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I “positivi” al giuramento di Mattarella sono la conferma che il super green pass non ci dice se uno ha il Covid oppure no

I “positivi” al giuramento di Mattarella sono la conferma che il super green pass non ci dice se uno ha il Covid oppure no

Il lasciapassare viene richiesto anche alle Poste

L’ultima settimana di gennaio è stata caratterizzata dalle votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. Il seggio era allestito alla Camera dei Deputati, i “grandi elettori” erano più di mille - senatori, deputati e rappresentanti delle regioni - che per sei giorni si sono recati a Montecitorio (chiamati a turni, per evitare assembramenti) per deporre la scheda nell’urna. Tra loro ce n’erano anche alcuni che in quei giorni erano in convalescenza o in quarantena a causa del Covid: per permettere loro di esercitare il diritto di voto anche se “positivi” è stato allestito un apposito seggio nel parcheggio della Camera; non potevano entrare, però, nel palazzo, per evitare di contagiare colleghi e commessi. A una deputata, Sara Cunial, che era “negativa” ma sprovvista di super green pass non è stato consentito di votare: né in aula né nel parcheggio. Una settimana più tardi, il 4 febbraio, sempre a Montecitorio - in un’aula pavesata a festa con drappi e bandiere - si è svolta la cerimonia di giuramento del rieletto presidente Mattarella. Ma stavolta, siccome non si potevano fare i turni e tutti i mille grandi elettori volevano essere nell’emiciclo ad ascoltare ed applaudire, all’ingresso è stato fatto un tampone a tutti. Sorpresa: sebbene tutti fossero dotati di super green pass, 13 sono risultati “positivi”; tra loro il leader della Lega, Matteo Salvini, il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, sei parlamentari del Partito Democratico e altri di cui non sono state fornite le generalità. Rispediti subito a casa, in isolamento, fino al prossimo tampone “negativo”. Tutte persone che fino a qualche giorno prima entravano ed uscivano tranquillamente da Montecitorio (e nei bar e ristoranti del centro di Roma, sempre attorniate da reggimicrofono e cameramen, tutti a pochi centimetri a raccogliere le loro perle di saggezza sui candidati al Quirinale) perché in possesso di super green pass, ma che al primo test sono risultate infette dal virus.
Uno strumento politico che non ha alcuna giustificazione scientifica
C’è poco da stupirsi: è l’ennesima dimostrazione - se ancora ce ne fosse bisogno - che il super green pass, quanto alla “positività” o “negatività” del detentore, non garantisce una beata cippa. Uno può benissimo avere in tasca il super green pass, rilasciato a seguito di vaccinazione, e avere comunque in corpo il virus (e contagiare chi viene a contatto con lui). Ma il fatto che si sia verificato in Parlamento fa risaltare ancor più l’insipienza di ministri, deputati e senatori, che nemmeno di fronte all’evidenza si rendono conto che i provvedimenti che hanno ideato e votato in questi mesi - tutti volti a discriminare chi non ha il super green pass rispetto a chi ce l’ha - non hanno alcuna giustificazione sanitaria o epidemiologica. A sostenere che il super green pass non sia «mai servito come misura di sanità pubblica» ma che sia «uno strumento politico» utilizzato per costringere la gente a vaccinarsi non sono i blog no vax, ma è - da qualche giorno - il microbiologo Andrea Crisanti: che però, da quando dice queste cose, non viene più intervistato dai telegiornali. Siccome da qualche giorno la curva dei contagi è in discesa, la narrazione mainstream ora ci propina che «è un risultato che abbiamo raggiunto grazie al super green pass»: affermazione che fa sbellicare dalle risa (si ride per non piangere, ormai) ogni statistico serio, perché il super green pass è stato introdotto ai primi di dicembre e da allora per quasi due mesi l’indice di contagio è sempre cresciuto, portando gli “attualmente positivi” alla cifra record di 2,7 milioni. Eppure continuano ad esserci decine di mentitori che dicono queste cose, centinaia di giornalisti leccapiedi che di fronte a tali assurdità non obiettano alcunché, e soprattutto milioni di no-brain che ci credono. A dicembre, su 3,8 milioni di casi di Sars-Cov2 rilevati in Italia, più di 3 milioni (senza contare i vaccinati asintomatici, che non entrano quasi mai nelle statistiche) erano persone dotate di super green pass; eppure ogni giorno in tv gli intervistatori vanno a caccia di gente che dichiara «sono favorevole al super green pass perché ci dà la sicurezza di non contagiarci», e di commercianti orgogliosi di chiedere il super green pass «a tutti quelli che entrano in negozio, così il virus resta fuori»: e a quel punto uno si chiede se nel nostro Paese sia più urgente aumentare il numero di posti letto nei reparti di terapia intensiva oppure riaprire i manicomi. E comunque, siccome è scientificamente provato che il super green pass non garantisce la “negatività” del detentore neppure dopo dieci minuti dal rilascio, il dibattito politico di questi giorni è ovviamente incentrato su quanto farlo durare dopo la dose “booster” di vaccino: nove mesi? sei? quattro? illimitato? La priorità, come da più di un anno a questa parte, non è quella di sconfiggere il virus, ma quella di far crepare - non di Covid: di fame - i non vaccinati. Precludere - con motivazioni che non hanno alcuna giustificazione scientifica - a una determinata fascia di cittadini, individuata dal Governo con l’assenso del Parlamento, l’esercizio di diritti e di una serie di attività, a partire da quella lavorativa: un obiettivo su cui pressoché tutto l’arco parlamentare è d’accordo. E purtroppo in Italia, nell’ultimo secolo, non è la prima volta.
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