solo finché non diventa una lista di infamie: se il dibattito deraglia, il rischio è una spirale di sfiducia verso istituzioni e media.
In queste ore la crisi si costruisce attraverso parole e immagini. «Mafia o democrazia» è una formula che polarizza e restringe il campo della discussione pubblica. «Ne manca solo uno» personalizza lo scontro. Il duello sulle cifre — 80.000 o 40.000 — è una battaglia sul controllo della realtà. Le immagini di bandiere, colonne sonore e slogan mostrano una estetica dell’urgenza morale che il PP cerca di trasformare in mandato politico.
La manifestazione di Madrid non è soltanto cronaca. È un laboratorio di ciò che accade quando politica, giustizia e opinione pubblica si incrociano in uno spazio ristretto. Se le accuse troveranno conferma, il colpo all’immagine della maggioranza sarà profondo. Se invece alcune imputazioni si affievoliranno, l’opposizione dovrà gestire il rischio boomerang. In mezzo c’è il Paese reale, fiaccato da inflazione, crisi industriali e stanchezza post-pandemica: un terreno fertile per parole come “corruzione”, “decenza” e “democrazia”, che smettono di essere concetti astratti e diventano strumenti di sopravvivenza politica.
Alla fine, le 48 ore che separano le celle di Soto del Real dalla folla del Templo de Debod raccontano una Spagna attraversata da tensioni profonde: una magistratura che procede con decisione, un’opposizione che sente di avere il vento in poppa, un governo che rivendica garanzie e rifiuta la condanna in piazza. Il resto lo decideranno i tribunali. E, se il clima non precipiterà prima, gli elettori.
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