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CRESCENTINO. Un crescentinese in Antartide

CRESCENTINO. Un crescentinese in Antartide

CRESCENTINO. Ogni volta che torna a casa lascia lì un pezzo del suo cuore. Lo capisci da come ne parla e come mostra con fierezza e nostalgia quelle foto.

Dall’entusiasmo che mette in ogni frase, per raccontare ogni ricordo. Dalla voglia che ha di far sapere a tutti cosa sta facendo lì. Antonio D’Aversa, 48 anni, è un ex volontario dei Vigili del fuoco e della Protezione Civile. Nel 2002 ha cominciato a lavorare per Enea, all’impianto nucleare di Saluggia. Ma il suo non è un lavoro come tutti gli altri. Per tre, quattro mesi all’anno, la sua sede di lavoro è il Polo Sud, in Antartide. Lì, dove non tramonta mai il sole, fa parte del team della base italiana “Mario Zucchelli”. Ad aspettarlo a casa, la moglie Annalisa e le figlie Sara e Giulia. «Quando nel 2002 ho iniziato a lavorare per Enea – racconta Antonio – sono venuto a conoscenza della possibilità di partecipare alle spedizioni in Antartide».

«Ho fatto domanda - continua - ma sono stato chiamato solamente nel 2014. Non sembra ma c’è tanta gente che vuol andar lì e quando ci vai non vuoi più smettere. Perchè ho deciso di andare? Per avere qualcosa da raccontare».

Si occupa della parte logistica. Offre sostegno ai ricercatori italiani. In tutto sono un team di 110 persone.

Nei giorni scorsi D’Aversa è appena rientrato dalla sua quarta missione. Ha lavorato alla costruzione di pale eoliche da 10 Kw l’una ed altre una decina di metri per la produzione di energia pulita proveniente dal sole. In programma ce n’erano tre e per il lavoro che c’è devono ancora portarle a termine. E’ stata la volta anche dei pannelli solari e ad un acquario per i pesci. Prima di partire, spiega, «ti rivoltano come un calzino». Le visite mediche all’aeronautica, i corsi di addestramento di cui uno sul Monte Bianco, i corsi di primo soccorso e di sopravvivenza. «Per andare in quei posti non puoi avere nulla fuori posto, devi essere perfetto».

Per arrivare fin laggiù si utilizza il C130, un aereo militare. Si può atterrare solamente nella stagione più fredda, quando il ghiaccio è più duro: da ottobre a febbraio. Quindi il racconto della sua giornata.

«In una giornata tipo - dice - si lavora dalle 8 del mattino alle 19.30 di sera, dal lunedì al sabato. A volte anche alla domenica mattina. Nei momenti liberi si dorme perchè la mancanza della notte si fa sentire, o si fanno passeggiate sul luogo. Andiamo a guardare i pinguini, le foche, a pescare. Oltre al ghiaccio non c’è altro, ma si tratta comunque un luogo magico, immenso. Non ho mai visto un azzurro così intenso. Né ho mai sentito un silenzio del genere». Arrivi lì e pensi che ce l’hai fatta.

Eppure, lavorare al Polo Sud non è così semplice come sembra. Bisogna tener conto delle basse temperature e dei rischi che si possono correre.

«Bisogna stare molto attenti a non farsi male. I medici ci sono in base, ma se è necessario un intervento più importante bisogna spostarsi. Le basi più vicine di trovano a due e sette ore di elicottero da noi».

Ma questo non ferma di certo Antonio. A fermarlo potrebbe essere invece, la voglia di passare del tempo con la sua famiglia, ritrovare la gioia di festeggiare insieme il Natale ed il Capodanno. Al Polo Sud non c’è il Wi-fi e la linea telefonica è precaria: per sentire la famiglia serve un computer, «solo dieci minuti al giorno perché siamo in tanti». Intanto D’Aversa, insieme al Comune, sta organizzando un incontro per raccontare la sua storia a tutta la popolazione.

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