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Il pensiero intelligente sotto l’ombrellone spesso latita

Il pensiero intelligente sotto l’ombrellone spesso latita
Non credete, le vacanze sono impegnative. La chiacchierata obbligatoria con il vicino di ombrellone (almeno due volte al giorno), il mare che è sempre un po’ troppo freddo per farci il bagno, il bambino che, su diecimila metri quadri di sabbia, decide di venire a cercare il petrolio, con paletta e secchiello, dietro il tuo sdraio… E poi: scegliere il ristorante del sabato sera per tempo, per riuscire ad evitare il terzo turno (e, di conseguenza, di addormentarsi davanti al risotto ai frutti di mare), valutare l’offerta migliore per seguire in televisione il campionato di calcio, tenere d’occhio le Olimpiadi e il mercato della Juve, studiare infattibili e mirabolanti progetti per mettersi in forma durante l’inverno… Insomma, è oggettivamente gravoso ed il tempo per scrivere qualcosa di sensato è poco. “La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Ora ci vorrebbe il pensiero” diceva lo scrittore austriaco Karl Kraus, ma sotto l’ombrellone il pensiero (intelligente) spesso latita e, allora, giusto qualche riflessione in libertà. La prima: lo sport. Una giocatrice della Juventus posta una foto sui social nella quale fa gli occhi a mandorla con in testa un “cinesino”, uno di quei conetti di plastica che gli allenatori usano per tracciare percorsi. Scoppia il finimondo: offesa alla comunità orientale, con tanto di scuse ufficiali da parte della Società a tutti coloro che si battono contro le discriminazioni razziali e che si sentono feriti da un tale gesto. Da una che fa gli occhi a mandorla?! Ma veramente?? Penso al mio amico del Senegal che ogni giorno passa sulla spiaggia e che, ogni tanto, per prendermi in giro, mi racconta barzellette da caserma sulle, supposte, abbondanti “virtù meno apparenti e più indecenti” dei maschi di colore e la conseguente invidia di noi, poveri maschi bianchi: roba da galera! Glielo devo dire! (Anche alla “single attempata”, di qualche ombrellone più in su, che, ogni volta, se la ride sotto i baffi…). La seconda: gli Inglesi. Dici “fair play” e pensi ad un gentleman inglese, dallo sguardo austero, che sorseggia il tè. Poi, invece, ti accorgi che, quando perdono, i “perfidi albionici” s’incazzano come puma e sputano veleno sui vincitori (noi). Inaudito. Soprattutto per gente come noi, “virtuosi calciofili italici” che accettiamo le sconfitte della nostra squadra del cuore con il sorriso sulle labbra, che mai e poi mai ci permetteremmo di accusare l’arbitro di slealtà, che crediamo fermamente che non esista un sistema corrotto che fa vincere il campionato di calcio sempre agli stessi, che accogliamo allo stadio i pullman delle squadre ospiti con lanci di fiori, che abbiamo (avevamo…) le curve affollate di ultras gentili che applaudono sportivamente i tifosi avversari e che poi li aspettano fuori per scambiarsi doni ed abbracci. No, per noi, veri sportivi, questa mancanza di fair play è davvero insopportabile! Terza e ultima riflessione: gli Spagnoli. Luis Enrique è un allenatore di calcio. Spagnolo, ha allenato anche in Italia e poi è finito ad allenare la Nazionale del suo Paese. A corollario, ma non troppo, un paio di anni fa ha perso una figlia di appena nove anni. Dopo la sconfitta con l’Italia, agli ultimi Europei di calcio, ha fatto i complimenti alla nostra squadra. Basterebbe guardare un giorno le Olimpiadi per capire che è una roba praticamente abituale in tutti gli sport, ma noi, “virtuosi calciofili italici”, per i quali gli ori azzurri alle Olimpiadi sono sì un bel momento di celebrazione nazionalistica, ma non paragonabile ai successi dei calciatori, non lo sapevamo. Risultato, abbiamo beatificato Luis Enrique e, con lui, tutti gli Spagnoli, il che, in un momento in cui stiamo snobbando mezza Europa, non è roba da poco. Soprattutto per loro. Olè!
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