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Carlo resta fuori. Così Chivasso chiude il suo dormitorio. Pd da vergognarsi...

Dal 30 dicembre il servizio di via Nino Costa 48 non riaprirà più. I fondi azzerati, il silenzio della politica, quattro sistemazioni trovate all’ultimo momento e un uomo che non se ne va: quando un letto diventa una scelta politica

Carlo resta fuori. Così Chivasso chiude il suo dormitorio. Pd da vergognarsi...

foto archivio

Carlo resta. Resta davanti al portone del dormitorio pubblico di via Nino Costa 48, a Chivasso, mentre tutto intorno si prepara alla chiusura. Il 30 dicembre, quando il servizio terminerà ufficialmente, per gli altri qualcosa si muoverà. Una stanza, un appoggio, un letto temporaneo. Per lui no. Carlo Appino, cardiopatico, da lì non se ne vuole andare. Non perché non sappia leggere la realtà, ma perché quella porta, negli anni, è diventata l’unico confine certo della sua vita. L’unico indirizzo che potesse ancora chiamare casa.

Il dormitorio comunale di Chivasso è un servizio pubblico per persone senza fissa dimora, italiane ed extracomunitarie, maggiorenni, in regola con i documenti e con il permesso di soggiorno. Non un rifugio informale, non un’emergenza improvvisata, ma una struttura regolata, riconosciuta, inserita nel sistema dei servizi. L’accesso poteva avvenire autonomamente, su segnalazione dei servizi sociali o tramite le forze dell’ordine. Dentro, camere semplici, letti, armadietti, servizi igienici, spazi comuni ridotti all’essenziale. Nessuna promessa di riscatto, solo la possibilità di dormire, lavarsi, restare vivi un giorno in più.

il dormitorio

il dormitorio

Negli anni in cui il servizio funzionava a pieno regime, i posti letto arrivavano a dodici. Dodici uomini che ogni sera entravano tra le 19 e le 22.30, lasciando fuori la strada, il freddo, la paura. Negli ultimi tempi il numero si è ridotto. Sei. Poi cinque. Una discesa lenta, costante, che non racconta una città più giusta, ma un servizio progressivamente impoverito. Ridotto. Svuotato. Preparato, pezzo dopo pezzo, alla chiusura.

Oggi gli ultimi cinque ospiti sono tutti residenti a Chivasso. Non è un dettaglio, non è un caso. È il risultato diretto di un regolamento comunale che ha scelto di dare priorità ai “bisognosi chivassesi”. Una scelta politica precisa, difesa come tutela del territorio. Eppure anche questo dato dovrebbe far riflettere: non si trattava di presenze di passaggio, di emergenze importate, di persone “di fuori”. Erano cittadini della città. Persone che a Chivasso hanno vissuto, lavorato, pagato affitti, bollette, tasse, prima di scivolare fuori da tutto. Quando non ce l’hanno più fatta, il dormitorio è stato l’ultimo gradino prima della strada.

Questo servizio non nasce come un’eccezione. All’origine era gestito e finanziato dal CISS, il Consorzio Intercomunale dei Servizi Sociali. Era parte integrante del welfare territoriale, non una toppa. In seguito era arrivato anche un contributo annuale dell’Asl To4, a riconoscere che garantire un letto e una doccia non è solo assistenza sociale, ma anche tutela sanitaria, prevenzione, dignità. Dormire al caldo, lavarsi, non ammalarsi: anche questo è sanità pubblica.

Poi qualcosa si è rotto. Il CISS si è ritirato. L’Asl ha smesso di contribuire. Tutto è rimasto sulle spalle del Comune di Chivasso. E lì, anno dopo anno, la scelta è diventata evidente. I fondi sono stati progressivamente ridotti. Circa 56 mila euro nel 2024, 28 mila nel 2025, zero euro dal 2026 in avanti. Non un taglio improvviso, non un’emergenza imprevista, ma una decisione scandita nei bilanci, scritta nero su bianco. Una rinuncia programmata. Oggi quella rinuncia produce il suo effetto più semplice e più brutale: la chiusura.

Dei cinque uomini rimasti, quattro troveranno una sistemazione. Soluzioni temporanee, fragili, nessuna strutturale. Due verranno accolti dalla comunità ortodossa romena di Chivasso. A prendersi carico di loro sarà Padre Nicolae Vasilescu, sacerdote principale della Parrocchia Ortodossa San Giorgio di Cernica, guida della chiesa ortodossa romena locale, parte della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia sotto la Metropolia dell’Europa Occidentale e Meridionale. Non un assessorato, non un ufficio comunale, non un piano di welfare. Un sacerdote che apre una porta mentre un’istituzione pubblica la chiude. Senza proclami, senza comunicati, senza rivendicazioni.

Carlo invece resterà fuori. Quando il dormitorio chiuderà, Carlo resterà senza un letto, senza una doccia, senza un indirizzo. Dice che dormirà in ospedale. La verità è che basta un uomo solo, in una città che ama definirsi solidale, a smontare qualsiasi narrazione rassicurante. Basta un nome per ricordare che dietro ogni delibera c’è qualcuno che resta indietro.

Ed è qui che la questione smette definitivamente di essere tecnica. Un dormitorio è davvero così lontano dai doveri di un’amministrazione comunale di centrosinistra? È davvero un servizio sacrificabile senza che questo provochi uno strappo politico, una discussione pubblica, una presa di posizione netta? A colpire, più della chiusura stessa, è il silenzio. Nessun fracasso. Nessuna mobilitazione. Nessuna voce forte del Partito Democratico o della sinistra chivassese che governa la città. La chiusura passa come una pratica amministrativa qualunque, come se non producesse esclusi, come se non lasciasse persone per strada. E parliamo dei senzatetto di oggi, ma soprattutto di quelli di domani e di dopodomani, del prossimo mese, del prossimo anno.

L’unica voce fuori dal coro? Quella di Potere al Popolo, che però non governa. L’altra sera alcuni esponenti si sono presentati alle 19, all’orario di apertura del dormitorio, per vedere con i propri occhi cosa stava accadendo. Un gesto semplice, quasi elementare: esserci. Guardare le persone, non solo i numeri di bilancio.

Il 30 dicembre, a Chivasso, non chiude solo un servizio. Chiude un presidio silenzioso. Chiude un’idea minima ma fondamentale di responsabilità collettiva. Chiude un indirizzo che, per qualcuno, era l’ultimo confine tra una stanza e la strada. E resta Carlo, davanti a quel portone chiuso, a ricordare che le scelte politiche non sono mai astratte. Hanno sempre un nome, un volto, e un posto preciso in cui accadono.

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