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CHIVASSO. Francesco Olivero

CHIVASSO. Francesco Olivero

Olivero Francesco

Quando il Francesco Olivero era il Francesco Olivero che a tutti noi di Chivasso viene in mente, tutte le volte che ci incontrava per la strada e sotto i portici, aveva delle cose da raccontarci. Per carità non grandi cose. Cose dell'Asilo Beato Angelo Carletti. Cose dell'Opera Pia Clara. Cose del suo Borgo San Pietro che amava più di ogni altra cosa al mondo. A volte parlava della Fiat. Altre volte del Vescovo suo amico. Di un cardinale. Di un dottore. Di una cena o di un pranzo a cui era stato invitato. Quasi un'esagerazione o, se si preferisce, un'esasperazione. Decine di amici importanti. Decine, anzi no, centinaia di cose da organizzare e altrettante di cose già organizzate. E poi foto da mostrare. Tante, tantissime foto. Foto del passato, foto del presente e se si vuole anche foto del futuro, che anche se ancora non c'erano, per lui era come se fossero già state scattate. Era fatto così e a noi piaceva così. Piaceva stare ad ascoltarlo, raccogliendo e facendo buon uso di ogni sua esperienza. Amava la ribalta e il gusto che si prova a finire sui giornali, ma solo per le cose belle, per quelle brutte assolutissimamente no, preferiva ci finissero gli altri. E così era quando affrontava i problemi di gestione dell'asilo o ci parlava dei lavori alla nuova casa di riposo che non finivano mai. E così è stato quando si arrabbiò sul serio con il presidente dell'Ascom Maria Luisa Coppa per quella festa del Nocciolino organizzata in contemporanea con la sua festa del borgo. Poi arrivarono le dimissioni da tutto e tutto. Il calvario di una malattia che sembrava non avere soluzione. Il respiro sempre più difficile e la macchinetta dell'ossigeno sempre a spalle per produrlo. Prima il ricovero all'ospedale di Lanzo, infine al presidio di Settimo. Ogni tanto ci chiamava. "Venitemi a trovare. Ho delle cose da raccontare...". Chissà quante cose ci avrebbe raccontato ancora Francesco, cavaliere del lavoro. Già! Chissà quante cose.
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