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04 Ottobre 2018 - 17:52
Gli abitanti di Settimo Torinese, contadini e artigiani nella stragrande maggioranza, successivamente lavandai e lavoratori dell’industria, cominciarono abbastanza tardi a occuparsi del proprio passato, all’incirca attorno alla metà del diciannovesimo secolo, pur non ignorando fatti, problemi e personaggi di epoche più o meno remote.
All’inizio del 1913, approssimandosi le consultazioni amministrative del 9 febbraio, i socialisti pubblicarono un numero unico col programma elettorale, un paio di poesiole satiriche e alcune cronache politiche. Luigi Raspini (1885-1970), originario di Morbegno nella bassa Valtellina, allora giovane assessore alla Pubblica Istruzione, futuro sindaco di Settimo, tracciò un breve compendio della storia locale, evidenziandone gli episodi salienti: «le prime investiture»; la lotta dei settimesi, «gelosi della loro libertà e della loro indipendenza», contro i conti di Biandrate; lo scavo della Bealera Nuova e le successive controversie allo scopo di preservare i diritti d’acqua della comunità; gli statuti del tardo Medioevo; la pestilenza del 1630 e le guerre del diciassettesimo secolo.
All’epoca gli unici ragguagli storici su Settimo Torinese erano quelli dell’abate saluzzese Goffredo Casalis (1781-1856) e del canavesano Antonino Bertolotti (1834-1893), rispettivamente pubblicati nel 1850 e nel 1878. Altre opere che accennassero variamente alle vicende locali non erano note.
La storia del paese era allora esplicitamente interpretata alla luce della fedeltà dinastica che la gente di ogni ceto sociale manifestava per i Savoia, impadronitisi di Settimo, Brandizzo, Chivasso e altri luoghi nel lontano 1435, dopo un’estenuante contesa coi marchesi di Monferrato. Essa serviva a legittimare il presente, attestandone la continuità col passato. In tale contesto, un valore straordinario assumeva il ricordo sia dell’assedio di Torino (1706), al tempo del duca Vittorio Amedeo II e del conflitto per la successione alla corona di Spagna, sia delle guerre risorgimentali.
Per lo più Luigi Raspini si attenne all’opera di Antonino Bertolotti. Ma è strano che egli attribuisse la torre di Settimo a una generica epoca feudale, anticipandone l’erezione di parecchi secoli («deve essere stata costrutta fra il 600 e l’800 dopo Cristo»). Non meno bizzarra risulta la teoria sull’origine del borgo, negli ultimi tempi dell’impero di Roma. Raspini la desunse dal testo di Goffredo Casalis, interpretato in modo alquanto libero: «Nel luogo ove sorge ora il nostro Settimo esisteva anticamente, prima del 476, un asilo o ricovero per i pellegrini che andavano e venivano da Roma. Questo asilo era diretto ed amministrato da frati i quali, trovando il soggiorno lieto e piacevole, ne fecero un convento per loro, […] assai frequentato dai religiosi che vi conducevano vita beata e tranquilla. Attorno al convento si eressero le prime case e furono quelli i primi abitanti del nostro paese, poiché poco dopo il convento veniva distrutto».
La conclusione di Luigi Raspini, molto attento nella scelta dei termini per non indispettire i potenziali elettori, essendo asperrimo il confronto con la compagine liberalcattolica, non poteva che consistere in un inno ai tempi moderni e alla forza riconciliatrice del lavoro, dopo secoli di odi e violenze: «alle epoche ruinose di guerre, di stragi [e] di dominazioni è subentrata ora l’era pacifica del lavoro fecondo, col quale solo i popoli potranno camminare verso quegli alti destini cui è chiamata l’umanità tutta, in un amplesso sublime di amore e di fraternità».
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