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26 Dicembre 2025 - 14:59
Chi fa esplodere una moschea durante la preghiera del venerdì a Homs?
L’odore acre di fumo rimane sospeso nella sala di preghiera; i tappeti verdi sono strappati in più punti, i frammenti di vetro cricchiano sotto gli stivali dei soccorritori. È la scena, documentata dalle immagini diffuse dall’agenzia statale SANA (Syrian Arab News Agency), che racconta meglio di qualsiasi dichiarazione ufficiale ciò che è accaduto a Homspoco dopo le preghiere del venerdì del 26 dicembre 2025. Un’esplosione all’interno della moschea Imam Ali ibn Abi Talib, nel quartiere di Wadi al-Dahab, area a maggioranza alawita, ha ucciso almeno sei persone e ferito ventuno fedeli secondo il bilancio più citato dalle autorità nelle ore successive. È però un bilancio instabile. Nelle prime comunicazioni ufficiali si parlava di tre vittime; altre fonti hanno indicato cinque morti, altre ancora hanno spinto il conto fino a otto. In un contesto di emergenza e indagini in corso, l’oscillazione dei numeri è un elemento ricorrente. Alcuni dati, tuttavia, appaiono consolidati: l’area è stata immediatamente isolata dalle forze di sicurezza, non è arrivata alcuna rivendicazione e gli investigatori ritengono più probabile l’ipotesi di un ordigno collocato all’interno del luogo di culto.
Yesterday, I spoke with the BBC and said: Do not trust the terrorists, nor the statements of al-Julani's government about "combating terrorism."
— Romeo Sifo (@RomeoSifo1970) December 26, 2025
And today, the response came in blood when a suicide bomber blew himself up in the Ali ibn Abi Talib Mosque for the Alawites in Homs.… https://t.co/rt6n5qBfqj
Le prime notizie, rilanciate da media siriani e internazionali, hanno restituito un quadro in continuo aggiornamento. Un funzionario locale citato da Reuters ha parlato inizialmente di tre morti e cinque feriti, ipotizzando una dinamica compatibile sia con un attentato suicida sia con un dispositivo esplosivo piazzato in precedenza. Poche ore dopo, fonti ufficiali siriane e testate estere hanno aggiornato il bilancio a cinque morti e ventuno feriti; successivamente a sei vittime; in alcune ricostruzioni non confermate si è arrivati a otto decessi. È una dinamica nota nei contesti di crisi: alcuni feriti muoiono in ospedale, altri vengono conteggiati più volte, le verifiche incrociate richiedono tempo. Resta però un elemento costante: l’esplosione è avvenuta durante le preghiere del venerdì, il momento di massima affluenza, in un quartiere a maggioranza alawita.
La moschea Imam Ali ibn Abi Talib sorge su Al-Khadri Street, nel quartiere di Wadi al-Dahab, una zona che porta ancora i segni della guerra siriana e vive oggi nuove tensioni legate alla sicurezza. Le immagini diffuse da SANAmostrano pareti danneggiate, annerite dal fumo, vetri esplosi verso l’esterno, testi religiosi e tappeti sparsi tra le macerie. Sono fotografie che aiutano a comprendere la violenza dell’esplosione più di molte parole.
Sul piano investigativo, le autorità mantengono una linea prudente. Il Ministero dell’Interno siriano ha parlato apertamente di “attacco terroristico” e ha indicato come ipotesi principale l’uso di uno o più ordigni esplosivi collocati all’interno della moschea. Una valutazione che coincide con quanto riferito da una fonte di sicurezza locale citata dall’AFP (Agence France-Presse), secondo cui l’esplosione sarebbe stata causata da un dispositivo piazzato in precedenza. Il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR, Osservatorio siriano per i diritti umani), con sede a Londra, invita però alla cautela, sottolineando che non è ancora chiaro se si tratti di un attentato suicida o di un ordigno improvvisato (IED, Improvised Explosive Device). La doppia ipotesi resta quindi aperta, anche se gli elementi raccolti finora sembrano dare un leggero vantaggio alla pista dell’ordigno collocato.
La scelta del bersaglio introduce una variabile delicata. Colpire una moschea in un quartiere a maggioranza alawita, durante le preghiere del venerdì, ha un significato che va oltre il singolo episodio. È una possibile indicazione di una matrice settaria, ipotesi che gli investigatori trattano con estrema cautela, anche perché manca una rivendicazione e perché il quadro siriano degli ultimi mesi è diventato sempre più frammentato. Resta il fatto che, come ricordano diverse testate internazionali, episodi violenti contro comunità alawite si sono verificati anche in tempi recenti.
Homs, terza città della Siria, è da sempre un punto di cerniera tra Damasco e Aleppo e un crocevia di comunità sunnite e alawite. Durante la guerra è stata teatro di scontri durissimi; nel periodo successivo al conflitto le fratture non sono scomparse, ma si sono ridefinite. La transizione politica degli ultimi dodici mesi, seguita alla fine della lunga stagione del potere di Bashar al-Assad, ha prodotto nuove catene di comando e nuovi equilibri nella sicurezza interna. In questo contesto, l’efficacia delle indagini è complicata dalla presenza di strutture sovrapposte, da reti informali e da zone grigie in cui possono muoversi cellule residue, gruppi criminali o attori interessati a destabilizzare. Diversi media internazionali segnalano inoltre tensioni episodiche tra forze governative e milizie locali e frizioni con le SDF (Syrian Democratic Forces, Forze Democratiche Siriane) nell’area di Aleppo, segno di un equilibrio ancora fragile.
Anche le immagini hanno un peso nell’analisi. Le riprese diffuse da SANA e rilanciate da altri media mostrano una zona d’impatto concentrata all’interno della sala di preghiera, con un raggio di dispersione compatibile con un dispositivo a bassa o media potenza collocato al suolo o sotto un banco. Le bruciature sulle pareti e la proiezione dei vetri verso l’esterno sono elementi che, in genere, indicano un’onda d’urto interna. Non sono prove definitive e non permettono di escludere l’ipotesi di un attentatore suicida, ma rafforzano la pista dell’ordigno collocato. Resta aperta anche la questione del numero delle cariche: le autorità hanno parlato di “ordigni” al plurale, senza però fornire elementi tecnici che confermino la presenza di più dispositivi.
Subito dopo l’esplosione, le forze di sicurezza hanno blindato l’area attorno alla moschea e a Al-Khadri Street. Le ambulanze hanno trasportato i feriti negli ospedali di Homs e sui social locali sono circolati appelli ai volontari dotati di auto private per supportare i soccorsi. Alcune ricostruzioni parlano di colpi sparati in aria per disperdere i curiosi e mantenere libero il perimetro operativo. Sono procedure tipiche di risposta a eventi di natura terroristica.
In assenza di una rivendicazione, ogni ipotesi sugli autori resta fragile. Le piste possibili includono cellule jihadiste residue, reti criminali interessate a destabilizzare il controllo del territorio o soggetti intenzionati a riaccendere tensioni settarie. Nessuna di queste opzioni, allo stato attuale, presenta indicatori decisivi. Non c’è un modus operandi esclusivo, non c’è un messaggio, non c’è un pattern chiaro di targetizzazione. È per questo che la cautela del SOHR, che mantiene aperte entrambe le ipotesi tecniche, resta un riferimento metodologico anche per chi prova a spiegare i fatti.
L’oscillazione del bilancio delle vittime è un altro elemento che richiede attenzione. Le cifre iniziali diffuse da Reutersriflettono spesso dati preliminari raccolti in ospedale o dalle forze dell’ordine nelle primissime ore, quando la priorità è il soccorso. Gli aggiornamenti successivi, rilanciati da testate come Ahram Online, Egypt Independent, The National e media che si appoggiano a AP (Associated Press) o ABC, coincidono in genere con la stabilizzazione del triage e con l’eventuale decesso di feriti gravi. In assenza di un comunicato nominativo del Ministero della Salute siriano o di un rapporto medico ufficiale, la formulazione più corretta resta quella di un bilancio provvisorio: almeno sei morti e oltre venti feriti.
La definizione di “attacco terroristico” utilizzata dalle autorità siriane non è solo politica. In termini operativi indica un atto intenzionale contro civili, compiuto per generare danno fisico e disordine sociale. Colpire una moschea durante le preghiere del venerdì, in un quartiere identificabile per appartenenza religiosa, rientra in questa categoria. La conferma giuridica dipenderà dall’esito delle indagini e dall’identificazione dei responsabili.
Per Homs, l’esplosione apre una fase di incertezza. È prevedibile un rafforzamento dei controlli attorno ai luoghi di culto e nelle aree considerate sensibili. Sul piano sociale, la comunità alawita teme una ripresa di attacchi mirati e il rischio è che cresca la diffidenza tra gruppi diversi, anche senza responsabilità accertate. Sul piano politico e istituzionale, l’episodio rappresenta un banco di prova per le autorità di transizione: rapidità delle indagini, trasparenza delle informazioni, tutela dei civili e prevenzione di nuove violenze. Nei prossimi giorni sarà decisivo chiarire quanti dispositivi siano stati utilizzati, quale sia stata la dinamica esatta, chi siano le vittime e se esistano immagini o testimonianze utili a ricostruire ciò che è accaduto nei minuti precedenti l’esplosione.
Fonti: SANA, Reuters, AFP, Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), The National, Associated Press (AP), ABC, Ahram Online, Egypt Independent.
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